Yurie-Ann Smith

Author: Matteo Piovanelli / Etichette: ,

L'attesa era il succo della sua vita. A Smith pareva proprio che ogni momento della sua vita per una ragione o per un'altra si potesse descrivere con l'attesa. Smith che aspettava di sapere il risultato delle analisi. Smith che aspettava in coda alla cassa. Smith che ritardava al solito ritrovo con gli amici, facendoli aspettare. Smith che aspettava Campbell. Smith che aspettava Campbell.
Smith che aspettava Campbell.
Ultimamente era il tema che più ricorreva nella sua vita. Aspettare Campbell. Lui non era mai puntuale. Non lo era mai stato. Nessuno si aspettava che un giorno lo sarebbe stato. E in quel momento non faceva eccezione.
Smith prese il portatile e lo aprì. La luce asettica del monitor le schiariva il volto mentre si lasciava cadere sul divano, che sbuffò lamentandosi per il brusco risveglio. Sfilò la penna del touch-screen dall'alloggiamento.
Posta. Un nuovo messaggio. La mamma, naturalmente. “Yurie-Ann, quando è che passi a trovare tuo padre? È dal funerale che non ti fai vedere da queste parti. Chiamami.” Sicuro. L'avrebbe fatto. Dopo che era morto suo padre, la mamma era diventata ancora più fastidiosa ed asfissiante.
Portale del gossip. Chissà chi aveva fatto le corna a chi? E chi aveva mostrato quel centimetro di pelle in più che fa sbavare i giornalisti? Smith non stava leggendo: faceva scorrere le pagine, lasciando che i colori delle foto incriminate guidassero i suoi pensieri. Non riconosceva neppure volti e forme così famigliari di quegli sconosciuti.
Arrivava Campbell? Aveva già maturato i suoi soliti 10 minuti. Le servivano quelle dannate medicine, perché le sue scorte sarebbero bastate appena un altro paio di giorni. Maledetto braccio, chi glielo aveva operato, chi le aveva maciullato l'originale.
Campbell sicuramente le avrebbe trovate. Trovava sempre tutto, lui. Era così che funzionava: serve qualcosa? Chiedi a Campbell, e vedi che lui te la trova. Servono droghe? Campbell. Armi? Campbell. Un lavoro? Campbell. Cibi oltre al razionamento? Campbell.
Basta chiedere e pagare. E sottomettersi al fatto che il tutto arriverà in puntuale ritardo.
Questa commissione, per lo meno, gliela faceva gratis. Era una cliente affezionata. Quasi un'amica. Per qualche tempo era anche stata un'amante occasionale e insoddisfatta. Tanto faceva aspettare nella vita, quanto si sbrigava nell'intimità.
Citofono.
Bene, ormai solo quattordici piani d'ascensore la separavano dalle sue medicine.
Chiamò sul monitor l'immagine della telecamera. Solo il marciapiede, grigio di cemento e polvere.
«Chi c'è?»
«Ciao Yurie-Ann.»
Quella voce. Smith la conosceva. Era una voce di copertoni ed alluminio. La voce della fine dei suoi sogni di diventare neurochirurga. Sogni infranti uscendo da un club, spezzati da un ululato metallico montato su una moto. Una voce che non aveva mai sentito se non attraverso l'effetto di qualche droga, anestetici per lei o stimolanti per lui. Oggi non era l'eccezione che conferma la regola.
«Come va il braccio Yurie-Ann?»
Non voleva rispondergli. Dopo avere pagato l'operazione che le aveva restituito un braccio, era diventato la sua ossessione. Forse lei era diventata l'ossessione di lui, in effetti, ma lui aveva troppi soldi perché le autorità potessero liberarla dalla sua presenza. L'aveva visto la prima volta accanto ai suoi legali, che gli consigliavano scappatoie per non rimediare al danno fatto. Lui le aveva sorriso, la luce folle di uno stimolante negli occhi.
Poi quando era uscita dalla clinica, con il braccio vecchio che le prudeva da qualche parte in un bidone dell'immondizia e quello nuovo troppo perfetto per essere suo, lui era lì, a chiedere il perdono di mamma e papà Smith.
«Non mi apri qua sotto, Yurie-Ann?»
Era passato quasi un anno, e l'aveva visto fin troppo spesso nei club, che la fissava dai privè dove entravano solo in pochi e con troppi soldi nelle tasche. Poi era diventato audace. Le si avvicinava sulle piste. Le si attaccava alle spalle, sussurrandole insulti che puzzavano di wizard, la droga più di moda in quella stagione, raccontandole oscenità immaginarie che la vedevano protagonista, toccandola. Terrorizzata, per un po' aveva assunto degli ansiolitici illegali, che la intontivano quanto basta per ignorarlo.
Quando avevano cremato papà, lui era lì. Anche se non pioveva aveva un ombrello, nero, e ci si appoggiava sotto l'ombra di un cipresso particolarmente orribile. Questo era parte del motivo per cui Smith si rifiutava di andare a casa dalla madre: sentiva che quel posto era profanato di ogni intimità.
Poi il braccio aveva iniziato a darle qualche fastidio.
«Non vuoi lasciarmi qua fuori al freddo, vero?»
Ora era sotto casa sua. Il suo volto infine nel monitor: un ghigno alieno e folle, gli occhi infiammati dalla droga quelli di un insetto gigante, disgustoso ed ipnotico.
Smith si ritrasse sul divano, senza toccare il computer, ma incapace di distogliere lo sguardo.
«Sai Yurie-Ann, ho qualcosa per te quaggiù.»
Infilò la mano nel cappotto nero e opaco, e tirò fuori una piccola scatola. Mentre la avvicinava alla telecamera, Smith si protendeva verso lo schermo.
«Brutta storia, quella del tuo braccio. È proprio una sfortuna che le sinapsi sintetiche siano impazzite, vero Yurie-Ann? Se solo la medicina per tenerle a bada non fosse così costosa...»
Aveva una confezione dei suoi cerotti, quelli che anestetizzavano i nervi del suo braccio artificiale per evitare che diventassero ultrasensibili e reattivi. Ogni giorno un cerotto nuovo, altrimenti lo sfiorare il braccio con la maglia le avrebbe causato fitte lancinanti, e l'arto si sarebbe mosso in maniera convulsiva.
«Questo pacchetto,» lo guardò rigirandoselo in mano e se lo rimise in tasca, «per quanto ti durerebbe? Per quanto ti permetterebbe una vita normale? Altri venti giorni?»
Istintivamente Smith annuì, mentre si stringeva le ginocchia e fissava il portatile appoggiato al bracciolo opposto.
Da quanto andava avanti col braccio? La fase in cui contava i giorni uno per uno era già passata. Dopo gli ansiolitici per placare la paura, era stato il momento degli anestetici per calmare il dolore. Anestetici sempre più forti, e sempre meno locali, perché se il dolore non taceva alla fonte, almeno poteva filtrarlo in testa.
Un angolo dello schermo le disse che aveva ricevuto un messaggio.
«Sai una cosa che trovo divertente, Yurie-Ann?»
Smith voleva leggere il messaggio, ma la paura di avvicinarsi al monitor era troppa. Gli occhi incorniciati da anni di chirurgia che la stavano fissando le impedivano ogni movimento. Le sembrò che il braccio le prudesse, ma era una sensazione troppo lontana perché potesse reagire.
«Il fatto che stamattina mentre quelli della Hitachi riempivano la mensa di questa squallida scatola di cemento che tu chiami casa, una delle troie che mi puliscono casa mi ha fatto un pompino, e io pensavo a te. L'ho assunta apposta perché ti assomiglia, e quando ha finito l'ho picchiata. Ancora non mi apri la porta?»
Le aveva già “raccontato” di avere assunto quella povera ragazza, una sera che lei non era stata rapida a scappare dalla sua voce e dalle sue mani insistenti sulla pista di un locale. Non era mai più entrata in quel posto, e a passarci davanti rabbrividiva.
L'espressione di lui era diventata per un attimo pensierosa, perdendo la sua forza. Mentre Smith cominciava ad avvicinarsi per leggere il messaggio, lui riprese.
«Credo che la farò operare di nuovo, perché non ti assomiglia ancora abbastanza. Comunque preferire che ci fossi te a succhiarmelo ogni mattina, Yurie-Ann.»
Un messaggio da Campbell.
«Sai cos'altro trovo divertente?»
“Scusami Smith, ma non riesco ad essere da te nel pomeriggio come ci eravamo messi d'accordo. Passerò in serata, se per te va bene. Se non rispondi lo prendo per un sì.”
«Il fatto che l'azienda che produce i tuoi cerottini, da questa mattina, è mia.»
“Comunque ho già la tua medicina, ma il mio amico mi ha detto che potrebbe essere difficile procurarsela da qui in avanti.”
«Per cui quando te e quel negro cercate di fregare qualche confezione, mi fate un danno economico. Quando subisco danni economici, mi arrabbio, ed il mio nuovo analista dice che non mi fa bene.»
“Stanno aumentando la sicurezza, pare, e si parla di spostare molte produzioni in qualche laboratorio asiatico. La tua medicina dovrebbe essere tra queste. C'è un bel casino laggiù, visto che han cambiato proprietari.”
«Visto che non vuoi essere cortese e farmi salire, me ne vado Yurie-Ann. Ti lascio questo bel regalino nella buca delle lettere. Se ti serve altro sai dove trovarmi.»
“Io vedrò cosa posso fare, ma il mio amico era un po' preoccupato, e ha detto che non si sentiva sicuro ad aiutarmi ancora. Comunque te ne parlo bene più tardi. Ciao Smith.”