PROLOGO - Un ritorno inaspettato

Author: The_Dreamer / Etichette: , ,

La città, ogni città per essere obiettivi, è sempre confusa e in qualche modo caotica. Selenia, il gioiello delle città imperiali, non era assolutamente da meno.
I vicoli e i ciottolati erano perennemente gremiti di gente, e nella città la promiscuità razziale era oramai all'ordine del giorno.
Nei tempi antichi era difficile vedere elfi camminare tra gli uomini, o gruppi di nani sulla piazza centrale, intenti a discutere sul rincaro del carbone.
Non che la convivenza forzata fosse idilliaca, anzi, spesso era l'esatto contrario.
Recentemente le piccole comunità di elfi insediatesi pochi anni apprima si sentivano risentite e aggredite dagli umani, a causa dei danni che essi stavano causando alla cascata del Nivrot e di conseguenza alle foreste che quell'acqua aveva alimentato da sempre, i Boschi Neri, foreste millenarie conosciute da tutti come la sede delle più grandi città elfiche.

Oggi era giorno di mercato, ma a causa di una protesta organizzata dal Popolo (come gli umani definiscono grossomodo tutto quello che abita nei boschi) le bancarelle erano ancora chiuse nonostante il sole fosse già alto, e un gran numero di persone attendeva di poter accedere alla piazza, chiusa da un cordone di elfi, grossomodo un centinaio, legati con pesanti manette l'uno all'altro.
“Lasciate in pace le nostre foreste!” urlava una donna nel gruppo
“State uccidendo la nostra gente!” gli faceva eco un'altra
Ma nessuno nel mucchio degli astanti pareva interessato. Piuttosto, molti di loro si lamentavano del ritardo con cui avrebbero aperto le bancarelle, su quanto poco la milizia cittadina facesse per tutelare gli interessi dei cittadini e su come gli elfi fossero quasi malsanamente opposti al progresso.
La deviazione della cascata aveva in effetti privato i Boschi Neri di molta dell'acqua necessaria al loro sostentamento, ma la maggior parte della popolazione era ignara dell'accaduto o semplicemente non era interessata al destino dei suoi abitanti.
Le ore passavano e la milizia ancora non si era mostrata, ma un paio di ore dopo il mezzodì l'aria fu riempita da uno strano odore. Alcuni dei presenti lo descrissero poi come “come un odore di pioggia...quando ci sono lampi e fulmini”.
Un potente schiocco risuonò nell'aria, seguito poi da uno scoppio azzurro. Una bolla traslucida apparve a mezz'aria, per poi atterrare tra la folla che, spaventata e sorpresa, si aprì, liberando uno spazio circolare.
A poco a poco, mentre la bolla si andava dissolvendo, al suo interno presero forma una dozzina di figure, tutte avvolte in tuniche di diversi colori. Man mano che esse diventavano più visibili, la tensione tra la gente aumentava e, seppure molti lo avessero già capito, ancora si rifiutavano di crederlo.

Maghi.

Quando la bolla fu sparita, la folla si spinse ancora più in là, aumentando lo spazio tra loro e i nuovi arrivati.
La ragione del timore instillato dai maghi era del resto comprensibile.
Quindici anni prima, una ribellione tra la gente, che gli storici definiscono come “Rivolta dei Pezzenti”, riuscì a soverchiare la magocrazia di Selenia, aiutata da gruppi di avventurieri mercenari e dagli eserciti dagli occhi a mandorla dei regni dell'est di In'jan. In un ultimo, disperato tentativo, Karhioss, l'allora Arcimago e governante, riunì un consiglio di dodici potenti incantatori e condusse un rituale scellerato che squarciò il tessuto stesso della realtà, trasportanto il Palazzo Arcano, la sede del governo e dell'Accademia Arcana chissà dove nell'universo. Le conseguenze furono tremende.
Gli edifici e le case nel raggio di cinquecento metri dal Palazzo vennero schiantate da una poderosa onda d'urto, incenerite da fiamme di un innaturale azzurro o in qualche modo lanciate in aria da una qualche mistica e malvagia energia. Quel giorno i maghi erano definitivamente spariti, il loro disinteresse per le faccende dei cittadini dissolto. Selenia poteva finalmente rinascere e espandersi, come aveva fatto in questi anni.
Ma ora molti, sopratutto tra gli anziani, temevano un ritorno alle origini, e gli stessi giovani, che più e più volte avevano sentito raccontare le storie di quell'epoca buia in cui chiunque non fosse un mago viveva come un mendicante, erano intimoriti.

La bolla era ora dissolta e i dodici erano serrati a cerchio, spalla contro spalla.
“La Traslazione è andata bene, Fratello Archeos, ma credo che le coordinate fossero errate. Questa non sembra affatto la piazza del governo.” disse uno dei maghi rivolto al suo vicino
Dodici paia di occhi scrutavano i dintorni, analizzando ogni dettaglio, indugiando particolarmente sugli elfi incatenati a cerchio.
“Pare che siamo arrivati al momento sbagliato, Fratelli” disse ad alta voce quello che era stato chiamato Archeos “Non ricordo di elfi a Selenia, né tanto meno in atteggiamenti tanto plateali. Quindici anni senza la nostra guida e il popolo si è ridotto a commedianti...sporchi villici”
“Archeos!” disse un terzo in mezzo al gruppo, abbassando il cappuccio “Ti ricordo che siamo qui per parlamentare. Il tuo atteggiamento non aiuterà certo.”
Il mago che aveva parlato sembrava il più anziano tra di loro, non aveva capelli né barba e profonde rughe solcavano il suo viso, come fossi scavati da un'aratro. Questi si distaccò dal gruppo, muovendo qualche passo in direzione del cordone degli elfi. Al suo passaggio gli avventori del mercato si scansavano con furia, spingendo e sgomitando, come se la sola vicinanza potesse essergli letale.
Si venne a creare un canale di vuoto tra i maghi e gli elfi, una figura geometrica così affascinante che, di sicuro, aveva un qualche significato mistico.
L'anziano alzò una mano e sollevò tre dita: “Aken-thos, Popolo dei Boschi” disse “Vi saluto nel nome del Collegio Arcano. Il mio nome è Varimatras”
“Aken-thos a te, Varimatras” rispose un elfo dai lunghi capelli color rame “Ma non ti concedo il beneficio del mio nome. Potresti stregarmi.”
“Non mi importa cosa tu credi di me, elfo. Non ho tempo per mostrarti le mie vere intenzioni. Devo sapere dove è ora la sede del governo.” replicò il mago.
“Perchè lo chiedi proprio a me, umano? Perchè non a uno di loro?” sbottò indicando con il braccio incatenato la folla.
“Perchè loro ci temono, e temo che la nostra sola presenza sia troppo per loro. Voglio evitare il conflitto, così come i miei fratelli. Dobbiamo vedere l'attuale reggente”.
L'elfo annuì, comprensivo, quindi, rivolgendosi a lui in elfico, sussurrò “Nella folla, alcuni sono armati, credo abbiano dei sassi e dei bastoni. Non fategli del male.” Varimatras fece segno di comprendere. “E portatemi con voi. Ho anche io delle faccende da discutere col reggente. Vi guiderò fino al palazzo e cercherò di farvi da garante in città.”
“Tu? Non credo che il primo incontrato possa essere un buon pacere, senza offesa ovviamente” ridacchiò Varimatras.
L'elfo fece un mezzo sorriso e fece scattare il polso. Con un sonoro “click” una delle manette si aprì, permettendogli di liberare l'altra mano. Fece due passi indietro e recuperò uno zaino e vari oggetti gettati lì in terra, tra cui un liuto. “La gente apprezza la mia musica. Sono conosciuto e ben accetto in città. Non ho ancora ben chiare le vostre intenzioni ma sento di potermi fidare di te Varimatras. Il mio nome è Varael, ma la gente mi conosce come Sussurro”

I due si guardarono per qualche istante, mentre la piazza si faceva sempre più silenziosa. Poi, lentamente, Varimatras e Sussurro si riunirono agli altri maghi, e il piccolo corteo iniziò a marciare a passo svelto verso Piazza dell'Oro, la sede del Palazzo Imperiale.

Conrad il druido - 8 (Il consiglio druidico)

Author: Jager_Master / Etichette: ,

“Fratelli carissimi”. E si fermò, lo sguardo calato a quella radura, con centinaia di facce all’insù, nel silenzio più profondo, interrotto solo dallo scoppiettare della legna fra le fiamme.

“E’ una gioia immensa rivedervi tutti, anche se questa volta il nostro compito è più gravoso che mai”.

La voce giungeva a molti passi sotto di lui, chiara e limpida. Il canalone ventoso portava un effetto strano, quasi amplificato, tanto che chiunque parlasse da lassù sembrava fosse a distanza per porgerti la mano. Eppure la figura di Conrad, osservando dalla radura, non era che una sagoma frastagliata. Ma nessuno ci fece caso, era la normalità di ogni consiglio, e la rupe regalava anche di queste cose (non era da escludere, peraltro, che una parte di questo riverbero sonoro fosse opera di Conrad stesso).

“La natura” - continuò il Maestro - “ci ha dato un ultimatum, al quale dobbiamo rispondere. E in breve tempo. Tutti voi siete a conoscenza di ciò che le creature di questo mondo, e l’uomo in testa, stanno causando a questi boschi, a queste montagne”.

Si, lo sapevano. I due giovani druidi, laggiù, abbassarono un po’ il capo, come caricandosi di parziale vergogna.

“La foresta del Sud, lo sapete, è quasi sparita. I ceppi nudi sono a perdita d’occhio e campi coltivati nascono dove prima era solo pascolo di cervi. La cascata del Nivrot è stata deviata, e tutti i Boschi Neri, anche quelli più antichi, stanno morendo senz’acqua. La pazzia dell’uomo e la crescita indisciplinata di ogni nuova città seminano morte e distruzione senza che nessun nuovo albero venga piantato e senza il rispetto di ogni forma di vita animale. Invece di spostarsi in funzione dei fiumi, sono gli stessi ad essere deviati per giovare all’uomo.”

Un sommesso brusio di consenso serpeggiò nella folla. Conrad stava dicendo verità assolute.

“La soluzione, fratelli miei, non è però immediata o scontata. L’uomo è nato per dominare, lo sapete tutti. Quello che però nemmeno loro sanno, è che ci sono regole alle quali tutti dobbiamo sottostare, anche noi druidi. Le sanzioni, altrimenti, saranno durissime, e nessun druido di questa Terra potrà mai opporvisi. Sta a noi insegnare tutto questo, diffondere il sentimento di pericolo che incombe su queste pianure e di rispetto nella madre di tutti gli esseri che vivono sopra e sotto le acque. Ma vi esorto. Vi esorto tutti…”

Molti druidi sgranarono ancora di più gli occhi. Alcuni fra i lucertoloidi, padroni di una miglior vista, registrarono un Conrad a pugni racchiusi, quasi contrito.

“…vi esorto dal profondo nel cuore. Ogni decisione va portata avanti, ma non in modo violento. L’uomo deve essere educato, non costretto, a meno di essere alle strette. Chi è educato, rispetterà per sempre, chi è stato costretto rispetterà le decisioni prese per la propria generazione, in attesa che antichi problemi risorgano con i figli dei figli, e noi stessi dovremo ricombattere la stessa battaglia fra cent’anni. La mia proposta, fratelli, è di decidere oggi i tempi per cambiare questo Mondo, e di farlo con il benestare dell’uomo, non con il suo capo chino. Il consiglio, da ora, prende la parola”.

Indietreggiò, e sparì alla vista dei druidi.

Ora, la parola passava al Consiglio. Dieci dei druidi più anziani avrebbero avuto parola, ed a semicerchio lo fecero discutendo per tutta la notte. I restanti druidi ascoltarono in silenzio, come spettatori ad uno spettacolo in piazza. Furono sviscerati i pro e i contro della collaborazione con l’uomo, furono fatte previsioni da qui a cent’anni, gli alberi quasi contati uno a uno. Addirittura si arrivò a discutere della prole degli scoiattoli, in un caso o nell’altro, e non si venne a capo quasi di nulla. Buona parte dei druidi, soprattutto dei più giovani, propendeva per un giro di vite, una costrizione, un periodo di magra per l’uomo che fosse da monito e da lezione.

Conrad osservava dalla sua seggiola, leggermente discostato dal semicerchio druidico. Immerso nei suoi pensieri ascoltava parte delle parole e della discussione, per poi rimuginare le conseguenze nella propria testa. Di tanto in tanto spostava lo sguardo alla folla alla sua destra. Centinaia di druidi di tutte le razze e di tutte le nazioni annuiva o bofonchiava ad ogni parola che usciva dal semicerchio, ed egli stesso leggeva negli occhi una rabbia furibonda. Alcuni dei più giovani torturavano fra le mani legnetti e fili d’erba intrecciati, quasi a scaricare una violenza repressa. Capì fin da subito che il suo parere, per quanto autorevole, non era condiviso all’unanimità, anzi.

Una parte del consiglio, invece, propendeva per un’educazione basilare nei confronti dell’umanità: leggi severe e precise sulle coltivazioni e sui disboscamenti, una recinzione meno costrittiva per l’uomo, più lenta nel portare risultati ma migliore per le conseguenze nel lungo periodo. Ma anche qui i più facinorosi opposero resistenza, obiettando che l’arroganza dell’uomo ormai non permetteva più nessun tipo di tolleranza, e che i tempi erano tali da pretendere risultati immediati.

Insomma, non se ne veniva a capo. Tanto che i toni, sempre sommessi in questo tipo di Consiglio, si accesero in poche ore: alcuni fra i druidi-spettatori si alzarono a turno per chiedere brevemente parola, sottoponendo agli anziani punti di vista sempre differenti, a volte opposti rispetto a quello che magari era appena stato discusso, rimettendo in campo le stesse carte con un’angolazione diversa.

Tutto ciò è molto costruttivo, analizzò il Maestro nella sua testa, ma non avrebbe portato ad una soluzione pacifica, se alcuni punti fermi non fossero stati accettati da entrambe le parti.

Thof gli passò accanto, leggero e quasi comico nella sua mole, ma rispettoso di un rituale che non lo vedeva partecipante: aveva sotto il braccio una grossa fascina, legata alla bene e meglio. La pose (non la buttò) accanto al fuoco, e cominciò a distribuire i grandi pezzi di tronco lungo l’arco del falò, con una precisione da fuochista che incantò Conrad. Sembrava che Thof volesse essere invisibile, come un’ombra, un’ombra di due metri in verità, o un maggiordomo di grande esperienza.

Si incantò qualche minuto nell’osservare il Minotauro che continuava la sua opera di alimentazione, perdendosi con lo sguardo nel crepitare delle fiamme. Poi si risvegliò dal torpore, drizzò la schiena e alzò una mano.

Quasi tutti si voltarono, e pochi istanti dopo le voci cessarono una dopo l’altra.

Conrad si alzò e fece qualche passo, fino ad entrare nel semicerchio dei saggi, anch’essi voltati ad osservare i movimenti del Maestro.

“Per oggi credo si sia detto molto, forse troppo. Vi chiedo di andare a riposarvi qualche ora, nell’attesa di continuare questa discussione domani mattina, sperando che il molto o il troppo si trasformino in stretto necessario. Perché è questo quello che serve, in realtà, non un’accozzaglia di voci e grida”. Il suo sottile messaggio arrivò a bersaglio, e molti druidi tolsero lo sguardo dal maestro.

“Riflettete tutti questa notte. È importante, anzi…vitale, che un’intesa venga trovata in questo Consiglio, e che anche le distanze maggiori vengano colmate. E in fretta. Vi auguro un sonno chiarificatore”. Detto questo si voltò, e scese dal soppalco che sovrastava il prato del consiglio. Si diresse nella boscaglia, seguito con lo sguardo da Thof e da quasi tutti i druidi.

Sparito il Maestro, la folla si diradò in rigoroso silenzio. Tutti i druidi presero congedo per andare a riposarsi, chi nella boscaglia, chi seduto su una roccia, chi in un letto di foglie.

Giusto per la cronaca, vi rivelo che fra i tanti, ci fu anche un druido di razza draconica, che decise di riposarsi lassù, in cima alla rupe. Nessuno, tranne Thof, se ne accorse. Aprì le possenti ali e si librò alto, e in pochi battiti atterrò fianco al fuoco.

Naturalmente non si poteva, ma Thof che era di cuore buono, salì lassù, con la sua brava fascina sotto il braccio. Lo vide, questo giovane drago. Lo vide sonnecchiare fianco al fuoco, forse inconscio della bravata.

“Scendi, ragazzo” disse sottovoce il Minotauro.

Il drago si voltò di soprassalto, colpito da quella voce profonda. Credendo di essere solo, si trovò sprovvisto di parole per giustificarsi.

“Io…” disse, prima di essere interrotto.

“Scendi. Thof no spia”.

Il draghetto rimase in silenzio qualche attimo, poi capì. “Si, grazie”, disse soltanto e in un battito d’ali sparì nella notte, per ridiscende a più consoni livelli.

Thof dall’alto lo guardò, finchè la notte e la vista non glielo nascosero.

Poi sorrise divertito, prese la fascina con il braccio nodoso e la gettò nel fuoco, che rispose vigoroso.

Stette un attimo ad annusare la notte, zufolando qualche nota. Giusto pochi minuti, prima di tornare al lavoro.

Conrad, laggiù nella boscaglia, mosse il capo ritmicamente, senza aprire gli occhi. “La ballata dell’Unicorno”, sussurrò a se stesso. E ne rise sollevato.

Conrad il druido - 7 (Il consiglio druidico)

Author: Jager_Master / Etichette: ,

Conrad entrò, inconsapevole del proprio inseguitore, all’oscuro di cosa stesse facendo il suo fido Chek, mentalmente aperto e pronto al nuovo Consiglio Druidico della Seconda Era, Anno 3222.

Entrò nel cerchio, e s’incamminò per il pendio scosceso che portava alla rupe centrale, dove già lo stavano aspettando molti dei suoi vecchi amici e colleghi. Il sentiero ciottolato scendeva ripidamente, quasi a strapiombo. Aggrappandosi ai rami con le grosse mani, Conrad si fece strada, aggregandosi poco più avanti ad un paio di druidi, anch’essi sulla stessa strada, anch’essi che scendevano pian piano tenendosi a rami ed arbusti. Due umani, a prima vista decisamente giovanili. Non li conosceva, né mai li aveva visti in tutta la sua vita, ma c’è da aggiungere che sono anche numerosi i druidi che ogni anno si accingono ad entrare nel consiglio druidico, e non è raro trovare molti visi nuovi assieme a quelli già conosciuti.

Li salutò educatamente, ed essi risposero al saluto, voltandosi nella discesa per sorridere al nuovo compagno. Poi ritornarono alla discesa, attenti a dove poggiavano i piedi.

Sbrigate le formalità, anche Conrad si concentrò sulla strada, calcolando che da quel punto mancava non più di mezz’ora di cammino per arrivare alla rupe.

La discesa terminava su una pianura, con rari alberi sparsi nelle vicinanze e una folta foresta in lontananza. Oltre quella foresta, sbucava all’orizzonte una punta di roccia, la cosiddetta Rupe del Consiglio, dove ogni 27° luna dell’anno si teneva il Consiglio Druidico.

Terminata la discesa, Conrad si concesse un morso di mela, e si sedette. Gli umani non si voltarono nemmeno, e iniziarono la passeggiata lungo la radura, come niente fosse. Strane bestie gli umani, pensò il mezz’orco: vivono in comunità, fondano paesi e castelli, ma non sanno vivere in società. Si azzuffano per poco pane e si dichiarano amore eterno. Morirebbero per una donna, ma fuggono di fronte al dolore. Studiano e imparano come pochi altri al mondo, ma scordano le principali regole di vita, come questi giovani druidi.

Ma avranno tempo per scoprirlo. O meglio, sorrise fra se Conrad, lo scopriranno fra poche ore.

Si alzò, e seguì in lontananza i due giovani umani, che confabulavano animatamente, ampliando la discussione con vaghi gesti e risa sguaiate. Un atteggiamento tipico dei giovani, pensò Conrad. Da quel momento non gli prestò più molta attenzione, aveva altro a cui pensare.

Viaggiavano a circa mezzo miglio di distanza, ora. I giovani a passo veloce, Conrad che lentamente perdeva distanza dai due. Ma non aveva fretta, aveva bene in mente i tempi giusti, e si concesse di vagare col pensiero, annusando l’aria che si stava scaldando ai raggi del sole. Era sempre contento di partecipare al Consiglio, perché aveva anche l’occasione di passare per questi luoghi, dove piede…umano non poggiava quasi mai. L’erba era alta fino alle ginocchia, lucente e precisa nei milioni di fili verdi tutti paralleli uno all’altro, lanciati verso il cielo, come soldati ritti all’adunata. Anche gli alberi sembrava godessero di questa pace, aperti al sole e rigogliosi fin nel più piccolo ramo.

Chissà per quanto, pensò. E subito un’aura scura gli coprì la mente, rigettandolo in più cupi pensieri.

Rialzò la testa qualche minuto dopo, quando la volta degli alberi che circondavano la rupe gli aprirono la vista sul pezzo di roccia più imponente che occhio umano abbia mai visto.

Lanciata al cielo, quasi volesse staccarsi da terra, la rupe si stagliava oltre gli alberi, grigia come il manto del lupo della neve, scolpita che sembrava opera d’uomo. E invece era opera della Natura, che come ben si sa, ha mano certamente più capace e saggia. Superava i trecento piedi d’altezza, e solo tramite un’arrampicata laterale, si poteva raggiungerne la cima.

Osservò la punta della Rupe, parandosi gli occhi dal sole con la tozza mano, poi si diresse verso gli amici, che come ogni anno gli stavano venendo incontro.

Tese mani, abbracciò spalle forti, parlò a visi saggi e potenti. Ed ogni volta era come respirare aria nuova, come mettere il naso nella più grande biblioteca che si conosca, annusando la polvere dei libri antichi. Un brivido di immortalità e potenza invadeva le vene, e si sentiva più forte. Più felice. Più tutto.

In particolare, fu lieto di abbracciare Thof, un Minotauro dall’aria sognante. Era il guardiano del circolo, l’unico che durante l’anno viveva nel territorio druidico, ma non era un druido. Il suo compito era quello di tenere in ordine la rupe e tutti i boschi del circondario, nell’attesa dell’anno nuovo e di un nuovo consiglio.

Era un po’ (possiamo dirlo, non ne avrà a male) il passatempo preferito di ogni druido. Parlava poco e capiva ancora meno, ma era di una simpatia rara. Metteva allegria ad ognuno dei partecipanti al circolo, ed era un vero e proprio portento soprattutto con lo zufolo.

Lo trovò, come sempre, seduto ai piedi della rupe, con un nugolo di druidi attorno. E tutti battevano le mani mentre Thof soffiava deciso nello strumento a fiato, dandosi il tempo col piede e saltellando come un giullare. Suonava e suonava finché gli spettatori non si stufavano. Fosse stato per lui avrebbe suonato per giorni, non si stancava mai.

Conrad si fece strada fra la piccola folla di spettatori, e attese che Thof finisse il suo pezzo, che fra l’altro era il preferito del mezz’orco: “Ballata dell’unicorno” era il titolo dato dal Minotauro, e Conrad la trovava irresistibile.

Ascoltò paziente, quasi sognante, dopodiché approfittò della pausa nel finire della canzone, e si avvicinò a Thof.

“Thof, vecchio furfante, non mi saluti?”
Il Minotauro spostò lo sguardo in direzione della voce e si aprì ad un largo sorriso quando riconobbe Conrad. Posò lo zufolo e lo abbracciò calorosamente.

“Thof felice, Conrad. Bene?”

“Si, sto bene”, rispose il druido, sempre più felice di abbracciare il vecchio amico. “Me la risuoni, Thof? Ne ho sentita solo metà”.

“Sicuro” disse il suonatore, e si voltò per riprendere in tutta foga il suo strumento. Diede tre colpi a terra con lo zoccolo, e ricominciò la ballata. Questa volta anche Conrad si unì agli applausi, e accompagnò con essi tutta la canzone, dando il tempo alla melodia.

Era invecchiato, Thof, si vedeva. I suoi due metri di altezza non nascondevano i segni della vecchiaia, e qualche cicatrice rivelava che non aveva passato un anno tranquillo. Osservando le poderose braccia del Minotauro, però, Conrad capì che anche chi gli aveva fatto quelle cicatrici era probabile che non lo avesse raccontato a molta gente.

Passarono le ore, accompagnate dalla favolosa musica di Thof e giunse il crepuscolo. Con esso arrivarono anche tutti i ritardatari. Ora i druidi erano quasi quattrocento, provenienti da mezzo mondo, o forse dal mondo intero. Qualcuno aveva viaggiato per giorni, altri per settimane. Ma ognuno aveva negli occhi la stessa voglia e la stessa forza di partecipare a questo raduno.

I tre Fuochi del Consiglio vennero accesi, grazie anche al lavoro di Thof che aveva accumulato legna abbondante in tre grossi mucchi. Legna sufficiente per tenere accesi gli enormi falò per una settimana almeno. Il più grosso venne acceso in cima alla rupe, e da quel momento la luce nel cielo segnalò l’inizio dell’evento più importante dell’anno. Almeno per questi boschi.

I visi di tutti i druidi erano in quell’ora rivolti all’insù, rapiti dalle fiamme che si lanciavano al cielo, spezzando il blu della notte in rivoli rossi e gialli. Lo spettacolo era maestoso, da togliere il fiato. Sembrava che il Dio della Terra dovesse uscire da un momento all’altro da quella rupe, a poggiare la sua mano su ogni cosa sottostante, spalleggiato da quelle fiamme incredibili che bruciavano la roccia.

E in effetti, qualcosa di molto simile accadde.

La cerimonia iniziò, e dalla cima della rupe apparve la figura che tutti i druidi stavano aspettando: l’ombra nera si stagliò sulla punta, spaventosa quanto meravigliosa con quei rivoli di fuoco che coprivano lo sfondo e saettavano ovunque, frastagliandone la sagoma.

Ogni druido in quel momento abbassò il capo, inginocchiandosi al Maestro, che per i giorni a seguire avrebbe condotto i fratelli durante tutto il Consiglio. Anche i due giovani uomini erano a capo chino, lontani da quella figura nera, che forse non avevano ancora riconosciuto.

Da lassù, Conrad aprì le braccia, stupendosi come ogni anno di quanto fosse piccolo il mondo, guardandolo dall’alto.

Conrad il druido - 6

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I Faglihm furono gli unici Elfi nella storia del nostro mondo che furono sopraffatti dalla loro stessa essenza di vita. E’ un capitolo talmente unico nella Storia, che vale la pena raccontarlo prima di continuare.
La Natura, la madre di tutto ciò che nasce e cresce sotto le fronde degli alberi, uccise in una sola notte tutti gli Elfi d’Argento: madri e figlie furono soffocate e affogate dalle verdi invisibili mani, nell’esecuzione più silenziosa che la Terra ricordi.
Un’intera famiglia, un’intera millenaria stirpe fu sopraffatta da acqua e foglie, sterminata nella più efferata e precisa esecuzione che nessun assassino immaginerebbe mai. Occhi spalancati nel sonno urlarono silenziosi alla luna, mentre bocche aperte al dolore furono soffocate dalla stessa aria che da sempre dava la vita ad ogni elfo, ogni pianta e ad ogni animale.
Nessuno raccontò mai di quella notte, perché ogni figlio del bosco in quelle ore volse la testa dall’altra parte, cieco di propria volontà, sopraffatto da tanta potenza e tanta tremenda risolutezza.
Nessuno alzò la testa, anche gufi e volpi tennero chiusi gli occhi. Ogni animale notturno passò quelle ore nella propria tana e anche i cespugli sembrava dormissero. Chi potè, trattenne anche il respiro. L’aria pesante e irrespirabile causò respiri affannosi anche a chi in quei momenti fu risparmiato, i lampi trafissero il cielo da est a ovest senza sosta mentre l’elettricità fece vibrare la superficie dell’acqua e i rami degli alberi. La paura stessa, sembrava stesse prendendo forma.
Non cadde nemmeno una goccia, anche se le nuvole grigie che sovrastavano il bosco pareva aspettassero solo di rovesciare secchi di acqua nera sul mondo. La sensazione era di stare in una palla elettrica, pronta ad esplodere e spaccare in migliaia di pezzi ogni cosa, ogni essere. Ogni elfo.
Ma nulla di tutto questo avvenne: l’esecuzione fu invece silenziosa. I rami entrarono nei letti, le acque del lago sopraffecero le sentinelle, le foglie soffocarono ogni bocca. L’aria, come ho raccontato, fece il resto.
Nessuno vide mai coi propri occhi la fine dei Faglihm, e nessuno tantomeno se ne ribellò. Ciò che la Natura sceglie, la Natura fa. In poche ore fu distrutta una catena di generazioni, nessun Elfo Argenteo sopravvisse e nessuno ebbe a rammaricarsene, ovviamente.
La mattina successiva, il silenzio lasciò spazio al cinguettio e ad una leggera pioggia primaverile, che sembrava lenire le ferite elettriche della notte. Pian piano l’intera boscaglia si svegliò e le tane si svuotarono; le fronde alzarono al cielo i rami, e i caldi raggi del sole penetrarono nel verde.
L’intero villaggio Faglihm, solo quello, restò in silenzio. I cadaveri ancora nei letti, gli occhi aperti al cielo, qualche mano spenta che spuntava da fitte coperte di foglie. Un’epoca di orecchie a punta si spense in quel momento.

Ma non tutto quello che ho narrato è verità. Non sono stato preciso.
Uno solo quella notte fu risparmiato.
La strage degli elfi malvagi serbò un posto in vita per un solo orecchie a punta. La famiglia argentea ebbe in effetti ancora qualche anno di vita, per poi scomparire per sempre.
Perché la Natura lo lasciò vivere, è ancora un mistero, che rimarrà credo senza risposta.

Sono passati ad ora 292 anni da quella notte, e quell’elfo ancora vaga per i boschi. Nessun compagno, nessun contatto umano, dicono anche che non abbia voce. E per quello che sappiamo di lui, può anche essere vero.
Che tipo sia nessuno lo sa, e nemmeno cosa cerca. Sopravvive da anni nella stessa maglia di morte che ha soffocato la sua famiglia, camminando su sentieri che ancora odorano di esecuzione. Le foglie stesse, raccontano ancora quella notte, se si sta qualche ora ad ascoltare in silenzio.
Una cosa però possiamo dire di lui.
Uccide.
Uccide senza pietà, uccide chiunque egli voglia, senza scopo apparente, coperto dalla Natura stessa che sembra quasi dargli riparo e sostegno in ogni suo movimento. Inspiegabilmente ha la mano del proprio esecutore sopra di se, in segno di protezione. E dato che nessuno sa, nessuno gli si avvicina.
Il Figlio del Bosco, alcuni lo chiamano, ma Atholas è il suo vero nome, e 292 anni dopo quella notte, entra oggi nel cerchio druidico. E nessuno se ne è accorto.
Ah no, questo voi già lo sapete.

Le avventure di una Gallina - Capitolo due: Di nuovo liberi

Author: Apo / Etichette:

Yaya e Mauro furono rinchiusi nella prigione in due celle lontane in modo che non potessero comunicare. Nel frattempo Miguel si preparava al suo discorso d'insediamento.

Il giorno seguente gli sgherri di Miguel costrinsero tutti gli animali a riunirsi in assemblea.
Miguel: "Hola animali, yo soy Miguel el nuevo capo de esta fattoria"...gli animali erano ammutoliti...
Miguel: "Da oggi inizia una nueva era por voi animali... saretei miei schiavi...voi produrrete per nos otros cibo e armi... il mondo es il mio ultimo obiettivo"...nessuno osava parlare...."nos otros lotteremo per conquistare todos il mondo... tutte le fattorie saranno sotto il nostro controllo. Se qualcuno ha qualcosa da obiettare può venire quando vuole..la sua pratica avrà assoluta priorità."
Gli animali erano terrorizzati, anche perchè erano minacciati dalla Gang del Bosco.

E fu così che iniziò un duro periodo per gli animali della fattoria, che accettarono di diventare schiavi di Miguel pur di riavere le loro mogli. Una delle stalle fu completamenyte riorganizzata e trasformata in una fabbrica di armi... dove Temistocle, il toro gestiva la produzione.

Nel frattempo Yaya continuava a pensare sul da farsi, erano ormai due settimane che era rinchiusa e gli animali avevano perso la fiducia...nessuno poteva ne vederla ne avvicinarsi alla prigioen e qualcuno iniziò pure a pensare che fosse morta. In realtà Yaya non si era arresa, stava seguendo un piano ben preciso. L'unica persona che poteva avvicinarsi a lei era Paco, lo sgherro di Miguel, che le portava da mangiare una volta al giorno e lei aveva elaborato un piano perfetto.

Mauro invece non sapeva che fare... era Herman a portare da mangiare a lui e non gli sembrava semplice prenderlo alla sprovvista. Per di più erano 3 settimane che non beveva, da prima della sua partenza...e come tutti sanno i cammelli due settimane te le reggono e poi sbiellano.

Una sera Paco andò come tutti i giorni a portare da mangiare a Yaya...
Paco: "Orca vacca donde està la gallina?"...Yaya non c'era più..."se lo scopre el padròn me taglia la poya in un istante"
Paco aprì così la cella di Yaya e si mise a cercare sotto la paglia su cui lei dormiva.
In quel momento sbucò Yaya...si era appesa al soffitto, infilando la punta delle zampe in due buchi che aveva scavato nel soffitto....proprio per quello le ci ea voluto così tanto. Yaya zompò giù e atterò Paco.

Yaya " Prova ad urlare figlio di puttana e giuro che ti stacco i coglioni e ti costringo a mangiarli...."
Paco deglutì spaventato.
Yaya "Dimmi che cazzo succede la fuorì"
Paco spiego il tutto a Yaya... che lo prese e lo legò.
Yaya "Ora lurido stronzo vi fotto tutti. Voi e le vostre cazzo di mire espansionistiche dimmerda."
Detto questo gli riempì la bocca con una palla di fieno, gli infilò il calcio del suo fucile su per il culo e si dileguò nella notte.

In quel momento Herman stava uscendo dalla cella di Mauro. Appena uscito dalla prigione Yaya gli fu addosso e lo addormentò con una manciata di sterco di gallina (nella sua cella ce n'era parecchio)....gli rubò le chiavi e corse a liberare Mauro.

Mauro "Yaya!!!"
Yaya " Si lurido stronzo...io a farmi il culo e tu a tirarti le seghe qua dentro eh?"
Mauro "Ma io..."
Yaya "Tu un cazzo.... sei andato una settimana a ciulare e fare un cazzo mentre io ero qua a farmi il culo... e ora che c'è da tirar fuori le palle tu stai qui a fare una michia."
Mauro accusò il colpo....
Yaya "Sbrigati ad uscire da li che mi servi"
Mauro "Come cazzo hai fatto a liberarti Yaya?"
Yaya "Io sono furba...non passo il tempo a menarmelo come te...." disse mentre prendeva corde, coltelli e tutto quanto potesse esserle utile dal gabbiotto antistante la cella... "svegliati che stanotte si dorme nel bosco, dobbiamo fare in fretta."
Si girò e vide Mauro tremante e ansimante in un angolo....
Yaya: "MA STRONZO!!! IO MI FACCIO UN CULO COSI' PER SALVARTI E TU PER PRIMA COSA TI FAI UNA SEGA?!?!?! MA SEI PROPRIO UN COGLIONE...PUTTANA QUELLA TROIA CHE HA APERTO LE GAMBE PER FARTI NASCERE..."

Ma in quel momento ecco delle voci in lontananza... la Miguel insospettito dal ritardo di Paco aveva mandato un gruppo in ricognizione.
Yaya: "Guarda che coglione..mi fai incazzare e moh ci hanno scoperti...."
Mauro: "Ho io la soluzione seguimi...."... Mauro rientrò nella cella e sposto un enorme ammasso di merda di cammello che c'era in un angolo.... sotto di questa c'era un buco...
Mauro: "Anche io stavo pensando di fuggire e questa era la mia idea.... solo che ogni tanto mi fermavo a menarmelo un po'."
Yaya: "Si ma checcazzo...io studio piani stupendi e tu invece mi scavi un tunnel coprendolo di merda?! Ma sei proprio un idiota...dai scappiamo." I due si infilarono nel buco e lo percorsero... arrivati alla fine mancava ancora qualche metro all'aria aperta.
Yaya: "Levati dal cazzo" .... e si mise a scavare sfruttando le sue zampe...più adatte allo scopo di quelle di Mauro...." se non ci fossi io saresti perso..."
In breve i due furono all'aperto e fuggirono nel bosco appena in tempo per non essere scoperti dai membri della Gang del Bosco.
I nostri eroi erano nuovamente liberi e più incazzati che mai...forse la fortuna non aveva ancora abbandonato del tutto la fattoria....

Junkie

Author: Matteo Piovanelli / Etichette: ,

Essere un paria non è male, se si hanno le sostanze giuste.
SiHead lo sa.
Essere un paria è il paradiso, se ti pagano perché tu abbia le sostanze giuste.
SiHead ne gode.

Esci di casa, fatti degli amici, sei uno sfigato, testa di silicio.
Parole da un milione di anni prima. Ma già in quel medio evo, lui sapeva. E così prese a correre, per prendere le sue distanze. Ma non correva sulla strada, lui, correva sui manuali. E correndo è arrivato in quella stanza, nel complesso Hitachi. Una stanza che puzza di arance e Marlboro, come la vecchia California della celluloide (non avete letto Gordon Legge, immagino?). Solo schermi e led lampeggianti illuminano il letto spoglio, un materasso su una rete. Un robot mandato dai capi, giù in quell'Oriente così estremo che ci si arriva andando ad ovest, mantiene l'igiene sopra livelli pericolosi.
Dallo stesso posto arriva tutta l'elettronica che ingolfa quella stanza del seminterrato. Roba che non si trova in nessun negozio. La prima scelta, la massima qualità. Tutto solo per SiHead, perché lui sogni. E ancora ci mette le mani per renderla più forte: ci fa la sua magia, e poi gli arriva qualcosa di nuovo, perché la sua sostanza continui a colargli nel cervello. E non solo: la stanza è la più grande del complesso, e dentro SiHead ci tiene di fatto una fab per processarsi tutta l'elettronica che gli serve: da Tokyo gli mandano la materia prima, e lui pensa al resto. Non ce ne sono tanti in giro come lui.

Ma cosa fa SiHead?
Secondo qualcuno, magari, è solo un runner. Un emarginato, perché si è venduto anima e corpo alla Hitachi. Loro hanno lui, e lui ha quello che sa fare col deck. Quello che ha bisogno di fare col deck.
Molti lo definirebbero deck-junkie, un drogato del cyberspazio, perché quella è tutta la sua vita, e nient'altro. E fuori delle griglie colorate della non-realtà lui si sente niente e nessuno, e pensa solo al momento in cui tornerà nel niente sintetico.
Secondo quelli dell'Hitachi, è una risorsa: uno dei migliori runner in circolazione, completamente ossessionato dal progetto su cui l'hanno messo.

Per spiegarvi cos'è questo progetto, devo passare da altro.
È difficile, ma provate ad immaginare l'immensa mole di dati che approda sulle nostre retine in un secondo di navigazione. Con uno sguardo potete raccogliere tutto ciò che la vostra banca sa su di voi, e tutto quello che voi potete fare con la banca, ed intanto stato seduti ad un tavolo da tè con cinque amici, ognuno dei quali appare in maniera completamente diversa, in una stanza i cui poster sono animazioni interattive della band che vi piace in quel periodo. E questo se non vi impegnate.
Non voglio diventare troppo tecnico, ma questo è possibile perché queste informazioni arrivano come segnali tutti in contemporanea, differenziati in frequenza e fase. Se non è chiaro fidatevi.
Possono esistere infinite diverse combinazioni per passare dati nel cyberspazio, ma agli inizi se ne sono scelte alcune, in maniera che fossero tutti d'accordo, perché se io trasmetto in un modo che tu non puoi ricevere, e viceversa, la Rete diventa inutile (di fatto smetterebbe di esistere). È come con una radio: le stazioni trasmettono su frequenze diverse, e voi scegliete quella che ascoltate. Per la Rete è già stato scelto su quali frequenze ascolterete, ma potete scegliere il programma.
Non c'è nulla di fisico, però, che vieti diverse frequenze e fasi, ed infatti i militari e le Megacorp hanno delle specie di cyberspazi “privati” basati su questo, dove (l'avverbio di luogo è improprio, ma questa lingua è nata da troppo per essere adeguata) i loro dati sono al sicuro da chiunque abbia dei deck convenzionali. Nel “nostro” cyberspazio ci sono i bruscolini: informazioni per lo più false messe lì come specchietto per le allodole, o pubblicità e rumor utili ai loro fini.
Non è complicato ritoccare i deck commerciali, ma se non lo sapete già fare, per il vostro bene è meglio che non ve lo insegni, o finirebbe che mammina dovrebbe pulire le cervella che sono colate fuori dalle orecchie. Non siete il FlatLine, e non provatevi ad emularlo.

Arriviamo al progetto di SiHead.
SiHead lavora su uno di questi cyberspazi. Uno privato della Hitachi. Quello che deve fare è entrare ripetutamente nei loro archivi, sfondando i loro firewall e qualsiasi protezione possano mettere. Lui non lo sa, ma gli I.C.E. lì sono fatti in maniera da dargli una scossa senza ucciderlo. Non si buttano le risorse ancora utilizzabili. Un'altra cosa che fa è testare i deck che gli mandano, e se possibile migliorarli. Se pensate che la legge di Moore significhi qualcosa in questo settore, potete scordarvelo, perché perdere tempo a starle dietro significa morte aziendale sicura.
Una cosa che SiHead sa è che ogni volta le protezioni degli archivi sono simili alla volta precedente, ma non identiche: una I.C.E.-mine è proprio sulla porta che aveva sfruttato, o la porta non esiste affatto. E ogni volta ci va un po' di più a trovare una strada sicura: ce l'ha sempre fatta, senza essere mai fritto. È convinto che loro non lo sappiano, ma lui sta scrivendo e migliorando ogni volta un programma che lo aiuti a passare illeso. Ovviamente lo sanno.
E ovviamente lui non sa che le protezioni sono un firewall adattivo, che ogni volta impara dai propri fallimenti e si migliora. Qualcuno pensa che della sinergia tra il programma di SiHead e questo firewall possa venire fuori un'intelligenza artificiale, visto che di fatto i due stanno giocando al gatto e al topo, ed ogni partita causa un salto evolutivo. Il programma di SiHead ha il vantaggio che oltre alle euristiche ha un runner sulle spalle ad insegnare, per cui fin qui ha sempre vinto. E non è un runner qualunque: a quattordici anni, se non fosse fottutamente asociale, si sarebbe potuto sedere al tavolo dei cowboy, e pretendere gli pagassero da bere.

Domanda: a che cosa ci porta tutto ciò?
Niente. Niente di niente. I capoccioni all'Hitachi al momento non sanno che farsene di quell'intelligenza artificiale. Nessuno in effetti è sicuro che una vera intelligenza artificiale possa sorgere da un processo simile. Stanno provando per vedere che succede, e nel frattempo migliorano le protezioni dei loro mainframe. Ricerca pura incidentalmente al servizio di un fine, se vogliamo.

Questo mi ricorda un poco di come sono nate le prime neurointerfacce, ed il primo I.C.E.. La prossima volta che mi paghi da bere, ragazzino, magari ti racconto quella di storia.