I consigli di una gallina - Capitolo otto: processo e conclusione, abbastanza immediata

Author: GiAn / Etichette: ,

Eh gia! Rompevano il cazzo i due stronzi...quanti problemi, tanto oramai avevano perso, rassegnatevi e basta! Yaya e Mauro giunsero alla fattoria con Remo e i prigionieri verso mezzogiorno, stanchi, ma profondamente risollevati, con l’animo leggero.
Un’arietta bella fresca accarezzava le fronde degli alberi e le spighe di grano, mentre gli animali conducevano noncuranti la loro quotidianità.
Varcata la soglia del cancello, un piccolo gruppo di animali si fece d’intorno ai due eroi, esultando per il loro ritorno e per la sconfitta del malvagio dottor Aus.

Yaya "Non cagatemi il cazzo, ho sonno, prendetevi sti due e fatene quel cazzo che volete. Io vado a dormire!”

Gli animali ci rimasero male, per questa reazione alla loro calorosa accoglienza.

Mauro "Lasciatela perdere, ha finito le sigarette...”

Tutti, delusi, tornarono alle loro faccende, sbattendosene il cazzo. Mauro si avviò verso il fienile per preparare l’aula del processo a Fulgenzio e Aus. L’orso Remo chiuse i prigionieri nel porcile, tenuti d’occhio dai belligeranti maialini rosa.
L’indomani gli animali erano tutti riuniti per il fatidico giudizio. Mauro presiedeva il tribunale, Yaya era al suo fianco, e gli altri della fattoria facevano un casino della madonna.

Yaya "Silenzio, cazzo! Silenzio! State zitti brutti stronzi che non siete altro, o vi taglio i coglioni!”
Mauro "Ma che cazzo hai visto te, ultimamente, non fai altro che sbraitare in faccia a tutti! Datti una calmata cazzo!”

Yaya allora si diede una calmata, e si sedette in un angolo a fumare per i cazzi suoi.

Mauro "Allora, mi sembra palese che sti due stronzi siano colpevoli, quindi passiamo a delineare la sentenza e la pena da infligger loro.”
Animali “Cacciamoli via, esiliamoli!” “Impicchiamoli per le palle!” “Recidiamo loro la tiroide!” “Infiliamolo nel culo al camaleonte!”
Mauro "Taci Remo, non te li facciamo scopare!”
Remo “Uffa!...”
Yaya "BASTA, DECIDO IO! Il camaleonte esiliato, da questo momento è bandito dalla fattoria! Aus...primo, mi ricompra il dildo che ho sprecato per sconfiggerlo, secondo, lo condanno e passare il resto della sua vita nel centro del cimitero delle mietitrebbia. Se sarà sorpreso fuori dal cimitero, lo impiccheremo per le palle.”
Mauro - Mah... – “La decisione viene accolta da tutti i presenti? Qualcuno è contrario?”
Animali “Tutti d’accordo con Yaya”
Mauro “Bene, dichiaro terminato il processo, potete andare. Che i maiali accompagnino Fulgenzio il camaleonte fuori dalla fattoria e il dottor Aus al cimitero delle mietitrebbia. Mettiamo la parola fine a questa storia, che GiAn non sa più che cazzo scrivere.”



! FINE !
........... ...........
Bevi Bayliss responsabilmente

Brodyuccetto rosso

Author: Matteo Piovanelli / Etichette:

Un'adolescente-sul-punto-di-non-esserlo-più, sufficientemente arrabbiata. Un incrocio spettrale tra Brody Dalle e CappuccettoRosso. Esteticamente molto simile ad Alice del videogioco.

Nella fiaba la madre le dice di non accettare niente dai lupi cattivi.
Lei dimentica a casa il cestino per la nonna, e se ne va imprecando per il fatto che i genitori le rompono le balle con sempre la solita solfa, e lei si sente stupida per il fatto di non dirglielo chiaramente, in maniera da non dare loro un dispiacere eccessivo.

Naturalmente perde il pullman che attraversa il bosco, e quindi deve farsela a piedi. Della bici le è rimasta solo la ruota anteriore, dopo che una sera l'aveva dimenticata incatenata al parco. Almeno nessuno la fisserà giudicandola per le sue all star rovinate ma a cui è affezionata, nè per il fatto di non essere truccata, né perchè i suoi capelli sono tagliati in maniera approssimativa, spuntati a caso quando decideva che una determinata ciocca le dava fastidio, né per gli abiti di taglio vagamente maschile, ma comodi, e di colori da vederli per crederci.

Fino all'ultimo vuole fare amicizia col lupo cattivo, che però si rivela noioso e pedante, con la sua fissazione di mangiarsi lei e sua nonna. A Brodyuccetto sembra più che lui le voglia stuprare, il fallito. Quindi lo accoltella e lo porta alla nonna per farglielo spellare e frollare.

La nonna, da cui lei ha preso molto e che è la sua parente preferita, appena la vede le offre una una sigaretta, lamentandosi per gli acciacchi della vecchiaia, e poi andando a tirare i biscotti fuori dal forno. Nel frattempo Brodyuccetto tira fuori dalla borsa la stecca di sigarette al mentolo che ha comprato a Praga per la sua nonnina.

“Che cazzo mi voleva mandare quella svitata di tua madre?”
“Non so, credo le solite stronzate: frutta, medicine, bollette...”
“Quando torni a casa dille da parte mia di andare in mona.”
“Provvederò.”

La nonna non ha il telefono, perchè se no la chiamerebbero continuamente dei parenti di cui non le frega un cazzo, e lei vuole starsene tranquilla nel bosco a fumarsi le sue sigarette, bersi il caffè e rileggere fino alla nausea le opere dei decadentisti e dei filosofi di fine ottocento, intercalando il tutto con pittura e cucito. Ha solo un cellulare che può ricevere chiamate solo dalla sua nipotina Brodyuccetto, che comunque non la chiama mai, perchè preferisce andarla a trovare.

Quando suona il campanello sanno già tutte e due che fuori dalla porta c'è il cacciatore-carabiniere, e che come al solito romperà le balle per la pelle del lupo appesa a sgocciolare sullo stendibiancheria.
Sono anni che ci prova con Brodyuccetto, il bastardo pedofilo, ma non ha mai avuto le palle per imporsi sulla nonna, che lo manda puntualmente affanculo. E a questo punto non sarebbe più pedofilia, ma comunque la ragazza, se lui le si avvicinasse un po' troppo, lo costringerebbe a parlare in farsetto per una buona settimana. E la nonna, grande la nonna, ne riderebbe tantissimo.
A volte Brodyuccetto è tentata di menarlo solo per la divisa che porta, ma si contiene perchè è sostanzialmente una non violenta.
Il cacciatore-carabiniere sente l'odore dei biscotti appena sfornati. Desideroso chiede:
“Ma cos'è questo buon odorino?”
Brodyuccetto e la nonna, in coro: “Merda di vacca.”
Il cacciatore-carabiniere sconsolato se ne torna al suo paese.

Aggiornamenti forum

Author: Matteo Piovanelli / Etichette:

per chi non lo sapesse già, c'è un forum collegato al blog, fatto dal poet.

lo trovate qui

ho appena aggiornato la sezione racconti con i link a tutti i capitoli passati di tutti i vari racconti, quindi se serve cercare qualcosa in un posto dove siano ordinati cronologicamente e non al contrario andate lì.

Capitolo 8: Musica e Ballo

Author: Matteo Piovanelli / Etichette: ,

Dimitri era pensieroso.

Non gli era troppo chiaro in che cosa sarebbe consistito il suo ruolo nella missione, e ciò gli impediva di trovare la sua solita concentrazione.
“Sarai la copertura di Vatslava.” Aveva detto il generale. “Dovrai fornirle tutto il supporto che lei riterrà necessario ed ubbidire ai suoi ordini.”

Poi però lui e la Sika si erano uniti ad un plotone di VDV per essere trasportati nei pressi del punto convenuto della missione. Sulla camionetta i soldati avevano badato bene a tenersi rispettosamente a distanza dalla donna, ma non avevano lesinato sguardi derisori per il cecchino.

Lui aveva fatto finta di niente, carezzando Dalia per prepararla al suo lavoro, ma si sentiva piccolo accanto a quegli uomini coi loro equipaggiamenti da sogno.

L'odore particolare di Vatslava lo disturbava molto meno, ora, ma era sempre in un angolo della sua mente. In certi momenti Dimitri aveva avuto la sensazione che lei lo stesse fissando, ma con quelle lenti da insetto era impossibile dirlo per certo.

Quando erano arrivati a destinazione e dai cassoni coperti dei veicoli i VDV si erano riversati in strada, la Sika lo aveva preso in disparte, ignorando palesemente il caporale dei corpi speciali che gesticolava ordini, alcuni dei quali incomprensibili per il cecchino. Il fatto di trovarsi isolato con la donna lo metteva a disagio, facendogli sentire più acutamente quella specie di profumo.
Dimitri si scoprì a stringere le mani intorno al suo fucile come una matricola, ed istintivamente abbassò il capo per la vergogna.

La voce di Vatslava era resa appena più roca dalla maschera che indossava quando disse:
“Tu, cecchino, seguimi.”
Poi si voltò senza guardare se lui stesse ubbidendo.
Naturalmente non si sarebbe mai neppure sognato di trasgredire all'ordine.

Senza parlare procedettero tra rovine prodotte da bombardamenti passati. Gli occhi del cecchino andavano istintivamente da una parte e dall'altra, valutando possibli posizioni vantaggiose, ma la sua mente non registrava. Ogni sua fibra era impegnata ad imitare i movimenti perfetti della sua guida, quella danza con cui lei si spostava da un ombra ad muro diroccato come se fosse una cosa ovvia e naturale. Dimitri si chiedeva perchè lei non stesse usando la divisa fotomimetica, ma suppose che fosse per permettere a lui id avere un riferimento da seguire.

Dopo che per qualche minuto si furono allontanati dal resto del gruppo, tenendo un'andatura che il cecchino non pensava di poter sopportare ancora per molto, la Sika gli fece cenno di fermarsi. Si trovavano in uno stanzino adiacente ad un magazzino, indatabile nel suo stato di abbandono. Sparse a terra c'erano le carcasse di vecchie attrezzature elettroniche, saccheggiate dell'oro dei loro circuiti.
Senza fiatare Vatslava portò una mano sul fianco della divisa. Lì si formò un'apertura, come di due labbra che si schiudessero, e lei ne estrasse una sottile pellicola trasparente.
“Questo” disse lei con la sua voce filtrata “ti aiuterà a tenere il passo, e ci permetterà di comunicare.”
Senza aspettare una reazione, che comunque Dimitri non avrebbe saputo avere, gli fu addosso, e gli appiccicò quella pellicola sul collo. L'istinto disse al cecchino di proteggersi da quel movimento, ma non avrebbe mai potuto fare in tempo. Inolte sapeva di non volerci nemmeno provare.

Uno strano pizzicore. Poi una sensazione diffusa di calore. Dal suo pomo d'Adamo si diffuse in lui un nuovo vigore, sicuramente dovuto a qualche droga che si trovava sul cerotto. La stanchezza svanì dalle sue membra, assieme con la rigida sensazione dell'acido lattico che si stava iniziando a formare.
“Mi senti, cecchino?”
La voce proveniva direttamente da dentro la sua testa, come se stesse parlando da solo. La voce di una donna, chiara e priva di inflessioni.
“A questo punto dovresti essere in grado di udire la mia voce.”
Dopo un attimo di smarrimento Dimitri riconobbe la voce della Sika, ma non riusciva ad immaginare come fosse possibile che gli arrivasse dall'interno della sua nuca, attraversando agevolmente il velo delle droghe.
Dunque parlò.
“Cosa diavolo sta succedendo?”
Il suo sguardo avrebbe tradito una vena di paura, se le droghe che stavano via via penetrando ogni sua cellula non gli avessero dato la sensazione di essere un dio.
“Un nanocomunicatore si è installato sulla tua corteccia cerebrale. Era nel cerotto. Ora non serve parlare per tenerci in contatto.”
La sorpresa venne in qualche modo mitigata dalle sostanze che Dimitri aveva in circolo, mentre pensava a come diavolo fosse possibile comunicare senza parlare.
“Il trasmettitore è collegato direttamente alla parte del tuo cervello che comanderebbe la voce. Potresti non riuscire a controllare la trasmissione, ma per fortuna il segnale non può essere intercettato. Ora seguimi cecchino: abbiamo del lavoro.”

Ora i due si spostavano molto più rapidamente. La roba che gli si trasferiva in corpo dal derma rendeva Dimitri in condizione di tenere il passo senza sforzo, anche se non con la stessa grazia della sua guida.

Mentre proseguivano verso il loro obbiettivo, la Sika gli diede qualche informazione di cui lui aveva bisogno, anche se l'uomo non sapeva se lo facesse perchè era necessario o per rispondere a domande che non era sicuro di avere posto attraverso quel nuovo canale che li univa.
“Dovremo dare l'attacco ad una postazione dei ribelli. Il tuo compito sarà coprirmi dall'alto di un palazzo lì vicino. Dovrai sparare esattamente a quello che ti dirò e quando te lo dirò io, altrimenti la situazione si farà molto complicata per entrambi. Sono stata chiara?”
Intorno a loro ancora rovine causate da attacchi aerei.
“Sì certo.” Dimitri si sforzava di non pensare a nulla, per non comunicare segnali inutili. Aveva il terrore di potere apparire un dilettante non riuscendo a tenere il controllo del suo trasmettitore.
Un movimento attirò per un istante la sua attenzione: da una finestra al secondo piano di quello che doveva essere stato un condominio pendeva una coperta a brandelli.
“L'obiettivo principale è recuperare un prigioniero di valore che si trova nella base. Se non sarà possibile, o se dichiarerò la missione compromessa, il prigioniero dovrà morire. D'accordo?”
“Va bene.”
Si fermarono un attimo accostati a quello che rimaneva di una parete di una scuola. Nel cortile davanti a loro c'era uno scivolo arrugginito, coricato sul cemento di quello che aveva dovuto essere il salone, ora a cielo aperto.
“Qualche domanda?”
Vatslava lo stava palesemente fissando attraverso le sue lenti d'olio.
Il cecchino avrebbe voluto dire di no, ma non seppe trattenere i suoi pensieri.
“Perchè? Perchè io? Cosa ci faccio qui con te? Non dovrebbe esserci uno come te al mio posto?”
Se ne pentì, ma non riuscì a distogliere lo sguardo dalla maschera dell'altra.
Dopo un attimo di silenzio, la Sika si voltò, quasi con fretta.
“Il mio compagno non era disponibile per questa missione, a cause delle conseguenze della missione passata.”

Dopo di ciò il Silenzio. Vatslava non lo degnò più neppure di uno sguardo, e si limitò a fare strada.

Dimitri provò a concentrarsi su Dalia, che gli ballava comoda sulla schiena. Nonostante fossero passati parecchi minuti il vigore dovuto alle droghe non accennava ad attenuarsi, ma lui non volle chiedersi il perchè. Aveva paura ad interrompere il silenzio della donna.
Una parte di lui la riteneva sua compagna in questa missione. Un'altra parte pensava che lei era più un suo superiore, lì per osservarlo e valutarlo. Questa parte tremava all'idea di poter commettere qualche sbaglio.

Dalia non pareva riuscire a dargli alcun conforto. La sentiva, ma era come se fosse diventata fredda. O forse era lui che non riusciva a sporgere la sua mente verso di lei, timoroso di scagliare i suoi pensieri più privati verso al Sika.

Non seppe dire dopo quanto, arrivarono ai piedi di un rudere più alto degli altri. Vatslava comunicò che sarebbero saliti sul tetto ad aspettare il momento giusto, poi sarebbe iniziata l'azione vera e propria.
Il cecchino fu sorpreso del fatto che non ci fosse nessuna sentinella su quella posizione così vantaggiosa, se il loro obbiettivo era vicino quanto immaginava. Non riusciva ad immaginare nessuna possibile ragione per cui ciò fosse possibile.
“Coi satelliti che passano sulla città ad intervalli di otto minuti non è troppo facile restare nascosti allo scoperto.” Spiegò la Sika.
Erano le prime parole che gli rivolgeva da quel loro scambio. Lui non si era nemmeno reso conto di avere fatto al domanda.

I minuti trascorsero.
Il cecchino cercava di riprendere il suo contatto col fucile, smontandolo e rimontandolo a memoria, andando a verificare la perfezione di ogni giuntura ed ogni movimento. Nel frattempo osservava l'altra.
Vatslava semplicemente se ne rimase accucciata in un angolo, con la fronte appoggiata sulle ginocchia. Non fece un movimento, né proferì parola. Non produsse nemmeno il suono più minimo.
Per tutto il tempo Dimitri si rifiutò di guardare l'orologio, perchè aveva paura che il tempo non sarebbe mai trascorso se lui avesse cercato di misurarlo.

Quando la voce della Sika si rifece sentire nella sua mente, lui era pronto.
“Cecchino, prendi questo.”
La osservò estrarre degli occhiali da una tasca. Sembravano dei visori con intensificatori di luce. Quando li ebbe in mano, li trovò leggerissimi.
Li indossò e per un attimo il mondo fu nero. Poi la sua vista ritornò, come attraverso il fondersi di macchie di tutti i colori che creassero i confini delle cose.
“Guardami.”
La donna sembrava diversa, come racchiusa in una leggera patina luminescente.
“Cosa diavolo...?”
“La mia fotomimesi è attiva. Quegli occhiali ti permettono di bypassarla e vedermi. Funzionano attraverso il collegamento che ho creato prima.”
“Capisco.”
In realtà non aveva idea di che cosa volesse dire esattamente, ma era pronto ad accettare quel dono. Gli avrebbe permesso di non rischiare di colpirla mentre lei era in azione.

Poi la Sika se ne andò via di corsa, senza disattivare il potere della sua tuta. Contemporaneamente gli ordinò di prendere posizione armato sul lato ovest, tenendo pronti almeno quattro colpi.

Dimitri non vedeva nulla di particolare nela piazza che si trovava ad ovest della sua posizione. Ad un certo punto la sagoma di Vatslava entrò nel suo campo visivo, saettando a zig zag. Non potendo non stare ad ammirarla, si stupì non poco quando la vide scomparire. Letteralmente.
Un attimo prima stava correndo verso il centro della piazza. Poi più niente.

Proprio mentre stava per farsi prendere dal panico, la Sika ricomparve pressappoco nel punto dove era svanita. Attraverso il loro contatto gli giungeva una canzoncina, quasi sottovoce. Una di quelle canzoni che si imparano da bambini e non si scordano più, che anche se non si ricordano le parole ci si ritrova a canticchiarle.
Senza che la nenia si interrompesse, arrivarono delle parole.
“Ora vedrai un punto illuminarsi. Quando te lo dirò io dovrai colpirlo.” Proprio in quel momento Dimitri vide un piccolo cerchio diventare lievemente azzurrognolo. La donna continuò. “Gli altri tre colpi che ti ho detto di preparare dovrai spararli a intervalli di cinque secondi. Riconoscerai gli obbiettivi in delle antenne di comunicazione.”
Ok, perfetto, quello era qualcosa che poteva fare. Accarezzò un istante il bossolo che teneva in tasca. Poi si proclamò pronto.

Ed iniziò la danza.

Dimitri parlava con Dalia. Non si preoccupava più del fatto che la Sika potesse sentirlo: ora doveva solo essere perfetto.
Nell'unico occhio che condivideva col suo fucile c'era quel punto blu: fermo e immobile aspettava solo la contrazione del dito del cecchino per svanire per l'eternità.

Vatslava correva misurando i passi verso il punto dove era svanita prima. La nenia continuava in sottofondo, come un mantra ripetuto per dare calma, per controllare e coordinare i movimenti.

“Ora.”

Un semplice sussurro, seguito a breve dal suono attutito del dardo metallico che lasciava il comodo alloggiamento del suo bossolo e attraversava il silenziatore ad effetto campo.
Cominciava il conto alla rovescia.

...5...
Il primo proiettile attraversò il centro della zona azzurra proprio mentre la Sika scompariva come prima. Dopo un attimo si udì uno scoppio. Il primo bossolo veniva rigettato da Dalia, scarto della sua canzone ritmica.

...4...
La donna riapparve, ed intorno a lei c'era una base nemica. Alcune guardie sembravano sul punto di svegliarsi, ma lei ballava al ritmo del suo motivetto. La sua pistola vomitava spilli mortali. La mano sinistra baluginava di metallo mortale.

...3...
Ecco le antenne. Il colpo era già in canna, pronto per diventare morte non appena l'occhio del cecchino avesse dato il suo ok. Nella mano sinistra della Sika c'era una lama che sembrava cambiare forma continuamente per meglio colpire i suoi nemici.

...2...
Da lontano giunse il suono di un'esplosione, completamente ignorato da tutti. Alcune guardie iniziavano a gridare ordini, ma non potevano fare granchè contro quel mortale angelo invisibile che stava falciando le loro vite canticchiando sottovoce.

...1...
Dimitri era pronto.

Fuoco.

Mentre il bossolo volava di nuovo fuori da Dalia, anche lei iniziò a cantare, accordandosi alla musica dell'assassina.

Il cecchino stava preparandosi al suo terzo colpo, e Vatslava continuava la sua splendida danza, spargendo nemici ignari della bellezza che li stava mutilando.

Poi successe l'imprevisto.

Nessuna guardia si trovava ormai in grado di fuggire, né di combattere. Non c'era nessuno in vista che potesse nutrire i movimenti terribili della Sika.
Ad un tratto, proprio mentre il terzo proiettile ubbidiva all'indice di Dimitri ed iniziava il suo folle ed effimero volo, qualcosa rimbalzò accanto alla donna. Un istante dopo una luce accecante si portò via ogni immagine della base.

Quando il cecchino ritrovò la vista, non c'erano più antenne da colpire. Il baluginio intorno all'assassina era svanito, ma ciò che preoccupava di più l'uomo era il fatto che lei non stava più cantando.
Mentre il suo occhio ispezionava tutta l'area intorno alla sua compagna, la sua voce gridava.
“Che cosa succede? Cosa è successo?”

“Vassilij.”
“Cosa dici Vatslava, che cosa sta succedendo?”
Non ricevendo nessuna risposta, Dimitri continuò a cercare, cercare e chiedere.
La Sika parlava, ma era evidente che l'aveva completamente escluso dai suoi pensieri.

“Cosa hai intenzione di fare?”
“Vatslava con chi diavolo stai parlando?”
“Non puoi pretendere che io ti creda, che io ti ascolti. Non dopo quello che hai fatto.”
“Vatslava, rispondimi merda.”
“NO. No... Smettila.”


“Potrebbe non finire così.”
Sentendo il tono rassegnato della donna, Dimitri si preparò a coprirla col fucile, anche se non riusciva ad immaginare da che cosa avrebbe mai potuto difenderla.
“L'hai voluto tu. L'ha deciso quando te ne sei andato.”

Poi la Sika ricominciò la danza, ma era diversa. Era diverso il ritmo, erano diverse le posizioni che teneva.

Finalmente il cecchino capì: stava duellando con un avversario invisibile, come lei lo era stata per le guardie. Solo che pareva che lei lo vedesse bene, al contrario di lui che avrebbe dato tutto per poterlo vedere anche solo per un istante chiaramente, per poterlo fermare prima che potesse ferire l'assassina, o peggio.

Assistette allo strano combattimento per un po', imprecando per la propria inutilità. Le continue parate che Vatslava sembrava dover compiere, e i suoi pochi affondi, gli diedero la convinzione che fosse in svantaggio.
Il colpo era già in canna, in attesa, e Dimitri si trovò a pregare.
“Dalia, ti prego, aiutami. Dalia, guida il mio occhio. Occhio, guida il mio dito. Sono l'incarnazione del Silenzio. Sono l'incarnazione del Silenzio. Dalia, mira tu per me.”

La donna portò la sua strana lama liquida davanti al petto. Nell'istante stesso in cui stava per arrestare il movimento l'arma si aprì a diventare uno scudo.
Dimitri premette il grilletto. Il suo colpò si mosse lentamente, sfuggendo dal bossolo in un attimo infinitamente dilatato, attraversando le barriere a vuoto del silenziatore e correndo sull'aria verso un preciso punto vuoto di fronte alla difesa di Vatslava. Quel vuoto si riempì di un'esplosione di rosso.

Dimitri gridò.

Vatslava gridò.

Dimitri sentì Dalia gridare.

Davanti alla Sika una sagoma tracciata da sangue sospeso nell'aria gridava.

“È finita Vassilij.”
Lo scudo della donna divenne una spada, che attraversò la figura di sangue scomparendovi all'interno, ed aggiungendo nuovo colore ai suoi contorni.

Poi la sagoma fu quella di un uomo, e quest'uomo indossava la maschera di un Sika.

Dopo un Silenzio vuoto, Vatslava parlò di nuovo.
“La missione è conclusa. L'obiettivo è morto. Torniamo a casa.”

Si ricomincia 2

Author: Jager_Master / Etichette:

Altro post di chiarimento. Tanto per rompere le pallacce alla gente e per sollecitare la continuazione di alcuni lavori.
I seguenti racconti sono fermi ai seguenti capitoli e sono assegnati per la continuazione alle seguenti persone.

  1. Esper - ho appena postato cap. 6 e 7 - il capitolo 8 andrà a Bovaz mentre il 9 sarà Bovaz/Jager_Master per conclusione di questa parte della storia. Dal cap. 10 bisognerà trovare un nuovo padrone.
  2. Yaya la gallina - capitolo 7 - nelle mani di Apo e GiAn. Ogni nuova storia/capitolo è in mano loro.
  3. Conrad il Druido - capitolo 4 - chi continua? Scrivere nei commenti, poi sistemo.
  4. Untitled di Rob - capitolo 2 - idem.
  5. Uno - capitolo 1 (ovviamente!) - Ora ci sta lavorando Alan. Aspettiamo il suo racconto per assegnare cap. 3
  6. Il decimo girone - capitolo 1 - in cerca di un padrone. O forse Poeta?


Poi: sollecito l'iscrizione di Brio e di chi vuole collaborare anche con nuove idee e racconti. Con Bovaz ho 2-3 idee in cantiere, ma aspettiamo che riprenda il volo questo sito con questi racconti.


Buon lavoro a tutti.

Capitolo 7 - Non siamo soli

Author: Jager_Master / Etichette: ,

Sergej si voltò e si diresse verso l’uscita secondaria che stava dietro di lui. L’unica, a questo punto, era uscire verso l’obiettivo, dato che di tornare indietro non se ne parlava nemmeno. Per quello che ne potevano sapere erano seguiti da un esercito intero, anche se Sergej ne dubitava.
Il caporale ragionava velocemente, mentre con Yuri apriva la strada agli altri, uscendo in direzione Sud, proprio verso il punto x che ora stava a meno di 300 metri, leggermente a Est, più vicino alla Squadra A Zona destra, dove stava Idarov.
Già. La squadra A. Secondo gli ordini era da escludere una comunicazione radio: dopo che si erano divisi ognuno doveva arrangiarsi, ed era tassativamente vietato cercare aiuto anche in caso di emergenza. Troppo pericoloso: c’erano possibilità di essere intercettati e non si doveva fare casini fino alle ore 6:00, cioè fino all’uscita del convoglio.
Il fatto è che anche la Squadra A e Idarov potevano essere sotto mira e in pericolo, ma la Squadra B di Sergej aveva le mani legate, e volente o nolente doveva sbattersene.
Decise così di arrangiarsi. Una soluzione (e fu quella che scelse) era di dirigersi sempre verso Sud, verso l’obiettivo. Certo: il rischio di trovarsi di fronte un gruppo di ribelli c’era, ma Sergej optò per quella direzione, anche perché le altre 3 erano da escludere.
Di tornare indietro, come detto, non se ne parlava. Sarebbe stato come cadere in bocca a uno squalo.
A Est, verso la squadra di Idarov era troppo pericoloso, avrebbero dovuto attraversare un largo tratto di strada fra due isolati, lasciando campo libero ai possibili cecchini, o a chi li stava seguendo.
A Ovest c’era la Zona Sinistra della Squadra A, più vicina in linea d’aria. E proprio verso di loro Sergej voleva dirigersi: l’idea era di muovere verso Sud, e quando la strada l’avrebbe permesso, avrebbero svoltato, lasciando il culo libero in mezzo alla strada, come nel caso Est, ma con meno strada da percorrere e meno probabilità di essere colpiti. Inoltre avrebbero portato gli eventuali inseguitori in bocca ai VDV.
E poi, cazzo, non avevano scelta.
Andarono a passo veloce, convinti di avere un seppur minimo vantaggio, dato che Sergej concludeva di essere stato visto sotto la scala. Dunque i ribelli non sapevano che lui sapeva. O almeno se lo augurava.
Utilizzò questo vantaggio dirigendo i suoi 3 uomini di casa in casa, arrivando a 50 metri dal punto x. Si erano mossi con prudenza e relativa velocità: non avevano perso terreno.
A quel punto però dovevano svoltare, non c’erano cazzi.
Si trovavano spalle al muro, dietro di loro la finestra che portava sulla strada. Dall’altra parte della strada c’era una fila di case. Dietro le case i VDV. Facile no?
Manco per il cazzo.
Se avessero sbagliato manovra o coordinazione, mettere il naso in strada sarebbe stato come far da sagoma in un poligono di tiro.
I 4 erano completamente sudati malgrado i –13° della temperatura esterna. Un pò la tuta termica, un pò (molto) la tensione...ed ecco che le schiene erano totalmente bagnate, nessuno escluso.
Ora dovevano uscire da quella finestra, scavalcare e correre per circa 15-20 metri tagliando la carreggiata della strada. Sergej mise il naso fuori dal davanzale, e scosse la testa.
Dall’altro lato della strada c’era un lungo muro, che non presentava aperture o brecce per circa 30 metri a sud e 30 a nord. In sostanza anche se fossero arrivati vivi dall’altra parte (cosa ancora tutta da conquistare) non avrebbero trovato riparo né passaggio alcuno.
Si sedette.
“Merda: qui rischiamo di farci bucherellare”
“Uscite voi” disse Nikolaj “io vi copro: appena uscite sparo a raffica finchè non siete di là”.
“No, è da escludere” rispose il caporale scuotendo la testa. “Non abbiamo abbastanza tempo per trovare un passaggio da qui, e poi riveleresti la tua posizione diventando carne da macello. No, è un suicidio”.
“Sappiamo quanti sono, Caporale?” chiese Ivan
“No. Per quanto ne so possono essere mille” rispose Sergej. “O magari solo 3, ma non possiamo basarci sui forse o sui magari”.
E aveva ragione.
Prese il binocolo e si alzò, puntando l’obiettivo verso l’altra parte della strada. Non è dato sapere come caspita ci riuscì, ma nella sua lente comparve dall’altra parte della strada (leggermente a Sud) un punto bianco, riconoscibilissmo.
Era la tuta di un VDV, non c’erano dubbi. Aveva avuto fortuna: ad occhio nudo non era visibile, ma da quella angolazione e col binocolo ci era riuscito; aveva visto la truppa A.
Dunque i rinforzi non erano lontani: erano solo ignari.
Aprì il quadrante dell’orologio.
Yuri bloccò il braccio del comandante mettendoci sopra la mano. “Non possiamo chiamarli, Caporale, è contro gli ordini.”
“Lo so”rispose duro Sergej “ ma devo avvisarli che siamo a 80 metri da loro, ci devono coprire o siamo morti”.
Yuri tolse il braccio e lo fissò. Poi abbassò la testa dopo qualche istante “Si. Forse avete ragione”.
Sergej premette il tasto della comunicazione e disse nel microfono “Squadra A, qui B. Rispondete, passo”.
Attese.
Dal microfono solo un fruscio e un gracchiare senza risposta.
“Rispondete A. Passo.”
Niente.
“MERDA” disse a denti stretti. E con un gesto secco lanciò l’orologio contro il muro di fronte. “Hanno coperto il campo con gli elettromagnetici. La radio è inutilizzabile, non possiamo contattarli”.
Poi Nikolaj alzò la testa e con aria allarmata disse: “Ma così se i ribelli erano in ascolto col radar di localizzazione hanno captato la nostra esatta posizione. O sbaglio?”
Tutti guardarono Sergej che sgranò gli occhi.
“Si, cazzo” disse. “Via, via, via!”
E indicò una porta a Sud. Ormai erano scoperti.
La speranza era di arrivare a unirsi con i VDV, ma il rischio ora era raddoppiato. Se passavano davanti alla Squadra A e senza farsi riconoscere...beh...forse avrebbero rimpianto i fucili dei ribelli.
Erano come in una morsa: fuoco amico a destra, fuoco nemico alle spalle, e a sinistra non potevano andare.
Sergej era un bagno di sudore, e sentiva già il fiato sul collo di quei maledetti ribelli. La tensione lo invase, la paura gli rallentava la corsa. Ma doveva rimanere lucido.
O sarebbero morti.
Tutti.

Uscirono dalla casa ed entrarono in un capannone che confinava a mezzo metro dalla porta di uscita. Aprirono il portone dimenticando la prudenza: a questo punto era solo un freno. A fanculo tutto.
Le persiane, osservando dall’interno, erano sprangate, ed alcune finestre avevano chiusura con lastre metalliche. Da lì non si poteva uscire.
Sergej osservò la disposizione della muratura della casa, dopodiché disse: “Se andiamo avanti usciamo proprio nella piazza dove fra..”
Ed osservò l’orologio che segnava le 5:27.
“....circa mezz’ora uscirà il cingolato di punta dei ribelli. Ci saranno già le canne dei VDV puntate sull’apertura del terreno. Se usciamo da lì...” Indicò l’ultima porta da sud della stanza. Poi finiva la casa e con essa l’isolato intero.
“...finiamo sotto il tiro amico e sputtaniamo la missione”
Il gruppo fece silenzio. Non sapevano che fare.
“Cominciamo a levarci da qui, saliamo sopra” continuò il caporale. Ma non era convinto della situazione nemmeno lui.
Il capannone aveva una struttura rettangolare, con un soppalco di circa 5 metri più alto sul terreno, dove erano stipati casse, contenitori e scaffali. Un magazzino dimenticato, insomma.
Salirono in fretta sulla scala metallica che portava al soppalco, sempre tenendo i fucili puntati in cima al pianerottolo, e poi sopra in mezzo a quel disordine incredibile.
La roba era ammucchiata in blocchi senza senso o in casse di metallo, senza ordine o logica.
Si sedettero puntando le ginocchia per terra, e si girarono: la canna del fucile di Yuri indirizzata alla scala da dove erano saliti. Lo stesso fece Ivan.
Poi Sergej disse a Nikolaj: “Metti via quell’affare: se ti parte un colpo qua viene giù tutto”.
Nikolaj capì, mise la sicura al lanciarazzi e lo posò dentro ad una scatola di sintoplastica vuota.
Dopodiché mise mano alla fondina e impugnò la Magnum d’ordinanza.
Attesero.

Passarono minuti interminabili, finché un click della porta sotto di loro segnalò ai loro orecchi che qualcuno stava entrando nel capannone.
Una cosa era certa.
Non tutti ne sarebbero usciti.
I loro occhi saettarono da una parte all’altra del soppalco, aspettandosi di vedere qualcuno saltare su da un secondo all’altro; le mani ben impugnate sui manici, col dito fremente al grilletto.
Poi rumore di passi. Più passi.
Sergej fece segno agli altri con la mano. Secondo lui erano almeno 4-5.
Era certo che non sarebbero usciti dalla porta: sapevano che lì c’era il piazzale. E nemmeno avrebbero sparato verso l’alto bucando il soppalco da sotto: poca probabilità di colpire e certezza di essere visti e sentiti. Dovevano salire.

Poi un casco. Senza visiera, solo legato sotto il mento. Un secondo e sparì, nascosto a fianco del primo scaffale del soppalco. Uno era salito, e per pochi istanti Sergej l’aveva avuto sotto mira.
Imprecò nella sua testa e serrò i denti. La punta del fucile saltava dallo scaffale alla scala. Dalla scala allo scaffale.
Poi un altro: aveva visto la schiena sbucare e andare dalla parte opposta rispetto al compagno. Correva accucciato e sparì subito dalla loro vista.
CascoSenzaVisiera si mosse aggirando lo scaffale, ma rimpianse di non avere un giubbotto antiproiettile e una visiera in plastica infrangibile praticamente subito.
Yuri lo crivellò all’altezza del torace, senza risparmiare colpi. Cadendo, qualche colpo gli entrò anche nel naso.
A quel punto fu inferno.
Sergej scattò a destra, intercettando la traiettoria del secondo che era salito, e sparì alla vista di Ivan, che invece teneva puntata la canna sulla scala. In quell’istante entrarono accucciati 3 uomini, che evidentemente stavano aspettando sul pianerottolo.
Il terzo si prese un paio di pallottole nella schiena, grazie a Ivan che si alzò di colpo e annullò la loro copertura da accucciati.
Nikolaj si mosse sulla sinistra, andando verso la scala e CascoSenzaVisiera che giaceva immobile. Fu un errore, perché in quel modo tolse copertura a Ivan che stava in piedi.
Quattro colpi secchi, dalla canna di un mitra a colpo variabile proveniente dalla sua destra prese Ivan sul braccio destro e lo fece cadere su un mucchio di rottami.
Il primo della comitiva di 3 che erano entrati accucciati aveva appena vendicato il compagno preso alla schiena. Anche lui si rese però visibile, e di questi quattro colpi a segno non poté mai vantarsene. Yuri gli bucò la testa con 3 saette che volarono di seguito dal suo fucile.
Nikolaj non si rese conto dell’errore, e continuò a tenere sotto mira la scala, dalla quale, però, non salì più nessuno.
Sergej era da qualche secondo appostato dentro a uno scatolone rovesciato: capì subito la posizione strategica di quel nascondiglio e si lanciò dentro. Pochi istanti e il secondo, che era salito subito dopo CascoSenzaVisiera gli passò a pochi centimetri, accucciato e con un vecchio fucile dell’esercito ribelle in mano.
Non vide Sergej alla sua sinistra, e fu un errore. Si fermò davanti a lui dandogli la schiena, ignaro di tutto, pensando di prendere alle spalle l’intero gruppo; e questo fu stupido. Lasciò il tempo a Sergej di estrarre la lama dalla fondina che aveva sulla spalla.
Lo Stupido lanciò un grido, quando 30 cm di coltello gli entrarono nella gamba lacerandogli i muscoli.
Cadde all’indietro per il dolore e per lo spavento. Sergej afferrò il suo polso, ruotò la mano e gli tolse il fucile, poi con la destra gli puntò il coltello alla gola, tenendolo immobilizzato.
Lo Stupido capì e pur con un dolore lancinante al polpaccio tenne i denti serrati e non urlò. La sua vita era appesa a quella lama, che già odorava del suo sangue. Ne sentì il calore salire dal filo del coltello, e decise saggiamente di non fiatare.
Yuri mise a segno la sua terna prendendo anche l’ultimo dei 5 che erano saliti, piantantogli una manciata di proiettili nel cranio; niente da dire: era in perfetta forma. Poi ruotò la testa: appurato che Nikolaj copriva la scala scattò in direzione di Sergej, ma non c’era bisogno del suo aiuto nemmeno lì. Senza dire una parola fece cenno col capo al suo caporale e si diresse da Ivan, che ancora stava coricato supino sul mucchio di rottami.

Passò quasi un minuto, poi la situazione si calmò, non si sentivano spari, nè grida: i 5 che erano saliti erano veramente 5.
Sergej ruotò il corpo del ribelle, lo mise schiena a terra e gli urlò faccia a faccia: “quanti siete? Parla”.
Lo Stupido era veramente tale e non diede problemi. “5, siamo 5”.
“Non ci sono altri? Solo voi ci avete seguito? Dove sono gli altri come te?”
“Non so” disse Lo Stupido “Io dovevo solo seguire voi con la squadra.”
“Seguirci e ammazzarci tutti, vero?” Insistette Sergej.
Lo Stupido fece segno di si con la testa, evidentemente in soggezione.
“Quanti come te ci sono la fuori?”
“Non so, ma non farmi del male, mi sono arreso”
“PARLA MALEDETTO STRONZO” e lo sbatté con la nuca a terra “PARLA O TI TAGLIO A PEZZI! QUANTI SONO LA FUORI?!?” Ora Sergej era fuori di se.
“Cr...credo una cinquantina, ma non so dove siano. Io av...avevo la mia zona”
Cinquanta.
Merda.
Doveva avvertire i VDV, ma mancavano meno di 15 minuti alle 6.
Lasciò andare il corpo del ribelle. Non lo avrebbe ucciso, non era nemmeno un soldato: era un ragazzo con un fucile in mano che sapeva fare il suo mestiere come lui era un ristoratore.
Appena tolse la lama dalla gola del ribelle ruotò il polso e lo colpì due volte all’altezza del mento.
Cadde svenuto. E da lì non si rialzò.
Corse dai suoi uomini, e capì subito come Ivan era sul filo tra la vita e la morte. All’altezza del braccio non era coperto dalla tuta, per lasciare i movimenti fluidi. E dunque i proiettili erano entrati; due in maniera molto seria.
Lo caricarono a spalle in 2, con Nikolaj che apriva la strada fino alla scala. Aveva appreso da Yuri del suo errore di copertura, e si insultò nella mente per la sua avventatezza e stupidità. Ma ora non poteva farci nulla, doveva solo concentrarsi sulla strada da aprire.
Scesero la scala con Sergej che teneva Ivan sorreggendogli il braccio destro.
In fondo al capannone andarono alla porta di uscita Sud.
Il piazzale davanti a loro. Meno di 8 minuti all’uscita del convoglio. La sola speranza è che gli spari avessero messo in allarme i VDV, ma non potevano avere certezze.
Sergej depositò il corpo a terra, controllò la cartuccia della Magnum e disse a Nikolaj: “Prendi il lanciarazzi. Noi continuiamo per la nostra strada. Quel cazzo di convoglio deve saltare.”
Nikolaj ubbidì, ma con qualche riserva che tenne per se.
“Con o senza VDV noi fra 6 minuti usciamo”. Con un click secco posizionò il caricatore.

Capitolo 6. Tagliare i rifornimenti.

Author: Jager_Master / Etichette: ,

Era la prima volta che Dimitri non partecipava ad una missione con il gruppo, e di questo Sergej sentiva la differenza. Aveva la sensazione di correre a piedi nudi sull’asfalto, o di imbracciare un fucile scarico; insomma: mancava qualcosa. C’era poco da dire.
Il successo delle missioni fin d’ora intraprese dalla sua squadra si basava su poche ed efficaci regole, ed una di queste era l’unità di gruppo, l’unità di intenti, la convinzione che la vittoria del singolo è frutto del lavoro di tutti. Da soli non si è nulla. Insieme si è tutto.
Ed ora un braccio della squadra sarebbe mancato; si chiedeva se questa fosse stata una decisione saggia, ma nella sua posizione aveva ben poco da obiettare: era stato addestrato per ubbidire e così avrebbe fatto, nei confronti di ogni decisione del Generale Andriej.

La camionetta lasciò la zona delle quattro mura poche ore dopo la loro cena con il Generale. Avevano avuto giusto il tempo di prendere sulle spalle il loro equipaggiamento, di vestirsi e di farsi trovare pronti nello spiazzo dietro le camerate, dove ben pochi potevano vedere le operazioni che si sarebbero svolte.
Appena arrivati alla camionetta saltarono sul cassone coperto, come da ordini, e si nascosero seduti dietro a delle casse di metallo che contenevano rottami di armi e di struttura.
Aspettarono pochi minuti, dopodiché chiunque fosse alla guida accese il motore e fece una veloce manovra a U dirigendo la camionetta verso un’uscita secondaria.
Erano 4 nel cassone, e dalle facce dei suoi ragazzi Sergej capì che l’umore non era dei migliori.
Scrutò gli occhi di Nikolaj, e non si sorprese di leggerci una vena di preoccupazione. In effetti la loro missione non era semplice: in codice era di livello giallo, giusto un gradino sotto il rosso che era il massimo.
Avevano ricevuto ordine di unirsi ad un gruppo di truppe VDV a 10 km dall’obiettivo, per poi spostarsi a piedi fino alla zona x.
Da lì avrebbero agito separati. Punto.
Questo per loro era sufficiente, e dunque nessuno di loro aprì bocca per tutto il tragitto, rimanendo nascosti dietro le casse, e perdendosi nei pensieri.
Dopo una buon’ora di viaggio senza sorprese, l’autista colpì con un pugno secco la zona metallica della porta che conduceva al cassone dietro. Il gruppo alzò di colpo la testa, all’unisono.
Avevano 1 minuto.
Controllarono per la decima volta l’equipaggiamento, le armi e la temperatura corporea, com’era da prassi e da buon senso. Dopodiché attesero.
Un minuto dopo i colpi dall’abitacolo furono due; Sergej si lanciò fuori dal cassone, atterrando sulla terra gelida, mantenendo un discreto equilibrio. Aiutati dalla velocità ora ridotta della camionetta Yuri, Nikolaj e Ivan seguirono il loro caporale saltando fuori a catena, e atterrando con gli scarponi ben saldi sul terreno.
La camionetta accelerò di colpo e in pochi istanti sparì all’orizzonte. Ma nessuno della squadra degnò l’automezzo neanche di un’occhiata: un secondo dopo che toccarono terra erano già ai lati della strada, nascosti dietro un muro e a grossi blocchi di ghiaccio.

Sergej fece l’analisi della situazione in modo rapido. La sua vista si stava velocemente abituando alla zona, aiutato dal fatto che nel cassone erano al buio e quindi in pochi secondi distinse le 3 sagome attorno a se. Fece un cenno con la testa che tutta la squadra capì al volo e in perfetta coordinazione si mossero piegati su loro stessi correndo lungo la strada, a pochi metri di distanza dalla stessa. Dopo mezzo chilometro circa che correvano accucciati ripresero fiato accanto ad una casa diroccata, distrutta anni addietro dai bombardamenti.
Si appiattirono al muro e osservarono la zona dinanzi a loro, osservando come il buio, il silenzio e la devastazione coprivano l’intero orizzonte.
Poco dopo l’orologio di Sergej emise luce verde. Portò rapidamente il polso all’altezza della bocca, e premette un tasto accanto al display.
“Zona uno. Gruppo B. Attendo” furono le parole del caporale.
Gli altri 3 uomini non mossero un muscolo attendendo precisi ordini, e continuarono a guardare dinanzi a loro.
“Gruppo B. Muovi avanti. Ora.” Appena l’orologio gracchiò Sergej cominciò a correre in avanti, sempre accucciato. “Muoversi” disse al resto della squadra, che prontamente lo seguì in fila indiana. Ivan chiudeva la comitiva.
Corsero per un’ottantina di metri e rimasero colpiti ed affascinati da ciò che videro. A pochi metri da loro erano appostati una ventina di uomini, divisi in due gruppi, alla loro destra e alla loro sinistra. Erano lì da chissà quanto, e nessuno di loro li aveva notati.
Non un rumore, non un movimento, non la sensazione di essere osservati. Se qualcuno, ignaro, fosse passato fra Sergej e la Squadra A, sarebbe stato abbattuto senza possibilità di salvezza alcuna.
Erano di un’efficienza mostruosa.
Uno di loro, il caporale della Squadra A, mosse verso Sergej.
Si sedettero per terra, e la maschera protettiva del primo si aprì. Tese la mano verso Sergej e disse: “Caporale Idarov”.
“Caporale Sergej”, rispose, stringendo la mano del suo pari grado.
“Vi abbiamo visti mentre muovevate verso A” - disse Idarov – “poi vi abbiamo controllato per qualche minuto prima della comunicazione. Normale sicurezza, lei mi capisce.”
Sergej non nascose il disappunto. Pensava di essere stato perfetto nella manovra, ma evidentemente avevano sbagliato qualcosa.
“Non la prenda come una critica, caporale, sapevamo del vostro arrivo, del punto A e della zona di avvicinamento. Ma siete stati alti nel movimento” e sorrise amaramente.
La critica era invece fin troppo chiara, pensò Sergej. Sbagliare il movimento rimanendo alti sul terreno era uno degli errori più frequenti, ma non sapeva chi di loro avesse sbagliato la manovra e d’altra parte poteva farci ben poco.
“Vedremo di non ripeterlo” rispose secco Sergej, cercando di rimanere impassibile.
Idarov lo osservò per qualche istante, dopodiché riallacciò la maschera, indicò un punto alle spalle di Sergej e disse “Punto C. Colonna centrale, vi copriremo ai fianchi”.
Si alzò di poco dal terreno e oltrepassò Sergej alla sua destra. Un piccolo plotone di una decina di uomini lo seguì tenendosi praticamente a pelo del terreno. E sparirono.
Sergej fece segno ai suoi 3 uomini che lo osservavano attentamente da qualche minuto, in attesa di ordini. Subito lo raggiunsero, per poi dirigersi al punto C. Il loro obiettivo.

Corserò per un chilometro circa, poi si alzarono in piedi quando dalla comunicazione radio di Idarov arrivò l’ordine “Alti ora. Zona sicura”.
La cosa facilitò non poco la corsa, soprattutto a Nikolaj che portava un’arma non proprio d’ordinanza.
E proseguirono per circa 15 minuti, sempre coscienti che alla loro destra e alla loro sinistra, da qualche parte, c’erano venti uomini che correvano fianco a loro. Un pò sicurezza, un pò agitazione.
L’adrenalina cominciava a crescere e i 4 soldati ne sentivano la potenza scorrere nella saliva, nel sangue, nel cervello.
Sapevano di essere parte di un meccanismo che doveva funzionare come un orologio. O molti uomini sarebbero morti. Lo sapevano bene. Ma la sensazione di non essere all’altezza di quelle macchine di morte che stavano correndo con loro...ogni tanto arrivava, e minava la sicurezza mentale, faceva sudare le mani, e toglieva concentrazione.
Un soldato questo non poteva permetterselo. La tua insicurezza è la tua morte. O la morte del tuo compagno.
Niente di più vero.

Proprio per questo motivo, per ritrovare tranquillità, concentrazione, forza interiore, il gruppo di fermò di colpo. E le due ali fecero lo stesso.
Ognuno era fermo e sapeva che lo stesso stavano facendo gli altri. Era una manovra tipica, per ritrovare fiato, compattezza, sicurezza di se.
Davanti a loro un zona completamente devastata. Palazzi a pezzi, strutture cadenti, ghiaccio e metallo ovunque.
Eppure laggiù, da qualche parte, in mezzo a quel nulla, sarebbe uscito di lì a poco un convoglio diretto alla strada che tagliava la radura a poche centinaia di metri da loro.
Quel convoglio alla strada non ci doveva arrivare.
Sergej respirò a fondo.

La missione a questo punto avrebbe preso una svolta fondamentale. Il gruppo di copertura avrebbe aggirato la zona dai due lati, stringendo come una morsa intorno al punto x, da dove sarebbe uscito il convoglio.
Il gruppo di Dimitri, invece, doveva fare la voce grossa, cercando di colpire frontalmente il primo degli autocarri facendolo saltare con un lanciarazzi di grosso calibro. In questo modo l’esplosione avrebbe tagliato la strada alla colonna al seguito, favorendo il fuoco da entrambi i lati della squadra A.
Insomma, a Dimitri spettava metter fuori le chiappe per primo, rischiando di avere subito il fuoco contro come primo bersaglio visibile. Tutto doveva andare liscio, o sarebbero morti in quattro e quattr’otto.
Il fatto è che, secondo il principio di prima, dovevano basare parte della loro sopravvivenza su altre persone, ovvero il gruppo A, che doveva fornire anche fuoco di copertura. Della loro efficienza, comunque, si poteva contare. E questo tranquillizzò in parte Sergej.

Scesero la collina a passo veloce, perdendo di vista la Squadra A in poco tempo. Idarov scese alla sinistra di Sergej, guardandosi l’ultima volta alle spalle. I due sguardi si incontrarono per pochi istanti, poi il caporale della Squadra A si lanciò giù per la collina con il resto del plotone alle spalle.
Sergej lo vide sparire dietro il crinale che portava ad est della cittadina bombardata.
Fu l’ultima volta lo vide.
A destra, in perfetta coordinazione, la seconda parte del plotone scese verso ovest. A sergej, infine, come detto, rimaneva il centro, la zona scoperta.
Erano 4, e per questo meno visibili delle squadre numerose, ma il pericolo era comunque notevole.

Entrarono in una finestra della prima casa che incontrarono, immergendosi nel buio della struttura, e si accucciarono appena entrati. Col fucile a puntamento laser Yuri mirò nel vuoto della stanza coprendo i compagni e si addentrò.
Percorse il perimetro e scoprì presto che la stanza era di forma quadrata, completamente spoglia. Spense la visione notturna e la riaccese, giusto per controllare che il meccanismo funzionasse velocemente in caso di necessità. Non era pignoleria: era la differenza tra una pallottola nel cranio e una pallottola che sfila a fianco. E non era poco. Chi fa il macho muore, e nessuno di loro quattro lo era.
Fece segno ai 3 che erano rimasti sotto la finestra, e il gruppo di riunì dove stava Yuri.
“Troviamo una uscita secondaria”, disse Sergej. “Nikolaj passi per terzo, Ivan lo copri chiudendo la fila. Yuri: apri tu”. Tutto era chiaro, ognuno sapeva che fare.
Uscirono da una porticina dopo che Sergej e Yuri aprirono la strada tenendo sempre i cannoni putanti verso l’esterno. Camminavano a passo sicuro, senza correre, tenendo le natiche attaccate ai muri e la schiena curva.
Nella mappa della città devastata si trovavano praticamente nella zona centrale, spazialmente più vicini in linea d’aria, anche se di poco, alla Squadra A Zona Sinistra.
Per non correre in linea retta ogni tanto entravano da una finestra, o da uno squarcio nella parete, passando da un lato all’altro delle abitazioni. Un paio di volte salirono di un piano, passando dai balconi. L’importante comunque, oltre a non dare riferimenti ad eventuali nemici, era non scoprirsi, e dunque non misero mai il naso lontano dalle murature, non attraversarono mai la strada e non passarono sui tetti.

La manovra di avvicinamento durò circa mezz’ora, nella quale percorsero 2 km nella zona abbandonata, arrivando a 400 metri dall’obiettivo.
A questo punto attesero che arrivasse l’ora giusta.
Secondo le indicazioni del Generale Andriej Korazov i rifornimenti dei ribelli sarebbero usciti dalla zona sotterranea alle 6 del mattino. Come faceva il Generale a sapere questa informazione nessuno lo sapeva. E a nessuno fondamentalmente importava.
Erano le 4:56 all’orologio di Sergej. Secondo il breafing dovevano aspettare nel punto in cui erano le 5:48, per poi puntare le armi verso l’apertura.
Era importante arrivare prima, come avevano fatto: questo perché dovevano avere un margine operativo per permettere alla squadra A di raggiungere la posizione di copertura. In altre parole: dovevano sperare che alle 5:48 la squadra A avesse le canne puntate sulle loro chiappe, o sarebbero stati cazzi amari.
Ma avevano avuto fortuna fino a quel punto: neanche un cecchino, neanche un soldato o un’avvisaglia di imboscata, segno che i ribelli si sentivano al sicuro. E non avevano sentito spari: dunque anche la squadra A non aveva trovato ostacoli.
Ma per Sergej queste erano stronzate. Mai abbassare la guardia, mai fidarsi. Era sempre la solita storia dell’uomo morto.
E spesso quando la situazione è troppo tranquilla...è il momento in cui piovono cazzi.

Poi Sergej aprì bocca; era quasi un’ora che nessuno fiatava: “Ivan: stai a quella parete e copri la zona. Yuri: vieni con me”.
I 3 soldati si scambiarono sguardi interrogativi. “Signore, le indicazioni sono...”
“Lo so quali sono le indicazioni. Saremo qui in 20 minuti al massimo. Ora fate quello che dico. Nikolaj: copri la parete opposta”. Detto questo si mosse verso la porta da cui erano entrati, la aprì e sparì all’esterno. Sapeva che Yuri era dietro di lui anche se aveva dato da intendere che non capiva la manovra: era addestrato per svolgere operazioni chiare e precise: fai questo, copri quello, spara a quell’altro. E lo faceva. Sempre.
Infatti poco dopo Sergej si accucciò al fondo di una scala interna, scrutando la rampa che saliva, e sentì la mano di Yuri sulla sua spalla.
Non si girò, sapeva che era lui, sapeva che era la prassi, sapeva che quello voleva dire “copertura ok. Non sei solo”. Rimase con lo sguardo fisso verso l’alto, osservando il buio che portava al secondo piano.
In linea d’aria erano tornati indietro di 40 metri circa, nella casa a fianco rispetto a Nikolaj e Ivan.
Rimase fermo con lo sguardo fisso, contemplando il vuoto. Yuri manteneva la mano sinistra sulla spalla del caporale, e con la destra teneva il fucile a canna corta puntato davanti a se: fissava la porta di fronte, pronto a far fuoco nel caso fosse entrato qualcuno. In questo modo Sergej era libero di pensare ad altro e non alla propria schiena.
Questa posizione durò più di 8 minuti, segno che Sergej non era convinto, non voleva salire le scale. Yuri cominciò a sudare, ma non voleva girare la testa per osservare il suo capo: sapeva che non doveva pensare ad altro che osservare quella dannata porta.
Poi Sergej impercettibilmente si mosse. Spinse la testa più avanti, e ruotò il collo osservando verso l’alto.
I suoi occhi si mossero veloci verso la rampa delle scale che finiva al secondo piano, sopra la sua testa e il suo cuore si fermò per qualche istante. C’era qualcosa al secondo piano. O qualcuno. E quel qualcuno oltrepassò veloce il pianerottolo, disegnando un’ombra sul muro.
Sergej ritrasse la testa. Poi con la mano sinistra toccò la mano di Yuri, che subito arretrò tornando nella stanza di provenienza. Ruotò su se stesso ed entrò, con il caporale che lo seguiva.
Camminò svelto tornando sui propri passi, col cuore in gola. Sergej aveva visto qualcosa, ne era sicuro!
Incontrò la porta da cui erano passati ormai 3 volte, i propri compagni a 20 metri circa. Ruotò una seconda volta poggiando le spalle al muro, la porta in cui entrare alla propria destra, Sergej davanti alla sua faccia.
Senza fermarsi Sergej fece cenno con la testa ed entrò a fucile spianato, Yuri dietro di lui.
In 1 minuto e mezzo arrivarono alla stanza dove stavano Nikollaj e Ivan.
Per non essere bucati dal fuoco amico toccò la porta due volte, bussando piano. Poi una terza a distanza di qualche secondo.
E si fiondò all’interno. Alla sua destra vide Nikolaj con la coda dell’occhio mentre entrava lanciato. Ivan era davanti a lui e lo mirava in fronte, nel caso fosse un trucco. Abbassò il fucile appena vide che era il proprio comandante.
La porta si chiuse dietro Yuri, poi al cenno di Sergej il gruppo si riunì.
Il Caporale guardò rapidamente gli occhi dei suoi uomini e disse la frase che Yuri si aspettava. Ma fu lo stesso un colpo, anche perché il tono era allarmato e il sangue freddo di Sergej era improvvisamente sparito : “E’ un’imboscata, cazzo! fuori di qui!”.


Applausi per fAlan

Author: Matteo Piovanelli / Etichette:

Un applauso a fAlan per quel che ha fatto.

I consigli di una gallina - Capitolo sette: Ritorno alla fattoria

Author: Apo / Etichette: ,

Aus e Fulgenzio sbiancarono come se avessero davanti dei fantasmi...
Aus "Ma...tu...voi...dovreste essere..."
Yaya "Morti? Col cazzo!!!"
Aus "E il Mietirebbietor?"
Mauro "E' più avanti...con tutti i cavi tagliati...ti ci andranno anni per ricostruirlo..."
Aus "Impossibile! La mia creazione....ma dovreste essere stati uccisi da François.."
Yaya "Mauro l'ha sistemato per bene..."
Aus "Tu..hai ucciso...Hanzo?"
Mauro "No..l'ha ucciso lui" e indicò Remo che giaceva poco più in la privo di sensi...Aus guardò l'orso, "Hanno pure salvato la checca" pensò..."se tornano alla fattoria sono fottuto..non ho alternative"...un ghigno apparve sul suo volto...
Aus "Pensate di essere dei fighi vero? Uhauhauha fate cagare...tremate davanti alla mia invenzione..." disse il dottore tirando fuori un telecomando e schiacciando un grosso pulsante rosso...
Dopo alcuni secondi si sentì un rumore, simile a quello di un motore...
Yaya "Maccheccazzo..."
Mauro "SALTAAA!!!"e nell'urlare spinse Yaya in mezzo ai cespugli....mentre un'ombra nera passava alle loro spalle...
I due si rialzarono e guardarono verso dottor Aus, davanti a loro c'era lei, la pià grande meraviglia tecnologica del mondo.....Kit, la macchina di Supercar....
Aus "Vedo che avete paura stronzetti....sappiate che questa l'ho costruita io....ed è molto meglio che nel telefilm...ora vi inculo...."
I due si guardarono terrorizzati, mentre Aus si avvicinava alla macchina...
Aus "Apriti..."
Kit "S-U-C-A S-T-R-O-N-Z-O S-I-I G-E-N-T-I-L-E!!!"
Aus arrossì, mentre Yaya e Mauro ridevano come dei dementi...
Aus "Troia io sono il tuo padrone come ti ho creato ti distruggo..."
Kit "I-N M-O-N-A" disse sottovoce mentre apriva la portiera...Aus salì e disse...
Aus "Espulsione sidecar....", da Kit uscì un sidecar su cui si sedette Fulgenzio....
Aus "Modalità guerriero"...Kit si alzò sulle ruote posteriorie iniziò una serie di trasformazioni che la resero simile ad un umano, pronta per combattere....
Yaya e Mauro si scambiarono uno sguardo d'intesa...si separarono e partirono all'attacco...uno da un lato e uno dall'altro, ma Aus, Kit e Fulgenzio non si fecero sorprendere....la macchina iniziò a ruotare su se stessa mentre i due animali sparavano razzi in ogni direzione...Yaya e Mauro si fermarono...non sapevano più che fare...
Yaya "Puttana vacca è peggio dello stronzo di prima..."
Mauro "Tranquilla ho un'idea... dammi i miracle blade..."
Yaya "Si, ma vedi di far meno il figo che ti squarto sennò..."e lanciò i coltelli verso il cammello...
Mauro prese i coltelli e ne lanciò la maggior parte verso la macchina, poi saltò in alto mentre il nemico distruggeva i coltelli con i razzi....
Mauro "Dall'alto sei scoperto....coglione...." urlò mentre si preparava a colpire con la mannaia per sminuzzare....
Aus "Il coglione sei tu..." e dalla macchina partì una scarica elettrica che fulminò il cammello....
Yaya "MAUROOOO...testa di cazzo....me la pagherete...."
E saltò anche lei...prese il corpo di Mauro al volo e gli sussurrò nell'orecchio...
Yaya "Vedi di svegliarti in fretta e di distrarmelo...mostra di avere le palle...che io lo secco..."
e lanciò il cammello a terra...
Mauro rimase intontito per un attimo, ma trovò la forza per rialzarsi...nel frattempo Yaya puntava verso il nemico evitando i razzi...stava per colpirlo, quando un razzo la colpì all'addome, lei cadde a terra svenuta...
Aus "Uhahahah ti ho sconfitta troia....suca...sei finita...uahuahuah è il giorno più bello della mia vita!!!"
Mauro "Ci sono ancora io...stronzo!!!"...e partì all'attacco anche lui, ma stanco e intontito com'era non riusciva ad avanzare così dovette accontentarsi di schivare i colpi dalla sua posizione, mentre pensava al da farsi...
Mauro "Ora che Yaya è morta come cazzo faccio a salvarmi?" ...pensava...
Dopo un po' che Mauro evitava i razzi Aus capì che così non avrebbe mai vinto....
Aus "Basta!!! Eccoti il mio supermegacannon...Kit si fermò e lanciò una delle ruote anteriori verso il cammello....
Mauro la evitò senza problemi....
Mauro "Hahah tutto qua...che merda...ma aspettavo di meg..."
Ora al posto della ruota vi era un cannone enorme...
Aus "FUOCOOO!!!" e la macchina iniziò ad accumulare energia....
Aus "ORAAA"..dal cannone partì un fascio di energia enorme, Mauro senza pensare si gettò a terra, di lato...."Per un pelo..." pensò...
Aus "ANCORA" e un altro raggio partì verso il cammello...il cammello con uno sforzo enorme raccolse le sue ultime energie per rotolare poco più in la....evitando ancora una volta il raggio..."E' finita..." pensò...
Aus "ANCORA"......
.........
.......
......
Niente....
Aus "ANCORA!!!"....nulla....
Kit "D-A-N-G-E-R.....S-C-A-P-P-A-R-E....D-A-N-..." BOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOM....Kit scoppiò in mille pezzi...mentre Aus e Fulgenzio saltarono fuori dalla macchina appena prima che scoppiasse....
Aus "Ma..cosa?"...disse guardando il fumo che copriva l'ammasso di ferraglia a cui era ora ridotta la macchina........
Yaya "Uhahaha coglioni!!!! Avete il cazzo corto...sempre e comunque...non potete batterci..."
dal fumo uscì Yaya.....
Yaya "Ho solo finto di essere morta...anche quella merda aveva una marmitta...l'ho tappata con il mio mega cazzo di gomma...uahuaha testa di cazzo ti ho fottuto facile...peccato solo per il mio dildo..."
poi si volse verso Mauro...
Yaya "Dai cretino tirati su...ottimo lavoro comunque..."
Mauro "Puttana...hai fottuto pure me..."
Yaya "Puttana sarà tua madre...vedì di fare il figo ancora meno di prima che ti ho parato il culo...."
Mauro sorrise...Yaya lo aiutò ad alzarsi e si avvicinarono ad Aus e Fulgenzio...
Mauro "Arrendetevi..."
Aus e Fulgenzio arretrarono spaventati...
Yaya "Ti caghi addosso eh? Checca!!!! E tu, cazzo corto?..."
Ma Aus aveva ancora una sorpresa...dalla tasca tirò fuori un tandem pieghevole, ci saltò su con il camaleonte e iniziò a scappare...
Aus "Non mi avrai mai puttana...Uhahahahahah" urlò guardando verso la gallina...quando...
TUNK....
Aus cadde per terra...aveva sbattuto contro qualcosa...era Remo....sveglio e furioso come prima....l'orso in un attimo prese a colpire i due animali malvagi...
Yaya "Che cazzo fa?"...
Mauro "Guarda ha la ruggine con se...dev'esserti caduta prima e dev'essere rotolata vicino a lui, risvegliandolo..."
Yaya "Ma puttana mia madre...mò che cazzo facciamo?"
Mauro "Ci penso io..." e come aveva fatto nelle paludi usò il coltello per sfilettare per rubare la ruggine all'orso...
Remo cadde svenuto su Aus e Fulgenzio....che rimaserò così intrappolati sotto il grosso animale...
Mauro e Yaya legarono i due e ripresero il viaggio verso casa, trascinando sempre l'orso e portandosi dietro anche quei due perfidi animali, per farli processare dalla fattoria....
Mauro "Questa è troppo pericolosa....meglio sbarazzarcene..." e vuotò a terra la ruggine....
Mauro "Comunque siamo imbattibili compagna..."
Yaya "Compagna sarà tua madre, ma che cazzo vuoi, guarda che stronzo...ho fatto tutto io, porta rispetto merda di uno coglione"...."Passami l'accendino" aggiunse...e si accese una sigaretta, mentre oramai il sole cominciava a tramontare....

Dopo una notte passata all'aperto la compagnia riprese il suo viaggio, normalmente ci avrebbero messo solo un paio d'ore per arrivare alla fattoria, ma vista la stanchezza e il fatto che non conoscevano bene quei posti ci misero molto di più....
Finalmente verso mezzogiorno arrivarono alla fattoria....