Racconto di fate sul cemento (3)

Author: Matteo Piovanelli / Etichette:

Amico invisibile


Eccolo lì, Dean, di nuovo a sprecare una serata dietro la sua follia personale. Erano anni che sprecava il suo tempo inseguendola, in fondo nutrendola con il suo scetticismo a riguardo, con le attenzioni che dedicava al tentativo di negarla. Questa volta la malattia della sua mente lo aveva portato in un piccolo e tranquillo pub di quasi-periferia, frequentato esclusivamente da quelli che parevano essere amici di infanzia del proprietario, un uomo che andava per i sessanta portandosi a spasso una pancia non indifferente ed una pelata pallida. Sulle pareti pochi vecchi manifesti pubblicitari cercavano di passare inosservati sotto uno strato di polvere ed anni spalmati con abbondanza. Laggiù in un angolo sbiadiva il tucano di Gilroy.


"E allora Rici? Che mi dici di sto gruppo?"
Dean si era lasciato trascinare fin lì, cedendo all'insistenza della sua situazione, perché il centro del suo male, l'elemento attorno a cui il suo male era posizionato nella sua mente, la manifestazione stessa del suo problema, gli aveva parlato bene di un gruppo che ci avrebbe suonato. Pareva che qualcuno avrebbe davvero occupato il piccolo palco.
"Che vuoi sapere?"
Rici era seduto di fronte a lui. La sua figura asciutta ed elegantemente nervosa pareva gettata sulla panca contro la parete, come una marionetta abbandonata, ma qualcosa faceva sì che l'insieme del suo corpo abbigliato come un manichino Diesel, se la Diesel facesse una linea di abiti per rock star bohémien di lusso, non risultasse sgraziato.
"Che ne so... Un po' di tutto? Mi hai trascinato fin qui senza dirmi niente di preciso... Vieni," citò cercando di imitarne il tono e i gesti, "sentirai che la musica ti piacerà, ed il posto non è male."
"Già, è vero, ma non voglio rovinarti la sorpresa."
I lineamenti di Rici erano gli unici per i quali Dean avesse mai pensato che calzasse l'aggettivo affilati. In momenti di scarsa lucidità, o forse in quelli di lucidità eccessiva, gli era passato per la mente il fatto che lo avesse accarezzato si sarebbe ferito le mani.
"Che sorpresa, scusa?"
"Ti rendi conto che la tua è una domanda del cazzo, sì?"
Le mani di Rici, puntate contro di lui, erano alienamente grandi. Dean era giunto a questa conclusione solo dopo anni di osservazione, perché non erano di dimensioni tali da far pensare ad una malformazione. Semplicemente erano sottilmente sproporzionate, in maniera che la loro dimensione inumana se ne rimanesse in un angolo della coscienza ad annodare la gola. Se l'elfo era solo frutto della sua fantasia, probabilmente il ragazzo aveva qualche turba emotiva infantile legata alle mani.
"Volevo metterti alla prova."
"Già, certo..."
Normalmente i parti della propria immaginazione deridono?
"Senti, vaffanculo."
La risata dell'elfo era una musica a cui Dean aveva fatto ormai il callo, e graffiò le uniche orecchie che la potevano sentire, rese fredde da quella relazione solitaria. Era davvero difficile per un giovane dovere crescere sapendo che il proprio amico invisibile non è qualcuno che ci si possa scrollare di dosso con l'età, o con qualche seduta di psicoterapia, ma piuttosto la realizzazione in carne, ossa e sarcasmo del personaggio di un gioco di ruolo.
"Comunque, Dean, non è che ti abbia costretto a fare nulla..."
"Sai essere convincente."
Era la storia della sua vita: Rici decideva che lui avrebbe dovuto fare qualcosa, e poi gliela menava con talmente tanta insistenza che finiva per averla vinta. Come quando alle elementari gli aveva fatto iniziare a suonare il violino. O come ogni volta che c'erano dei vestiti da comprare (su quello Dean doveva però ammettere che l'opinione dell'altro era sempre corretta). O come quando aveva voluto portarlo in quel pub a sentire quel gruppo che si stava preparando.
"Wow, che complimentone. Stiamo diventando sentimentali?"
"E poi non avevo niente da fare."
"Saresti stato a leggere qualche enorme tomo polveroso."
"Probabile. E con questo?"
"No, niente. A me piacciono i tomi polverosi. Ma magari non tutte le sere di tutte le settimane..."
"Ehi, è il mio lavoro."
Dean si riteneva un ricercatore. Il suo lavoro, spesato da una fondazione che sospettava essere in qualche modo riconducibile a Rici, consisteva nel leggere antiche saghe e racconti per individuarne dei fili conduttori comuni, al di là delle tipiche trame fiabesche o dei vissero-tutti-felici-e-contenti. Qualcosa più come trovare un personaggio comune ad un racconto sumero ed uno tolteco, magari creati a secoli di distanza.
"La gente normale non lavora dopo cena."
"Il mestiere più antico del mondo si svolge principalmente dopocena."
"Ai miei tempi era una vocazione..."
L'elfo assunse un aria sospirante palesemente artificiale, col dorso di una mano a spingere in alto il volto. Non riuscì a tenerla a lungo prima di ridacchiare e riprendere.
"Scherzi a parte, da dove vengo io non ci sono le puttane. Non come da voi. Viene considerato normale il fatto che la gente faccia sesso un po' con chiunque, giusto per il piacere di farlo. E non è raro che in questi incontri ci si scambi anche dei regali, o altri tipi di favori."
"Questo spiega molte cose."
"Ad esempio?"
"Beh, il fatto che non siate avanzati tecnologicamente se non emulando noi altri."
"Spiegati."
"Immagino che questa vostra pratica, o abitudine, sia una cosa abbastanza consueta anche in quelli che sarebbero i vostri ambienti accademici, quindi scuole, università, centri ricerca. O quelli che sono gli analoghi del tuo mondo."
"Penso di capire dove vuoi arrivare, ma continua."
"Ecco. Immagino tra l'altro che non vi imponiate tabù sul sesso dei possibili partner."
"In effetti nella mia cultura non c'è ragione per avere certe limitazioni..."
"Quindi le generazioni che dovrebbero imparare, e le menti fresche che potrebbero creare, non hanno ragione di impegnarsi per ottenere qualcosa, poiché possono superare gli ostacoli scolastici semplicemente donandosi ai docenti."
L'elfo sorrideva. Si poteva vedere quanto era contento dal modo in cui le sue orecchie erano ben ritte. Quello era un segno che valeva un po' come lo scodinzolio dei cani. Le discussioni come questa facevano sempre un ottimo effetto all'umore comunque gioviale di Rici.
"Ok, il tuo ragionamento ha dei problemi."
"Ovvero?"
"Noi non abbiamo niente di analogo ad un centro ricerche, o ad un'università. L'istruzione è volontaria. In genere in famiglia si danno le basi necessarie, un'infarinatura generale, diciamo, e poi il o la giovane va a cercarsi qualcuno che possa insegnarle quello che più le interessa. Si instaura una relazione studente-insegnante che spesso include anche il sesso, ma volendo imparare, si passa cultura, oltre che fluidi corporei. I limiti al nostro progresso tecnologico sono, a mio parere, più da imputare al fatto che non abbiamo in pratica un riciclo generazionale, né delle ragioni interne che ci spingano a sviluppare nuove soluzioni. Siamo pochi, immortali, perennemente giovani: perché dovremmo annoiarci col progresso?"
Le emozioni di entrambi si stavano scaldando, come sempre succedeva quando si gettavano in discussioni simili. Nel frattempo la suonatrice d'arpa era arrivata, a braccetto con il proprietario del pub, allo sgabello di fronte al suo strumento, che ora stava accarezzando ad occhi chiusi. Dean la scrutava con la coda dell'attenzione.
"Appunto perché puntate a vivere per sempre, dovreste cercare soluzioni per rendere sempre più confortevole la vostra eternità."
Quando si accalorava, Dean gesticolava. Poi si rendeva conto del fatto che dall'esterno sembrava parlasse da solo, e allora cercava di moderarsi. Ma dopo poco se ne scordava, e ricominciava ad agitarsi, solo per poi di nuovo preoccuparsi dell'impressione che dava. E ancora, e ancora, e ancora. Al contrario Rici era molto contenuto. Non gesticolava. Si limitava ad esprimere le sue emozioni con le espressioni del viso, spesso limitandosi a sollevare un sopracciglio dubbioso.
"A che pro? Per diventare servi della nostra tecnologia? Per giungere al punto di chiuderci nelle nostre case, stesi su divani che ci danno tutto ciò di cui ha bisogno il nostro corpo, senza mai toccare altre persone? Oppure per scagliarci addosso armi nucleari per un capriccio lungo pochi anni?"
Da bambino Dean piangeva ogni volta che vedeva i filmati delle esplosioni delle bombe sganciate durante la guerra. I filmati dei test negli atolli tropicali, anni dopo, gli avevano causato un effetto solo di poco più blando. Ora Rici gli sorrideva sapendo di avere richiamato quel ricordo.
"Tu stai..."
Dean si fermò. Sugli avventori del pub era caduto il silenzio. Voltandosi incrociò lo sguardo di una ragazza immobile davanti ad un piatto d'arrosto con patate, e del ragazzo seduto al tavolo di lei. Erano gli unici, oltre a lui, ad abbassare l'età media del locale del locale, stonando con il resto degli avventori. In realtà era probabile che anche l'arpista fosse più giovane di lui, ma visto il suo ruolo la sua presenza calzava perfettamente quell'ambiente.
I primi gorgheggi di lei lo sorpresero. Ci fu un primo istante in cui Dean ebbe l'impressione che lo avrebbero stordito lasciandolo un ascoltatore inebetito. Poi il resto del gruppo le andò dietro, e questo in qualche modo spezzò l'incantesimo. Gli ci volle un attimo per riordinare le idee. La ragazza continuava a tenere gli occhi chiusi, lasciando che le sue mani danzassero cieche alla ricerche delle giuste note, ma lui sentiva il suo sguardo addosso.
Il sorriso soddisfatto dell'elfo non mostrava stupore né preoccupazione.
Dean decise che ora non gli avrebbe anche dato il piacere di rimanere intontito e chiedere cosa stesse succedendo. Con un sospiro tornò alla discussione che avevano interrotto.
"Dicevo."
"Dicevi?"
"Dicevo, che stai dicendo una cazzata, perché come la vedi tu, quelle distopie che prevedi, non c'entrano niente con la tecnologia in sé. È la gente che causerebbe quelle situazioni, e non i mezzi resi disponibili dal progresso. "
"Quindi è giusto realizzare armi nucleari, purché poi non le si usi?"
"Mi pare che questo non centri proprio un cazzo."
"Ma certi passaggi tecnologici sarebbero stati necessari, non credi? E tra questi l'energia nucleare, secondo me."
"E quindi?"
"E con quella, ci sarebbero le armi nucleari."
"Solo in teoria. Non sarebbe obbligatorio realizzarle. Né tanto meno utilizzarle."
"Ma poi mi chiedo: avrebbe senso?"
"Cosa?"
"Voi umani siete così tanti, sviluppate nuove tecnologie così rapidamente. Noi pochi elfi non potremmo starvi al passo. È così più comodo aspettare e copiare da voi le conoscenze utili che non fanno danni."
"Questo è proprio un ragionamento di merda. Con la possibilità di vivere in eterno, vi basterebbero pochi anni per colmare interamente il gap, e a quel punto avreste a disposizione individui che sanno tutto lo scibile in determinati campi, cosa irrealizzabile con il poco tempo a disposizione di noi altri. A quel punto la scienza progredirebbe, quantomeno per inerzia."
"Ma per accumulare quel sapere dovremmo trascorrere anni senza fare altro che non studiare."
"Per un bene futuro."
"Cazzate. Il concetto di bene futuro è così umano che non puoi pensare di adattarlo alla mia società."
"Casomai il contrario."
"No, vedi, sapendo di avere l'eternità per fare qualcosa di utile, ti affretteresti o coglieresti quello che ti capita man mano?"
Dean si fece silenzioso. Si chiuse in sé stesso riflettendo seriamente su quel punto. L'elfo aveva una posizione sensata, in fondo. Il gruppo stava continuando con la sua musica. I pensieri del ragazzo ne seguivano il ritmo. Seguivano il ritmo delle note pizzicate sulle corde dell'arpa. Seguivano il ritmo della treccia dell'arpista, che ondeggiava seguendo il capo. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma Dean cercava lo stesso di leggere un'espressione. Ormai la discussione con Rici stava venendo accantonata.
"Meno male che non vi consumate a guardarvi." Furono le parole dell'elfo, che richiamarono l'attenzione dell'altro.
"Cosa?"
"La stai fissando da quando si è seduta."
"Ah."
"È bella, vero?"
"Già..."
"E perché fissi me, ora?"
"Non avevi mai commentato una ragazza. Mai."
"Naturale."
"Che intendi?"
"Nessun individuo normale della mia razza potrebbe trovare attraente qualcuno di voi."
"Beh, tu sì che sei di ampie vedute."
"Dico sul serio. Siete troppo... troppo... scusa, troppo animaleschi, ecco."
"Presenti esclusi, mi auguro."
"No, no. Anche tu."
"Beh, minchia, certo che sei simpatico."
"No, ascolta: non ti offendere. È che noi, fisicamente, siamo più fini, meno simili a scimmie. Voi siete pelosi, sudate; ecco, siete sgraziati, per i nostri standard."
Gli altri clienti del pub cominciarono ad applaudire, e Dean li imitò meccanicamente, rendendosi solo dopo un poco conto di essersi perso il finale. L'elfo rise, ma il ragazzo non gli badava. Cercò di leggere qualcosa che l'arpista stava sussurrando al padrone del locale, che le si era accostato. Fallì, ed ordinò due Guinness. Il cameriere non fece domande, e dopo un poco gliele portò.
"E comunque, questa musicista cosa ha di diverso? Ti hanno svelato che si rade? O che ha una malattia del sistema linfatico che le impedisce di sudare?"
Dean si chiese come avrebbero visto gli altri nel locale il suo amico che beveva. Il bicchiere sarebbe scomparso nell'invisibilità che caratterizzava l'elfo ai loro occhi? Oppure avrebbe fluttuato, versando il suo contenuto nero nel nulla?
"No, imbecille. L'hai sentita? Hai sentito che voce? Hai sentito che mani su quell'arpa?"
"Certo, è fenomenale. E con questo? Ci sono cantanti migliori, e migliori arpiste, in giro per il mondo."
"Beh, a parte il fatto che non ci scommetterei, ma comunque lei suona come un elfa."
"Uh, sarebbe?"
"Non te lo so spiegare, mi sa..."
"Se non ci provi sei proprio inutile."
"Funziona un po' come quando vedi uno sulla spiaggia con una palla, e ti accorgi che probabilmente quello, almeno un po' nella vita, a pallavolo ci ha giocato, per come si muove, per come si mette."
Lasciando la schiuma sul fondo della pinta, Rici si alzò, apparentemente spostando tutto il suo corpo in un unico movimento, come se ad un tratto il burattinaio fosse tornato ed avesse ripreso in mano bruscamente i fili.
"Vieni Dean, andiamo."
Il ragazzo si limitò a sorridergli interrogativo, mentre l'elfo tirava fuori da una tasca del cappotto di lana nera pettinata i soldi del conto. Posata la banconota sul tavolo, l'elfo fece il giro del tavolo, dando l'impressione che i suoi piedi si stessero godendo ogni passo nelle sue scarpe.
"Forza, alzati. Dobbiamo sbrigarci."
"Per fare cosa."
Dean era riluttante ad andarsene, perché doveva ancora finire la sua birra. Comunque, ne bevve solo ancora un sorso prima di alzarsi con ostentata svogliatezza.


Apparentemente più contento ad ogni falcata, Rici lo condusse fuori dal pub ed in una viuzza nascosta, fino al retro del locale. Un furgone aspettava silenzioso che i membri del gruppo caricassero gli strumenti.
Come un immagine in un sogno (o in un filmaccio di serie B a basso budget) l'arpista spiccava dalla semioscurità per l'oro dei suoi capelli ed il chiarore della pelle e del vestito. L'elfo si diresse verso di lei, gesticolando a Dean di aspettare. Il ragazzo approfittò dell'attimo di solitudine per accendersi una sigaretta: conveniva con l'altro che quello fosse un vizio disgustoso, ma smettere era troppo faticoso per un giovane che non riusciva ad avere compagnie normali a causa di un'invadente amico che non sarebbe dovuto esistere. Di nuovo si chiese se non era pazzo, se in realtà l'elfo non era una sua emanazione, come Brad Pitt per Edward Norton in Fight Club. Ma ora, cazzo, il suo supposto alter-ego stava portando fin lì la bella musicista.
"Ciao Dean."
La voce era la stessa che aveva cantato. Anzi, sembrava quasi che stesse ancora cantando mentre parlava.
"Dean," prese parola Rici, "ti voglio presentare Ana. Ana, Dean."
Senza pensare il ragazzo strinse la mano che gli veniva offerta, stupendosi di quanto poco fosse calda e del fatto che ancora la musicista teneva gli occhi chiusi.
"Ho assistito al concerto. Siete stati fantastici."
"Grazie Dean."
L'elfo non lasciò che cadessero più di due attimi di silenzio.
"Dean, non dovresti fumare."
"Lo so. Sono d'accordo."
"E allora perché non smetti?" Gli chiese Ana, sorridendo con un'aria così deliziosamente ingenua da volerle quasi fare del male.
"È difficile... E poi questo mio amico non mi aiuta affatto."
"Come mai?"
"Esiste."
E a questo punto si accese una lampadina nel cervello di Dean. Lui stava parlando con Ana. Che gli era stata presentata da Rici. Che le parlava.
"Ma tu puoi vederlo???"
La afferrò rudemente per le spalle, senza rendersi conto che la stava scuotendo mentre le urlava contro. Non gli era molto chiaro se si stava comportando così perché era felice di potere infine dividere il segreto della sua schizofrenia, o se era arrabbiato per qualche irrazionale motivo connesso agli anni passati solo con Rici.
Un secondo dopo l'elfo li separava, spingendo con forza inattesa il ragazzo, che barcollò qualche passo indietro. Dean però non era ancora pronto a sentirsi in colpa. Lo shock probabilmente per lui era stato troppo forte, e stava saturando completamente le sue possibilità emotive. Intanto una parte di lui registrava il fatto che nessun membro del gruppo pareva rendersi conto di loro, e di Ana che sembrava per qualche ragione ferita.
Pensando di far apparire glaciale il suo tono, ruppe il silenzio.
"Mi dovete delle spiegazioni. Tu, Rici, mi devi delle spiegazioni. Ho diritto a delle spiegazioni."
Ma man mano che parlava la carica di adrenalina, o quel che era, che lo sosteneva all'inizio andava scemando, e il suono della sua voce perdeva convinzione.
"Sei crudele." Gli rispose Ana, la voce tremante.
"Crudele? È tutta la vita che sono da solo perché nessuno poteva vedere l'uomo alto che avevo accanto. Ora arrivi tu parlandogli, e chiedere spiegazioni è crudele? Che cazzo di scherzo è questo?"
"Dean," Si intromise Rici pacificatore, "Ana non può vedermi, perché è cieca.
"Io... mi dispiace Ana, non sapevo... Ma questo non cambia la situazione. Nessuno ti aveva mai neppure sentito, Rici, nessuno."
"Beh, lei, come te, può sentirmi parlare. Se non fosse nata con questo problema agli occhi, potrebbe anche vedermi."
Il tono di Ana era tornato la musica che era in principio.
"Mi pare giusto, incontrare una persona con la mia stessa follia proprio la sera in cui lascio la città."
"Che cosa? Te ne vai?"
"Sì. Stanotte era la nostra ultima serata qui in città. Ci siamo fermati per un mese."
"E dove vai?"
"Non so, sai? Siamo ancora in giro a suonare, ma non mi interessa molto dove. Tanto in tutte le città i panorami sono gli stessi, e nessuna ha l'odore di casa."
Gli sorrise, e lui altrettanto.
"Rici," continuò lei, "bada al ragazzo, che poi ci vorremo rincontrare, e salutami le nostre amichette: le ho sentite anche stasera."
Baciò le guance di entrambi, poi si fece riaccompagnare dall'elfo fino al furgone, già pieno del suo carico.

Quando fu tornato da lui, Dean chiese all'amico:
"Che amiche?"
"Niente, fate."