Eh be, la signora in giallo...

Author: GiAn /

Non so in che altro modo segnalarlo, quindi beccatevi questo

http://teatrinodisgustoso.blogspot.com

ola

episodi dalla fine del mondo mod1

Author: la zuppa / Etichette:

Fred.
Fred si sente protetto sotto il suo piumone azzurro cielo. Ha le mani grandi, Fred. Tanto che a lavoro le bestie gli hanno regalato i guanti di topolino. "Grazie" ha detto lui. Loro hanno riso, lui ha pianto. "Bestie". Il suono non esce, gli rimbalza nello stomaco.
Questa sera Fred non ha dato da mangiare alla tartaruga, le ha dato il Bacardi ed è morta. Poi si è messo il pigiama azzurro cielo e ha bevuto. (si sente protetto, sotto il suo piumone) "mi sento protetto sotto il mio piumone azzurro cielo" sogna mentre si infila nel letto gelato. La testa gli gira lentamente. mentre ruota dolce sul collo rosso urta col naso la bottiglia che dal cuscino scivola giù giù e si rompe. il fondo del bacardi ha sporcato il piumone. Fred raccoglie i cocci, si strappa le vene e il cielo si fa rosso. Poi tutto nero.

Le avventure di Alice: un sereno epilogo.

Author: Matteo Piovanelli / Etichette: ,


    Nel frattempo Sean attirò l'attenzione di Alice verso un pomodoro che aveva fatto rotolare spingendolo fino a lì, sicuramente quello per cui gli altri due stavano litigando. Era un frutto (o una verdura) non ancora maturo, e perciò verde e duro, e non si era minimamente rovinato nel venire usato come proiettile.
    Sempre ridendo sotto i baffi, che peraltro non aveva, il ragno spiegò:
    «Quello» ed indicò Walter, che proprio in quel momento stava passando a mezz'aria sopra la schiena dell'orso che era appena inciampato in una radice, «non riesce a distinguere i colori, e perciò gli va qualcosa che gli faccia da, diciamo, "esempio di rosso". Così Vin gli ha consigliato un pomodoro, ma l'altro che ha fatto? Ha pensato "meglio prenderne uno che mi duri a lungo, così spendo meno di frequente" ed è andato a comprarne uno non ancora maturo. Vin, vedendo la cazzata, ha preferito non dirgli niente, e farsi due risate alle sue spalle, così Walter se ne sta andando in giro da giorni scambiando verde per rosso.»
    Questa doveva essere una cosa che Sean trovava divertente, così ad Alice parve educato ridere con lui, anche se pensava che un poco la condizione del lupo fosse triste, anche se non capiva perchè. Senza pensarci granchè, si trovò a raccogliere il pomodoro ed infilarselo in tasca, sperando sotto sotto di poterlo ridare a Walter partecipando così al gioco di prenderlo in giro in modo da capire cosa lo rendesse divertente.
    «Ma comunque com'è che quei due si conoscono?» Chiese la ragazza.
    «Sai com'è», le iniziò a rispondere la signora Maggie, «con questi cavolo di borghesotti. Si mettono in testa di dovere convertire tutti ai loro presunti ideali, e così uno schifoso sfruttatore come Walter comincia a puntare un tranquillo orso, mendicante per scelta di vita, cercando di convincerlo a cambiare, per farne una sorta di esempio tra i non borghesi, e per potersi vantare delle sue capacità persuasive con gli amici del poker.»
    Intanto Vin, messo alle strette, aveva cominciato ad arrampicarsi su una acacia accanto alla betulla a cui era appoggiato poco prima. Il povero alberello dopo pochissimo prese a piegarsi sotto il peso dell'animale, e Alice pensò che non avrebbe potuto reggere. Poi l'orso si arrampicò un po' più in su, e l'albero si piegò maggiormente, e la ragazza non credeva che potesse reggere ancora. Ma Vin si sollevò ancora più in alto, piegando molto l'acacia, e a questo punto Alice si stava convincendo che nulla potesse spezzare l'elastica pianta. Fu proprio quando questo pensiero le attraversò la testa che con un "crack" molto più forte di quanto la ragazza si aspettasse il legno cedette alla gravità, mandando l'orso a gambe all'aria.
    La signora Maggie e Sean accorsero verso di lui per sincerarsi delle sue condizioni, ma più rapido fu Walter, che si trovava ad appena un balzo di distanza, a raggiungerlo per offenderlo, indifferente a come potesse stare.
    «Stupido grassone di un animale! Hai visto? Questo è perchè non sai come comportarti! Bisognerebbe che imparassi ad essere un orso a modo, invece di continuare coi tuoi atteggiamenti noncuranti, perchè vedi che portano solo guai.»
    Mentre il lupo parlava l'altro si era tirato a sedere singhiozzando sommessamente, e quando il primo prese fiato, sicuramente per poi continuare con nuove aspre parole, una veloce zampata di Vin lo mandò a rovesciarsi a terra più in là, intontito.
    Quindi la chiocciola, il ragno e la ragazza giunsero accanto all'orso per consolarlo. Alice era un poco intimorita dalla semplice mole della creatura, ma vederlo quasi in lacrime accanto all'albero spezzato ad accarezzarne le due parti la convinse della sua bontà di spirito, fugandone la paura.
    Per mostrarsi gentile e comprensiva, tacque, accarezzando la creatura tra le orecchie (per come era seduto, le riusciva di fare questo se stava sulle ginocchia, ma stendendo il braccio bene verso l'alto) e gli levò alcune delle spine della pianta che gli si erano conficcate nel pelo castano.
    La signora Maggie era scivolata fin su di una spalla dell'animale, e gli stava parlando.
    «Tutto bene Vin, non ti sei fatto male vero?»
    «Non va tutto bene» Rispose l'orso, con la voce che ci si aspetterebbe da tale creatura, ma incrinata da una tristezza che rasentava il pianto. «Ho rotto l'albero.»
    «Ma tu stai bene?»
    «Ha ragione Walter, quando mi muovo faccio solo danni.»
    «No, non è vero.»
    «Sì. Ho rotto l'albero solo perchè giocavo ad arrampicarmici.»
    «Ma è stato Walter a spingertici.»
    «Cazzate. E lo sai. Potevo non arrampicarmi. Solo che quando faccio qualcosa penso solo a me, e non a cosa può succedere, e combino casini.» Mentre parlava l'orso prese una fiaschetta da una tasca nascosta tra i suoi abiti, e ne trasse un lungo sorso. La fiaschetta era in realtà tale solo considerata in proporzione alle dimensioni di quell'animale, e quando fu aperta un forte odore alcolico colpì Alice in pieno volto, facendole allo stesso tempo desiderare di sboccare e di assaggiarne un poco.
    «Non è vero. Sarebbe potuto capitare a chiunque. E poi te sei uno che pensa agli altri.»
    «No, non è vero. Prendo tutto come un gioco. Non prendo le cose seriamente come dovrei.» Altro sorso.
    «Non scherzare nemmeno. Senza di te la Golden Cookies League non esisterebbe.»
    «E allora? Cosa facciamo per gli altri? Niente. Portiamo biscotti. Non è più un mondo adatto ai biscotti, questo, e dobbiamo rendercene conto.»
    Ora Alice si sentì di intervenire. «No, Vin, non è vero. La cosa da fare è impegnarsi perchè il mondo sia da biscotti, e per cominciare bisogna portare a tutti un po' della felicità che danno i biscotti, perchè altrimenti non sapranno cosa si perdono e tutto rimarrà com'è.»
    L'orso la guardò interrogativo, rendendosi per la prima volta conto di lei, e cercando di capire se doveva in qualche modo dare segno di averla riconosciuta o meno.
    «Io», continuò la ragazza imperterrita, «ho scoperto solo stasera della tua iniziativa, e trovo che sia meravigliosa, e che sia un inizio perchè il mondo migliori, perchè se la gente ragionasse di più nel modo dei biscotti, tutti ci si aiuterebbe di più e le cose andrebbero alla grande.»
    Vin stava palesemente per obbiettare qualche cosa, mentre la signora Maggie e Sean la guardavano colmi di rispetto. Alice però non si fermò per far parlare l'altro.
    «E questa pianta è un'acacia, quindi tirati su che tanto poi ricresce, e ancora più forte di prima.»
    L'orso si alzò, trascinato in principio dalla ragazza, che si era a sua volta appena messa in piedi. La guardava contento e sorridente, e quando fu sulle sue gambe bevve ancora un un goccio dalla fiaschetta, prima di rimetterla in chissà quale tasca segreta nascosta tra gli stracci della sua maglia.


    Anche Walter si era ripreso.
    «Allora cretino di un panzone, ti sei alzato? Possiamo andare a sto concerto? Dai, che così posso cominciare a convincerti ad andarcene.»
    «Ma tu perchè devi essere così stronzo?» Gli chiese Alice, con un tono sinceramente più curioso che arrabbiato.
    L'altro le rispose con un ghigno glaciale, sistemandosi il cappello. «Ma che cazzo di domande fai, cretina: in ogni fiaba ci va un lupo cattivo.» Detto questo partì al trotto verso il pozzo, accendendosi un'altra sigaretta nel tragitto.
    La ragazza lo guardò un attimo, ma si rivolse a Vin. «Come cavolo fai a sopportarlo?»
    «Cosa ci vuoi fare. Ognuno ha bisogno di prendersi a cuore un impegno. Il mio è Wally: voglio fare capire a quel poveretto che al mondo c'è più che le cose che si possono comprare.» Cominciò a frugarsi nella maglia, come alla ricerca di qualcosa. «Voglio ringraziarti per le parole che hai usato con me.» Le disse.
    «Ma no, non devi.»
    «Invece sì. Aspetta solo un attimo che lo trovo.»
    Alice non voleva niente per avere consolato l'animale, ma era anche curiosa di scoprire cosa questi avesse intenzione di regalargli, così non fece altre obiezioni mentre l'orso cercava in un'apparente infinità di tasche e pieghe, per poi produrne una piccola scatoletta di metallo dipinto, grande meno del palmo della mano della ragazza.
    «Ecco, tieni questo.» Le disse porgendole il contenitore. Era leggero, e su di esso era disegnato con una cura maniacale un paesaggio bucolico, con dei mulini a vento disposti su una verde pianura ondulata in una maniera che faceva pensare al caso pur apparendo ordinata.
    «Che cos'è?»
    «È uno dei miei biscotti, di quelli della Lega, ma è un biscotto speciale, come ce ne sono pochi.» Spiegò Vin, chinandosi per parlarle sotto voce verso la fine della frase, con l'aria di uno che voglia condividere un segreto divertente.
    «E come mai?»
    «Questo biscotto non si deve mangiare, no.»
    «No?»
    «No.»
    «E perchè?»
    «Perchè se lo pianti nel terreno adatto, e gli vuoi bene, e lo annaffi con del buon latte fresco di tanto in tanto, blandendolo con le parole, nasce un albero, e se gli fai tanti complimenti e gli mostri affetto tutte le sue foglie sono biscotti, di quelli al burro che facciamo noi, con la ricetta danese originale.»
    «Grazie mille.» Sbottò Alice, e gli saltò al collo.


    Quel momento venne spezzato da Walter, che dal bordo del pozzo gridò richiamando l'orso. Allora Vin si staccò dalla ragazza con un sorriso, e si avviò corricchiando e barcollando verso l'altro. Entrambi si gettarono dentro.


    Alice rimase un attimo imbambolata a fissare la scatoletta di alluminio che teneva ora tra le mane. Si riscosse quando sentì i primi allegri accordi di chitarra. Il concerto stava iniziando. Sia lei che la chiocciola che il ragno corsero verso il pozzo, proprio mentre anche un basso si aggiungeva intonato alla musica.
    «Oddio!» si preoccupò Alice giunta al bordo. «E io come cavolo faccio a scendere di qua?» E intanto guardava Sean che affrontava lo spigolo approssimativo che segnava l'inizio della discesa come se la pendenza non fosse cambiata per niente, e lui fosse sempre in piano.
    ("i've got nothing to worry about" aveva iniziato il cantante)
    «Fai come noi, Alice.» Le spiegò il ragno. «È semplice. Basta che continui a camminare.»
    ("so i worry about nothing")
    «Uuuuh Sean!» Intervenne la signora Maggie. «Questa la stanno cantando per te!»
    ("i think i've got fleas, or some tropical disease, but my spider sense is tingling")
    Poi la chiocciola prese per mano Alice, e iniziò a condurla giù per la parete del pozzo, ed in effetti era come camminare, e la ragazza notò che in fondo non c'era acqua, ma in qualche modo la luna si rifletteva in una pozza di latte, ed il bianco si sommava al bianco, ma poi inciampò ed iniziò a cadere verso il fondo. Voleva urlare, ma quando stava per cominciare si trovò completamente immersa.


    Alice tirò fuori la testa dall'acqua. Probabilmente si era addormentata nella vasca. Si guardò le mani, e pensò che fosse stata lì parecchio, visto che le dita erano raggrinzite e sembravano invecchiate di cento anni.


    Il giorno dopo Alice si sentiva stranamente tranquilla e rilassata. Si era alzata tardi, perchè per la prima volta in quell'estate era riuscita a dormire come si deve, anche grazie ad un rapido acquazzone che poco dopo l'alba aveva dato una rinfrescata al clima altrimenti torrido. A pranzo si era saziata di uno yogurt formato extra-large, di quelli senza nessun sapore particolare al di là di quello di yogurt.
    Ora se ne stava pacifica su di un'amaca appesa in cortile, all'ombra, con una leggera brezza di quelle che ogni tanto l'estate regala per dare un'illuzione di benessere tra due momenti eccessivamente caldi.
    Poco prima aveva vagato per le biblioteche, scorrendo sui titoli dei libri alla ricerca di qualcosa che la ispirasse. La mano le si era fermata su di una raccolta di poesie inlgesi, con abbondanti commenti critici, facilmente identificabili per il diverso carattere tipografico e quindi altrettanto facilmente evitabili.
    Adesso la stava leggendo, senza prestarvi particolare attenzione in realtà, ma lasciandosi cullare distratta dal dondolio dell'amaca. Ogni tanto le immagini dei poeti facevano capolino al di là della soglia dei suoi pensieri, che così, per esempio, si trovavano silenziosi di timore ad osservare una tigre fiammeggiante.
    Poi però ci fu un rumore che la distrasse dalla sua distrazione, attirando la sua attenzione verso il cancello. Da dove si trovava lo poteva vedere abbastanza bene, un po' di sbieco in verità, ma comunque riconobbe il rumore di un auto che vi si arrestava accanto, spegnendosi. Poi pensò di udire dei passi, ma sapeva di esserseli inventati, perchè non era così vicina al cancello.
    Dei sandali si affacciarono dall'altro lato dell'inferriata. Piedi femminili, caviglie snellite da un paio di tacchi bassi, una gonna gialla leggera che copriva le ginocchia. Non una gonna, ma un vestito a pezzo unico, retto da un paio di bretelle sottili quasi perse ed invisibili in una valanga di capelli castani, anche se dove stavano riflettendo la luce del sole sembravano biondi. Nessun gioiello, almeno niente di visibile da quella distanza. Le mani stavano mettendo nella borsa qualcosa: forse occhiali da sole, ma Alice non aveva fatto in tempo a vedere bene, e per quel che ne sapeva poteva essere un portachiavi ingombrante. La borsa in tinta col vestito, anche se in qualche modo un po' meno gialla.
    Dalla borsa uscì un cellulare, e quelle mani lo portarono all'orecchio destro dopo avere scostato una tonnellata di capelli che non si sarebbero definiti ricci. Lo sguardo cercò di rivolgersi verso una finestra in particolare, la trovò, sorrise.
    Alice non avrebbe saputo spiegare perchè o per come, ma non sentiva nè il fastidio nè la rabbia che si sarebbe aspettata e a cui si stava preparando. Una piccola parte di lei la implorò di fuggire, ma la tigre fiammeggiante la fece tacere e poi svanire.
    Matilde disse qualcosa al telefono, parve soddisfatta, riattaccò e ripose l'apparecchio, dopo averne scrutato il display brevemente. Gettando casualmente gli occhi nella direzione della ragazza, la trovò che la osservava di sottecchi, e decise che fosse il caso di salutarla.
    Nessuna vocina cercava di darle consigli ora, mentre Alice scendeva dall'amaca e si incamminava verso l'altra. Il giardino frusciava e cinguettava come consono a quell'orario in quel periodo, ma lei si voleva immaginare immersa nel silenzio, e così ad ogni passo cercava di eliminare uno di quei suoni.
    «Tu sei Alice, vero?»
    «Già. Tu invece sei Matilde. Ti ho vista di sfuggita l'altra mattina mentre eri in cortile che te ne andavi.»
    (Dopo che eri stata con mio padre). Ma la ragazza non pensò queste cose acida come solo poche sere prima.
    «Così finalmente ci incontriamo.»
    «Già.»
    (Complimenti per avere affermato l'ovvio. Vuoi una medaglia?) Di nuovo, non si sentì così cattiva nel immaginarsi a dire queste parole. Poi Matilde interruppe una pausa che stava minacciando di allungarsi troppo.
    «Che cosa fai oggi pomeriggio? Hai programmi?»
    «Mmmh... Veramente la mia idea era di abbioccarmi sull'amaca e sperare che non faccia più caldo di così.»
    (E poi sono anche un po' fatti miei).
    «Clima insopportabile, vero?»
    «Sì.»
    «Ma, ascolta, perchè invece non vieni con noi all'acquario?»
    «Non so se mi va...»
    (Ma che vuoi, scusa?)
    «Dai, sta settimana hanno aperto una specie di mostra sulle creature dei fondali oceanici, proprio accanto alla sezione sugli insetti.»
    «Come?»
    (Che carini gli insetti).
    «Lo so che non ha molto senso che ci sia una sezione entomologica in un acquario, ma non abbiamo un museo di storia naturale, in città.»
    «Quasi quasi...»
    (... E così anche papà è contento, che conosco la sua fidanzata.)
    (insetti insetti insetti insetti insetti insetti)
    «Lo sapevo. E poi, due punti a favore dell'acquario: visto che è legato all'università ci fanno entrare gratis; e c'è l'aria condizionata.»
    «Ok, dai, mi hai convinta. Vado a prepararmi un attimo. Ci metto due minuti.»
    Pensando contemporaneamente "aria condizionata" e "insetti", Alice si incamminò svelta verso casa, per darsi una sciacquata lampo e mettersi un qualcosa che si sentisse di utilizzare per uscire. Intanto suo padre stava uscendo dal portone, e le sorrise nel vederla. Lei contraccambiò e mentre gli passava accanto gli intimò di aspettarla ad ogni costo.


    La gita all'acquario andò piuttosto bene. Alice decise di perdersi ad osservare tutti gli insetti che potè, ascoltando ripetutamente le spiegazioni registrate di cui era corredato ogni terrario. Prestò meno attenzione a pesci, cetacei, crostacei e tutte le altre creature tipiche un acquario, ma si disse che la prossima volta avrebbe badato anche a loro. Matilde era anche mediamente simpatica, non insopportabile, ma forse esagerò un poco nel ricercare la sua complicità scherzando su suo padre. Pazienza, perchè ciò non fu sufficiente a rovinare il pomeriggio di Alice, che in effetti si protrasse fino a sera, quando i due adulti riuscirono a convincerla ad andare a prendere una pizza. Il caldo enorme del locale non gliela fece gustare al massimo, purtroppo, ma la ragazza quando tornò a casa potè dirsi soddisfatta.

Le avventure di Alice: ritrovo bagnato.

Author: Matteo Piovanelli / Etichette: ,


    Non avendo più aria da trattenere, fu presa dal panico. Subito non le venne in mente come comportarsi, come reagire: sapeva solo di essere sott'acqua, ma non riusciva a ricordare dove, nè come ci fosse finita. Aprì gli occhi, ed era buio. Dritto davanti al suo sguardo qualcosa di più scuro del resto si muoveva in maniera casuale. Poi le parve che ogni tanto si intravedesse qualche sorta di luccichio: stelle.
    Con tutte le sue forze Alice cercò di combattere la pesantezza che incombeva su di sè. Dopo una lotta infinita, riuscì a tirarsi seduta. Acqua le colava davanti agli occhi da delle foglie che le erano rimaste appiccicate in bilico sulla testa. La prima priorità era riempirsi i polmoni, poi le sembrava il caso di capire dove era.
    Il busto e le ginocchia non erano a mollo, così la ragazza poteva vedere che aveva indosso un vestito con una lunga gonna ed una sorta di grembiule, come quelli che aveva visto in tante raffigurazioni di Alice nel Paese delle Meraviglie. Blu chiaro, o azzurro scuro. Era seduta nella fontana del giardino sul retro di casa, ed i suoi guanti bianchi si stavano inzuppando, perciò si affrettò ad alzarsi in piedi, cercando nel frattempo di levarsi di dosso tutte le foglie appiccicaticce che prima stavano galleggiando.
    «Ehi, ma guarda qua chi c'è. Alice, figliola, come stai?»
    Da qualche parte arrivò la voce familiare della signora Maggie. Cercando intorno la trovò sul bordo della fontana, che agitava le mani per salutarla e per farsi notare. Indossava un piccolo cappello giallo, decorato da una banda di una tonalità più lucida, simile a seta. A questa erano legati in un fiocco dei fiori gialli che la ragazza non sapeva riconoscere. Portava anche una borsa più piccola dell'ultima volta, di quelle che bisogna tenere in mano perchè non hanno una tracolla utilizzabile: poco più di un grosso portafogli con molte tasche. Vederla così sorridente la faceva sembrare più giovane, ed Alice si interrogò su quanti anni potesse avere, ma si esimette dal chiederlo per educazione, ed anche perchè fu distratta dal dubbio che il giallo del cappello potesse andare bene col verde della giacca oppure no. E di cosa era la giacca, cotone spesso?
    Accanto alla chiocciola tossiva educatamente per chiedere le presentazioni un ragno elegante in doppio petto nero, che stava pulendo quella che sembrava una lente caleidoscopica, ma che certamente doveva essere un monocolo per ragni.
    La signora Maggie lo ignorò senza rendersene conto, e lui si rimise la lente davanti agli occhi destri, sorridendo in attesa del suo momento.
    «Salve signora Maggie. Sto benone, a parte che mi si restringeranno i guanti.»
    «Oh, ma quello non è un grave problema, vero?»
    «No, non credo lo sia. Cosa ci fa qui alla fontana?»
    «Sto andando al concerto. Pensavo ci stessi andando anche te.»
    «No, io non sapevo nemmeno che ci fosse un concerto. Dove lo fanno?»
    «Ma come non lo sapevi? Vuoi dire che mi ero dimenticata di invitarti, figliola mia? Oh, è imperdonabile da parte mia.»
    «Ma no, non la prenda così.»
    «Vediamo cosa posso fare...» La interruppe la chiocciola. «Sicuramente posso trovare un modo di farti entrare, visto che l'abbiamo organizzato noi questo evento, giusto Sean?»
    Sean, che naturalmente era il ragno elegante, abbozzò un lieve inchino verso Alice e poi guardò la signora Maggie in volto dall'alto delle sue lunghissime ed esili zampe, ma senza nemmeno un'ombra di superiorità negli occhi.
    «Certo Margaret.» Ed era la prima volta che la ragazza sentiva il nome dell'amica, notando tra l'altro il tono allegro del ragno, e una peculiarità nella sua pronuncia che non le riuscì di identificare. Doveva avere qualcosa a che fare con il modo in cui cui diceva le vocali, ma non era molto chiaro. «Immagino che potremo parlare con la sicurezza all'ingresso, e convincerli a fare entrare la nostra amica. Sono sicuro che non ci faranno problemi.»
    La chiocciola si avvicinò un poco ad Alice, parlandole con tono finto cospiratorio, senza preoccuparsi che l'altro stesse sentendo. «Io non avrei davvero voluto un servizio di sicurezza, ma ci hanno costretti. Fosse stato per me avremmo fatto una cosa libera per tutti, ma dicono che non possiamo fare entrare quanta gente vogliamo nel pozzo, che dobbiamo stare sotto un certo numero nel caso succedesse qualcosa. Tutte noie burocratiche.»
    «Ohoh» rise il ragno «Ma vecchia mia, sai che chi sarebbe venuto verrà comunque, quindi che problema c'è?»
    «È... tipo una questione di principio, credo. Comunque», tornando a rivolgersi alla ragazza, «Abbiamo fatto una vendita dei biglietti, e tutto il ricavato va in beneficenza.»
    «Dille a chi, dille a chi.» Le disse Sean, punzecchiandola leggermente con un gomito mentre una luce di fierezza gli brillava negli occhi.
    «Ci stavo arrivando...»
    «Alla Golden Cookies League.» Proclamò il ragno anticipandola e distendendo le zampe per portarsi nella posizione più elevata possibile da cui rendere il mondo partecipe. «Non è fantastico?»
    «Immagino di sì... in realtà non conosco questa gente...» Gli occhi del ragno, che si erano appuntati con una passione cocente in quelli di Alice parvero spegnersi mentre lei parlava. Il ragno si ritirò un po' in sè, compostamente, cercando di celare la propria delusione.
    Intervenne la chiocciola: «La Golden Cookies League è... È difficile spiegare cosa è... Sono un gruppo di appassionati che preparano biscotti secondo la ricetta danese originale, e poi si mettono agli angoli delle strade, e li regalano alla gente che li vuole, quanti ne vuole.»
    «Ma... io credo sia fantastico!» L'attenzione del ragno, che aveva annuito mogio alle parole della signora Maggie, sembrò ritornare, ed anche la sua allegria ricominciò a trasparire del suo sguardo. «Tutti dovrebbero sempre avere dei cookies danesi, di quelli al burro: sono buonissimi.»
    «Margaret,» disse Sean, «credo di adorare la tua amica.»
    Alice si trovò in imbarazzo per l'aperto complimento, ancor più per il fatto che proveniva da una persona (un animale in realtà, ma non le pareva il caso di badare a queste sottigliezze, visto che anche la sua confidente lo era) a cui era appena stata presentata. Chinò lo sguardo arrossendo appena un poco, e così non potè subito vedere da dove arrivava la voce che si unì alle loro.


    «Ecco, sapevo che sareste stati da queste parti, ma sinceramente speravo di non dovervi incrociare.»
    La ragazza sperava che ci fosse uno scherzo, una battuta, in quelle parole, ma il tono con cui erano state dette da quella voce burbera, faceva solo pensare il contrario.
    Comunque, prima che lei potesse appuntare gli occhi sulla creatura che era arrivata con tale infelice saluto, Sean replicò: «Sei sempre gentile come la grandine, eh Walter?»
    Walter si rivelò essere un grosso lupo grigio, con un paio di occhiali dalle lenti piccole, circondate da una montatura dorata, e un vestito dall'aria costosa e antiquata, che ad Alice parve decisamente troppo pesante per la stagione, di una tinta appena distinguibile dal pelo dell'animale, essendo questo di poco più chiaro. Reggeva in mano un cappello a cilindro, evidentemente parte di un completo col vestito, e guardò il ragno con uno ghigno malevolo e minaccioso che portò il piccolo aracnide a vacillare impercettibilmente.
    «Via, Sean, Walter, signori,» Si intromise la signora Maggie, «Non vorrete mica mettervi a discutere e litigare? È una serata di festa, oggi.»
    «Bah» commentò l'ultimo arrivato, indossando il cappello e prendendo da un taschino un accendino di metallo ed una sigaretta (la qual cosa fece venire voglia di fumare anche ad Alice, che comunque si trattenne dal chiederne all'animale) «Fosse solo per me io non sarei neppure qui con la vostra piccola boheme, ma mi starei godendo il poker in un ambiente ben più piacevole.»
    «E allora perchè», chiese la chiocciola, «sei venuto fin qui? Potevi risparmiare di degnarci della tua presenza.»
    «Sai com'è, le buone azioni non passano mai impunite.»
    Alice avrebbe voluto chiedere cosa intendesse dire, ma il lupo continuò: «Ma dimmi Margaret, chi è questa tua amica che se ne sta coi piedi a mollo a rovinare un paio di stivali, vestita come fosse appena uscita da una lezione di storia nella scuola di una fantasia vittoriana?»
    La ragazza si accorse in quel momento che in effetti non era ancora uscita dalla fontana, e si affrettò a rimediare, mentre la signora Maggie faceva le dovute presentazioni.
    «Questa è Alice, Walter, una mia amica. Alice, questo è Walter, e non posso dire che sia un mio amico.»
    «Salve Walter.»
    «Oh dio, ragazza, che diavolo hai in testa?» disse il lupo con tono tra lo scandalizzato ed il disgustato, «Una signorina a modo dovrebbe avere un'acconciatura, e non dare l'impressione di essere appena uscita da una seduta col giardiniere di un parrucchiere.»
    «Non essere screanzato, ora, l'hai appena conosciuta.» Lo redarguì il ragno.
    «Screanzato?» rispose Walter apparendo offeso, e offeso per lui voleva anche dire sul punto si essere arrabbiato, «Sono semplicemente sincero. La sua famiglia non dovrebbe permetterle di uscire in quello stato. E guardate poi come ha ridotto quel povero vestito: vergognoso.»
    Alice era un poco intimorita da quell'animale, un poco umiliata dalle sue parole, ed entrambe queste sensazioni la facevano arrabbiare.
    «Come osi giudicarla senza neppure conoscerla, solo in base all'aspetto» si inalberò la signora Maggie in sua difesa. «Chi ti credi di essere te? Anche con tutti i tuoi soldi rimani un cane pulcioso.»
    Ora il lupo era palesemente arrabbiato, e non faceva alcuno sforzo per nasconderlo: mostrava i denti ringhiando, ed il pelo gli si era drizzato tutto. «Come osi tu dare giudizi, quando tuo marito Robert e te non riuscite nemmeno a vivere nella stessa casa, e ve ne portate due diverse?» Sean sembrava essere sul punto di intervenire, ma uno sguardo di Walter lo ammutolì, facendolo piccolo piccolo. «E tu, cosa pretendi di parlare, tu sciocco pittore fallito di un alcolista? Le tue tele sono a malapene buone a prendere la polvere negli scantinati.»
    A questo punto anche la ragazza aveva perso le staffe, e rispose all'animale con altrettanta rabbia di quanta ne aveva mostrata lui. «Stai zitto lupo cattivo! Se sei arrivato qui solo per offendere ed insultare, puoi anche andartene al tuo lurido tavolo di poker, con altra gente schifosa quanto te.»
    Walter fece qualche passo verso di lei, minaccioso, ed Alice fu sul punto di rimpiangere le sue parole. «Non ti permettere piccola stronzetta egoista, che pensi che le cose debbano sempre andare come vorresti.»
    Probabilmente di già il lupo era pronto a saltarle addosso, ma si bloccò stupito quando il cappello gli volò via di testa e nella fontana, colpito da qualcosa proveniente dalle sue spalle che rotolò poco più in là, appena fuori dal campo visivo della ragazza. Il cambio nell'espressione dell'animale fu così rapido e totale, che avrebbe scatenato uno scoppio di ilarità in Alice se non fosse stata ancora arrabbiata (e spaventata), mentre fece uscire risate in sordina tra le mani che la chiocciola ed il ragno avevano usato per trattenerle.


    «Chi cazzo ha osato?» Gridò Walter, in un crescendo di rabbia, mentre si voltava a vedere chi potesse avergli giocato quello scherzo.
    La ragazza guardò nella stessa direzione, e fu non poco sorpresa di trovarvi appoggiato a grattarsi soddisfatto contro una betulla un orso tutto vestito di stracci impolverati, che sorridente si sistemava in testa un ampio e tondo cappello di paglia.
    «Brutto schifo che non sei altro, che cosa diavolo mi hai tirato?» gli grignò il lupo, che dava l'impressione di conoscerlo.
    «Un pomodoro.» gli rispose l'altro, come se fosse la cosa più naturale ed la contempo la più simpatica del mondo.
    «Un pomod...» cominciò Walter, la cui rabbia pareva poter crescere ancora, ma poi si interruppe, come se gli fosse improvvisamente venuto in mente un qualche dettaglio fondamentale. «Non intenderai mica "quel" pomodoro?»
    «Sì, certo. Quello avevo.»
    Ora il lupo non seppe più trattenersi, e si lanciò alla carica contro l'altro animale, che non perse però il suo sorriso. Proprio nell'istante in cui la bestia furibonda spiccò il balzo letale per azzannare l'orso, questi parve perdere il suo appoggio contro l'albero e scivolò a terra, mandando a vuoto l'aggressione.

Le avventure di Alice: una giornata normale.

Author: Matteo Piovanelli / Etichette: ,


    Luce.
    La luce le bruciava gli occhi attraverso le palpebre quella mattina. Attraverso una pesante nuvola di imbambolamento e mal di testa, qualche immagine della notte arrivava fino all'Alice cosciente, ma non le riusciva di trattenerne nessuna, perchè non appena ci provava quella luce lancinante appiccava un incendio sulle sue iridi. Da farla gridare.
    E non aveva ancora aperto gli occhi: il buio dentro di lei era troppo rosso, rosso come l'oscurità non dovrebbe essere.
    Decise di alzarsi ed andare in bagno a prendere qualcosa per l'emicrania che stava cercando di ucciderla.
    Lungo il percorso un'immagine confusa e sfocata che pensò di identificare come un orologio le diede un'informazione che non si soffermò a decifrare.
    La porta della camera si presentò marrone come un enorme ostacolo ligneo, che le creò qualche difficoltà.
    Probabilmente durante la notte qualcuno aveva allungato il corridoio, perchè il bagno non era mai stato così lontano.
    E che cosa ci facevano quegli scaffali pieni di libri?
    Fermandosi a riflettere con calma, respirando profondamente, Alice incalzò la porta corretta.
    Infine, rimase per un'intera epoca a far scorrere l'acqua nel lavandino, coi capelli che le cadevano in maniera casuale tutto intorno, rifiutandosi di andarsene da soli dal suo campo visivo.
    Poi l'acqua fredda sul viso pulì un poco la sua mente, e lei potè finalmente riempirsi un bicchiere, scioglierci la medicina, bere.
    Non le rimaneva che attendere e sperare che avesse effetto. Di dormire, con i bombardamenti in corso in quegli istanti nella sua testa, non se ne parlava.
    Tornò in camera, recuperò un vestito leggero, un semplice pezzo di stoffa nera con appiccicati dei girasoli di colori rumorosi, e della biancheria.
    Di nuovo in bagno a farsi una rapida doccia fredda.
    Poi ancora la camera. Nebbie dei sogni sempre più lontani ormai, irraggiungibili. Comunque sentiva che quella notte qualcosa fosse migliorato, come se avesse avuto mille mesi per riflettere su un problema, avvicinandosi alla soluzione.
    Si avvicinò alla finestra e la vide. Capelli ondulati-quasi-ricci, di un castano dorato che non poteva essere così luminoso già di prima mattina. Non ne vedeva il volto, ma aveva appena baciato suo padre, e ora si stava incamminando verso l'anonima utilitaria pronta sul viale. Calzava sandali senza tacco, ed era vestita in modo semplice.
    «Quella...»
    «Quella...»
    «Quella... Troia. Brutta. Baldracca. Stronza.» Stava quasi gridando. Stringendo i pugni si allontanò dalla finestra per non farsi vedere da suo padre che stava chiudendo il cancello.
    «Maledetta puttana. Si è pure fermata qua, stanotte. A letto con papà. Maledetta, maledetta stronza.»
    Incazzata come una vipera, Alice aveva bisogna di qualcosa con cui sfogarsi. Un ciuffo di capelli le ciondolò davanti agli occhi. Durante e dopo la doccia il mal di testa si era un po' calmato, ma ora tornava insistente come una marea, ma veloce come un'alluvione.
    Si sedette al tavolino da trucco e aprì un cassetto. Dallo specchio, una ragazza la fissava, la bocca ridotta ad una dura linea orizzontale da qualcosa che trascendeva la rabbia. Imprecando senza parlare, Alice la guardò mentre si tagliava i capelli, e ritrovò il controllo di sè.


    Quel giorno a pranzo Alice e suo padre mangiarono un loro tipico piatto estivo. Consisteva in un'insalata fredda di tutto quello che capitava a tiro. In questo caso c'erano dei pomodori, due mozzarelle, del mais, uova sode, fontina a cubetti, olive verdi, olive nere, carciofini sott'olio, zucchine in carpione, cipolline, sedano, insalata valeriana, un po' di rucola, fagioli di almeno un paio di qualità differenti, cetriolini sott'aceto, carotine tagliate. Le mozzarelle le aveva prese papà la mattina al mercato alimentare della Città, fresche fresche. Le zucchine invece le avevano preparate assieme la settimana prima, o forse erano cinque giorni, ed avevano ormai raggiunto il giusto sapore. Tutti questi ingredienti, in pratica tutti freddi del frigo, erano stati tagliati quanto necessario, mischiati con olio aceto e sale in una grossa terrina, e poi divisi in due terrine diverse, una a testa per Alice e il padre, che le vuotavano aiutandosi con abbondante pane scongelato in microonde per l'occasione, visto che si erano dimenticati di comprarne di fresco. Da bere acqua dal frigo, perchè con quel caldo a nessuno dei due andava di bere altro a pranzo.
    A tavola il padre di Alice commentò sui suoi capelli.
    «Bello il nuovo taglio.»
    «Grazie pa'.»
    «Come ti è venuto?»
    «Ho preso le forbici, ho fatto sciak sciak un po' qui un po' lì e...»
    Suo padre rideva. «No, ok, ok. So come funziona. Intendo, come mai li hai tagliati.»
    «Ehm... Boh... Così...» Sorriso ad occhi chiusi e mille denti per non pensare alla risposta.
    «Ah beh... Comunque hai fatto bene, mi piacciono così. E poi con il caldo che fa sopportarli lunghi come prima doveva essere diventato pesante.»
    «Già.» Poi Alice ebbe uno sprazzo di masochismo. «Come è andata ieri sera?»
    «Benone, direi. Matilde è una gran persona. Penso che piacerebbe anche a te, se mai decidessi di conoscerla.»
    Dolore freddo da qualche parte attraverso una scapola. «Ma boh... Immagino mi sentirei di troppo, con voi due. Mi sembra una cosa...»
    «Non devi preoccuparti di questo. Se qualcuno deve entrare nella mia vita, deve sapere che ci sei già tu, e che questa non è una cosa che si possa cambiare. Quindi è giusto che per fare una cosa seria, lei ti conosca e valuti se vuole continuare a conoscerci entrambi o meno.»
    «...»
    «Cioè, se devo scegliere tra te e una compagna, vinci senza pensarci, e voglio che questo sia chiaro.»
    «... Grazie, immagino...» Il freddo stava cambiando colore, passando dal suo azzurro naturale ad una tinta più verde.
    «Però mi piacerebbe che tu, in un certo senso, mi aiutassi...»
    «Cosa vuoi dire?»
    (se vuoi che ti dica di lasciarla perdere e dedicarti solo a me come se non fossi tua figlia, dillo ora...)
    «Voglio dire: se tu e lei non vi conoscete, io non posso capire che intenzioni abbia, e quindi... Uhm... Non sono sicuro di saperlo dire, comunque ho abbastanza chiaro in testa quello che intendo.»
    «Credo di capire...»
    «Ottimo.»
    «Però papà...»
    «Cosa?»
    «Mangia la tua verdura, che se no si fredda.»
    «Scema.»
    «Grazie.»


    Poi fu caffè con panna spray, che nonostante fosse molto probabilmente di origine sintetica era buona, oltre a far raffreddare un po' il caffè, permettendo ad Alice di non scottarsi lingua e palato per la fretta.


    Quel pomeriggio ad Alice venne voglia di gelato, così prese il suo gatto di peluche ed andò il cantina per recuperarne uno dal freezer grosso.
    Le scale, in realtà molto solide, erano opportunamente traballanti, o forse era l'immaginazione della ragazza che gliele faceva sembrare tali per tenerle a tema con la loro destinazione. Dopo averle scese con attenzione, ma lieta per la frescura che andava intensificandosi ad ogni gradino, la ragazza fu nella stanza dai bassi soffitti a volta, coi mattoni a vista.
    Suo padre periodicamente si dava un gran da fare per pulire la cantina, ma non in maniera che sembrasse linda: lo scopo era di darle un'aria di vecchio, senza che sembrasse abbandonato.
    Appena dentro, Alice soffiò sul ripiano più vicino, liberandolo dalla polvere, e ci mise il gatto, che doveva stare lì di guardia. Aveva fatto così fin da bambina, quando aveva paura di scendere là sotto da sola, per il buio e per la possibile presenza di topi e altri mostri. Suo papà le aveva detto che i topi avevano paura dei gatti, e che non erano molto intelligenti. Poi le aveva dato quel gatto di peluche, dall'aspetto un po' inquietante, a pensarci bene, con enormi occhi gialli e la testa sproporzionata al resto del corpo, dicendole che i vari mostriciattoli della cantina, vedendolo farle compagnia, sarebbero scappati a nascondersi. Ora, mentre trovava l'interruttore ed accendeva la luce di cui aveva bisogno per proseguire nella stanza senza andare a sbattere contro qualunque cosa, quelle paure erano solo ricordi, ma l'abitudine era rimasta.
    «Tu stai qui e tieni d'occhio la situazione.» Accarezzando il pupazzo tra le orecchie, si immaginò che facesse le fusa, e ridacchiò allontanandosi.
    Passandoci accanto, Alice si fermò davanti allo scaffale che reggeva le bottiglie di vino. Cominciò a girarle una ad una, soffiando sulle etichette per poterle leggere. Alcuni di quei vini erano più vecchi di lei. Altri anche più vecchi di suo padre. L'idea che probabilmente non sarebbero mai stati assaggiati non le dava il fastidio che razionalmente sentiva dovesse darle, ma non era in grado di spiegare il perchè. Un ragnetto dalle zampe lunghe e sottili ed il corpo tondo scappò via lungo la trave dalla bottiglia che aveva appena rigirato, un Roussette de Savoie vecchio di sei anni.
    «Chiedo scusa signor Ragno.»
    Dopo un attimo l'animale non fu più in vista.
    Tornando alla ragione per cui era scesa in cantina, la ragazza proseguì fino al freezer, spalancandolo. Ora doveva affrontare la solita ardua decisione: cono, coppetta o ricoperto? Ognuno aveva vantaggi e svantaggi, ed erano tutti troppo buoni per escluderne a priori. Questa volta la scelta cadde su una coppetta alla fragola: il caldo le avrebbe sicuramente fatto cadere il ricoperto, e colare il cono.
    Aveva appena richiuso lo sportello, quandò un'illuminazione le fece cambiare idea: avrebbe mangiato un cono alla crema, stando seduta in cantina per evitare il caldo esagerato del pomeriggio. Detto fatto, fece lo scambio di gelati col freezer, e ci si sedette sopra per gustare il proprio.
    Finita la sua merenda, Alice se ne rimase ancora un po' lì dov'era a gustarne il ricordo. Poi tornò verso le scale per recuperare il gatto e congratularsi con lui per l'ottimo lavoro. Andando, gettò un occhio verso i vini: il ragno si stava piano piano calando sulla stessa bottiglia.
    Mentre saliva la scale, la ragazza ancora ne rideva.


    Prima di cena Alice si era già fatta una doccia, ma quella sera la stanchezza e il sonno non le bastavano per sfuggire dall'afa, una enorme bestia malvagia ed ingombrante che andava ad opprimerla in ogni angolo di casa. Per cercare salvezza decise di farsi un bagno, bello fresco, nella sua vasca del suo bagno.
    Il suo bagno non era il più vicino alla camera da letto, nè quello rinnovato più di recente, nè il più grande, nè quello con la vasca più comoda, nè quello con l'idromassaggio. Tutte queste erano caratteristiche del bagno che usava suo padre. La vasca era semplice e nello stesso antiquato stile della casa, messa da una parte, sotto una finestra, ma non proprio attaccata al muro: era una di quelle vasche senza muratura. Non era molto grande, ma neppure la ragazza lo era, quindi ci stava comoda comunque. La tubatura della doccia saliva come lo stelo di un fiore d'ottone da uno dei lati stretti, quello da cui i piedi di Alice potevano controllarne il funzionamento o sradicare il tappo dal fondo. Quando necessario, una tenda di una plastica fastidiosa a righe poteva venire fatta scorrere su un tubo che correva ad ovale sopra al vasca, in maniera che se lei si voleva fare la doccia non doveva poi asciugare tutta la stanza.
    Ora la tenda era appesa, ma tutta raccolta e legata dietro allo stelo della doccia, in modo da non dare fastidio. Un asciugamano era steso a mo' di tappeto di lato, e quando avesse finito il bagno Alice ci avrebbe messo i suoi piedi bagnati, per evitare di produrre una scomoda pozzanghera.
    La ragazza era immersa fino alle spalle in acqua fresca e profumata, ma non troppo profumata se no l'avrebbe potuta nauseare, ed aspettava di sentire che l'afa non sapesse più dove raggiungerla. Non aveva bisogno di lavarsi, grazie alla doccia di poco prima, quindi se ne stava semplicemente distesa a godersi la frescura, dimentica del caldo provato due attimi prima e di quello che avrebbe probabilmente provato più tardi. Stava solo lì, senza pensare a nulla, lasciando che i pensieri facessero da soli i loro soliti giri nella sua testa, formandosi in immagini, combinandosi, fondendosi, scappando gli uni davanti agli altri. L'unica cosa che le interessava era la sensazione pacifica che l'essere immersa le dava, contro la turbolenza del caldo eccessivo e del sudore. Così Alice prese un respiro più grande e si immerse del tutto.