Le avventure di una Gallina - Capitolo due: La decisione di Yaya

Author: Apo / Etichette:

La mattina seguente Yaya si alzo molto presto..... aveva occhiaie enormi....
Usci sull'uscio e si accese una sigaretta....
Yaya "Mauro, cazzo...dove sei?"

Nella fattoria regnava un silenzio di tomba....

Yaya "Ce l'ho nel culo.... cosa posso fare?"
Era tutta la notte che ci pensava....

Finita la sigaretta entrò in casa e si sedette sulla sedia a dondolo....stava per addormentarsi quando il telefono squillò....

Yaya "Ma puttana troia, chi cazzo è?"... esclamò avvicinandosi al telefono...
Yaya "Pronto?"
Operatrice "Buongiornocasapollaio?ChiamopercontodellatelevisioneEARTH,sa,lapeiperviù...leièlafortunatavincitricedelpianoEARTHPremiumepotràoràsceglieredivederecalciopornosportfilmbruttifilmbelliprogrammiperbambinipornoperbambinilesuperchicchelesupercheccheemoltoaltroancoraallamodicacifradiquattromilanovecentosettantasetteeuroalmese..."
Yaya "MA MUORI TROIA, HO ALTRI CAZZI PER LA TESTA"
Operatrice "Masignoraèunprezzoincredibilemenodisedicicaffèalgiorno...cipensiperf...."
CLICK
Yaya chiuse il telefono in faccia all'operatrice....in fondo aveva sperato che fosse Mauro.
Si risedette sulla sedia sconfortata....dormì a lungo Yaya quel giorno....e quando si risvegliò era già sera...

I giorni seguenti passarono veloci...troppo veloci per trovare una soluzione....
Il sesto giorno Yaya organizzò un'assemblea...
Yaya "Gente, mi spiace....siamo nella merda fino al collo...senza Mauro non posso far nulla visto che la Gang del Bosco ha preso in ostaggio le vostre mogli...non ci rimane che firmare...."
Si alzò un brusio...c'era chi era d'accordo...chi dissentiva e chi si cagava addosso....causando fastidio agli animali vicini....che si incazzavano disgustati.
L'assemblea proseguì per ore fino a che tutti furono convinti a firmare....e Yaya non si incazzò nemmeno una volta.... sembrava l'ombra di se stessa...

Il giorno dopo Yaya si incontrò con la Gang del Bosco...
Miguel "Allora chica....avete firmato tutti? Eh...?"
Yaya "Se..."
Paco "HAHA avete paura eh? Mierde...."
Miguel "Taci demente....Allora Yaya....fammi controllare..."
Yaya porse il documento al toporagno....
Miguel "Manca la tua, bella alcaciofa...volevi prenderce per el culo? Ora ti mostrerò cosa succede a prenderse gioco de la Gang del Bosco....HERMAN!!!"
Dal bosco uscì Herman, un grosso toporagno muscolosco accompagnato dai suoi sgherri....
Miguel "Herman es el capo de la squadra de attacco...."
Herman fece un cennò ad uno dei suoi sottoposti che portò allo scoperto un ostaggio...era Eva!!!
Yaya "EVA!!!! PORCA PUTTANA EVA!!!!!"
Miguel "Herman.... Matala!!!"... il toporagno sguainò la sua spada...era enorme e ricurva e si preparò a colpire la scrofa...
Yaya "Luridi figli di troia....non ve lo permetterò...."
E partì verso Herman, ma mentre stava per colpirlo fu atterrata da uno dei toporagni suoi sottoposti....
Herman guardò Yaya e le sorrise con un ghigno beffardo
Herman "Prepàrate....vi ucciderò entrambe"...e con tutta la sua forza caricò il colpo verso Yaya...
Yaya chiuse gli occhi.... quando.....
Miguel "Porca loca....che es accaduto?".....
Herman aveva mancato Yaya e al posto suo aveva sgozzato uno dei suoi compagni....
Miguel "Donde està la pollastra?"....
??? "HEHEHE è un gioco da ragazzi per me...."
Miguel "Esci fuori vigliacco...."
??? "Vigliacco? Io non rapisco le donne per ottenere ciò che voglio....a me basta la mia potenza e affronto sempre il nemico a viso aperto....mi sembra che tra i due il vigliacco sia tu..."
Miguel "Bastardo!!!! Fatti vedere che ti ammazzo..."

In quel momento dagli albeli sbucò una sagoma che con un salto si porto di fianco alla machina di Miguel portando con se Yaya....
Yaya "MAURO!!! Lurido pezzo di merda!!!!! Dove cazzo eri? Bastavano due o tre giorni di vacanza e invece te ne sei stato per i cazi tuoi tutta la settimana...stronzo."
Mauro "Mi sono allenato Yaya....ma conserva il tuo spirito combattivo per il nemico...del resto parleremo dopo..."
Yaya "Hai ragione...ora inculiamo sti stronzetti...."

Miguel "HAHAHA anche in due non potete far nulla...." e fece un cenno con la mano....
Yaya "Che cazzo succede?"
Miguel "Non otros siamo furbi... eravamo pronti a qualsiasi eveniensa...."
In quel momento Herman sguainò la spada e si lancò all'attacco nemmeno Yaya e Mauro assiene riuscivano a fornteggiarlo e Herman li spingeva sempre più vicino al bosco...
Yaya "Merda...se fossi più riposata...."
Mauro "Yaya ci spinge verso il bosco....avranno in mente qualcosa...."
Yaya "Non c'è bisogno che me lo dici cretino..."

Ma in quel momento Herman si fermò...
Mauro "E ora? Che cazzo fai?"...Herman sorrise e si voltò di lato... Yaya e Mauro guardarono nella stessa direzione.....
C'era Paco...con un cannone in mano....
Yaya "Mapputtanatr..."
Paco sparò...edal cannone uscì una gigantesca rete che li imprigionò.... Yaya e Mauro erano prigionieri....

Miguel "Mira chica....ho vinto io e da oggi la fattoria è sotto il nostro controllo....."
Yaya "Stronzo..."
Miguel "Ora....voi andrete nella prigione del nostro covo... a voi penserò dopo...perchè ora...Emiliano..."... e si girò verso uno dei toporagni in moto...questi scese dalla moto e si avvicinò a Miguel....si inchinò e gli porse un sombrero....
Miguel "Esto es el SOMBRERO DEL DIABLO.... es el simbolo del capo....e ora sono el governator de esta fatoria....portate via i prigionieri....devo preparare il mio discorso de insediamento..."
Yaya e Mauro furono portati via....mentre tutti gli altri animali sbirciavano dalle finestre impauriti.... sembrava proprio che fosse la fine per la fattoria...

a niu member

Author: Matteo Piovanelli / Etichette:

su mia iniziativa, discussa con bianconiglio (e forse con altri, non ricordo), benvenuta a bimbapixie

Conrad il druido - 5

Author: Jager_Master / Etichette: , ,

Il consiglio si svolgeva ogni primavera, dalla notte della prima luna per 3 giorni e 3 notti ininterrottamente.
Fondamentalmente succedeva un pò di tutto durante queste giornate, seguendo un tradizionale canovaccio mai rispettato fino in fondo: puntualmente, infatti, veniva stravolto da capo a piedi.

Conrad arrivò fra i primi, nonostante il contrattempo del cinghiale.
Come ogni anno la prima cosa che vide nella radura fu il classico circolo azzurro, che rasoterra tagliava prati, alberi, sassi e foglie, disegnando un perimetro circolare a difesa del consiglio, grossomodo per un paio di miglia di diametro.
Bastò il classico cenno delle due dita congiunte e il circolo aprì un varco, attraverso il quale Conrad poté accedere alla zona riservata per i druidi.
A dirla tutta non era quel gran fuoco di sbarramento: niente più che un’aura protettiva, creata per evitare a bestie e curiosi di mettere becco nella zona druidica nei giorni sacri. Poi si sarebbe dissolta nell’ultima notte.

Può sembrare strano, ma anche Ceck era “catalogato” come curioso.
E dunque rimase fuori, in attesa, sarebbe rimasto lì, fino all’arrivo del padrone, se questi non si fosse girato poco dopo.
E infatti Conrad attraversò il varco, poi si girò.
Tornò sui suoi passi e con un sorriso sincero salutò il suo più caro amico, accarezzandolo dolcemente fra le folte orecchie. A Ceck bastò: era il saluto del “via libera” e d’istinto volse le spalle al padrone lanciandosi nella foresta dalla quale erano da poco usciti.
Si sarebbero rincontrati 3 giorni dopo. Puntuali. Come ogni anno.
Conrad aspettò che il suo lupo valicasse l’orizzonte, poi si voltò anche lui, diretto alla rupe del consiglio, a poche centinaia di metri, sotto la collina.

Atholas, come sua abitudine, osservò interamente la scena a pochi metri di distanza, accovacciato sottovento, nell’erba alta. Era talmente basso sul livello del terreno che sarebbe stato impossibile anche per Ceck vederlo; figuriamoci annusarlo, coperto di fango e foglie come era in quel momento.
Prima sembrò interessarsi dell’animale. Ma quando vide che i due si erano divisi, aveva apprezzato la cosa: quel lupo poteva diventare un problema, ma forse la fortuna stava girando, dopotutto.
Poi la sua attenzione virò decisamente sul mezzorco e il suo circolo azzurro: passarci attraverso per seguirlo era cosa decisamente impegnativa. Non alla sua portata.
Quindi attese, anche se Conrad, ormai, era ben all’interno della zona riservata e stava sparendo all’orizzonte.
Sapeva bene chi doveva arrivare. E in quanti.
Infatti attese pochi minuti, fino all’arrivo di un altro druido: un lucertoloide. Lo osservò da lontano e quasi riuscì a sentirne l’odore salmastro, di acqua stagnante e di selvatico. La pelle del druido era cosparsa di squame e la sottile veste copriva ben poco di quel corpo slanciato da rettile. Soprattutto lo colpì la coda: era lunga almeno 2 metri, e nonostante fosse sottile traspariva notevole velocità e forza.

Non attese oltre.
Con gesto lento e preciso incoccò la freccia nell’arco corto, tenendolo parallelo e orizzontale rispetto al terreno. Quanto la lucertola fece segno con entrambe le dita, il cerchio azzurro si aprì, e per Atholas fu il segnale dell’attacco.
La freccia sottile partì rapida senza alcun suono, diretta al torace della lucertola; appena la saetta lasciò l’arco, Atholas si alzò di scatto, estraendo nello stesso tempo una seconda freccia.
Guadagnò qualche istante, con questo movimento, e quando la freccia arrivò a bersaglio, la seconda era già incoccata. Ma nel frattempo l’arco era in posizione verticale, con la sua mano più forte, e il busto eretto, a gambe stabili e aperte sul terreno.
In piedi era fin troppo facile: era come colpire un cervo legato.

Stilf era un druido giovane, ma nella sua poca esperienza aveva già conosciuto il rumore e l’odore del legno. Nelle paludi aveva unito l’istinto lucertoloide con la saggezza druidica, e la natura aveva ben pochi segreti per lui.
Sentì arrivare la freccia quasi subito. Era come la sensazione di un fulmine attraverso le tempie: deciso, rapido, immediato: era impossibile non accorgersene. Il legno “parlava chiaro”, la sua voce era inconfondibile.
Ma il legno viaggiava anche veloce. Troppo veloce. Soprattutto il legno argento, degli alberi elfici.

La freccia colpì, all’altezza del costato. Stilf si voltò verso la sorgente di quel ramo, che conficcato dentro di lui bruciava come non mai.
Lo vide.
In piedi, a circa 20 metri da lui. Nella sinistra un arco corto, nell’altra una freccia che stava per essere rilasciata. La figura intera era difficilmente riconoscibile: la sagoma sembrava di un uomo, o di un elfo, o anche di un troll di statura minore.
Poteva essere chiunque, e con quel rivestimento di terra e foglie era totalmente irriconoscibile all’occhio.
Ma le orecchie a punta no, quelle erano un segno inconfondibile.

La seconda freccia partì, ma questa volta Stilf era pronto: riuscì a osservare il momento dalla partenza e si preparò. Con una mano tenne la freccia nel costato ferma, per non avere impedimenti e dolori, con l’altra creò uno scudo verde davanti a se, attraverso il quale la freccia argentata in arrivo si dissolse all’istante, ancora prima di raggiungere la sua testa, alla quale era diretta.

Ma la punta seghettata della prima freccia stava facendo il suo sporco lavoro, e cominciò a trascinare sangue a fiotti fuori dalla ferita. Sarebbe morto dissanguato a breve: doveva dunque estrarla.
Rilasciò lo scudo, per quanto era un gesto pericoloso, ma non aveva scelta.
Con gesto rapido afferrò la freccia conficcata, provando delicatamente a tirarla fuori.
Atholas ne approfittò. L’arco era già a terra, abbandonato dopo il secondo lancio; la mano destra dietro la schiena, attorno all’impugnatura. La sinistra ben larga, a bilanciare la preparazione del gesto.
Con un gesto secco rilascò la mano destra, lanciando a mezza altezza il pugnale che teneva nella cinta, se possibile ancora più rapido della prima freccia. Sicuramente più preciso.

Stiff vide il gesto.
Mollò la presa con la seconda mano e riaprì lo scudo.
Ma il pugnale non conosceva legno. Neanche di sfuggita.
La lama, totalmente d’acciaio, penetrò nella gola del druido fino all’impugnatura, anch’essa di metallo.

Per qualche istante nulla si mosse, nessuno parlò.
Stiff cadde sulle ginocchia, ancora con la mano aperta allo scudo verde, ancora con l’altra che afferrava la freccia nel costato. Poi si accasciò sul lato. Immobile.
Anche atholas rimase fermo: ora i suoi sensi erano concentrati sull’ambiente circostante. Annusava e ascoltava, dimenticandosi di quel corpo morto che aveva davanti; lui non poteva più nuocere ora.
Quando finalmente decise che attorno a lui non c’era nessuno, si fiondò verso il lucertoloide, afferrandogli la tunica e tirandolo rapido verso la boscaglia.
Gli bastò trascinare il corpo in una fossa poco distante, scavata forse dai cinghiali. Abbandonò lì il cadavere, lo coprì rapido con un cespuglio sradicato e tornò veloce all’apertura.
Vide che attorno al varco c’erano visibili tracce di sangue sull’erba secca, ma decise che non ci poteva poi fare molto. Dunque se ne disinteressò quasi subito.

Un ultimo sguardo dietro di sè, poi si lanciò nel varco, e sparì, sulla strada lasciata dall’ignaro Conrad.

UNO: Capitolo 2....Il passato ritorna...

Author: Jager_Master / Etichette:

La fase successiva fu un misto di incredulità, giramento di testa a palla, balbettio, una serie di gh gh gh e mani nei capelli.
Si girò più volte su se stesso, sempre con le dita che gli toccavano ora la tempia, ora la cintura. Non sapeva che fare, giocherellava con i buchi della cinta e intanto roteava gli occhi come saette, a destra e a sinistra, mugolando come un bambino che sta per scoppiare in urla e strepiti.
E in effetti si lasciò sfuggire qualche singhiozzo, trattenendo le lacrime a stento.
Il mondo sfuocato dal pianto, tremolante e vacuo. Si asciugò con un gesto rapido, ma non smise di soffrire.
Sembrava una giostra di cavallini, Carlo, di quelle che con movimento lento ruotano e ruotano, ma ora con in più una cantilena di gh gh a ritmare la malinconica marcia.
Ruotava, Carlo, che quasi il mal di testa divenne giramento insopportabile.
E si sedette, sull’asfalto, per evitare di cadere disteso.
“Non è possibile. Alla fine è successo”.

Si, se lo aspettava, sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, ma non immaginava ora, non adesso; non ora che a 64 anni aveva messo il cuore in pace.
L’incubo era stato riposto nel cassetto ormai da....quand’era? il ’78? Si, forse. O giù di lì.
La baita dietro la collina, la pace della vita da boscaiolo, la solitudine della vecchiaia: ecco, erano queste le sue prospettive di vita, ora.
Mai più pensava di ritrovarsi davanti a questa prova: per quanto, diciamocelo, era scritto.
E a pensarvi un secondo di più si poteva aggiungere che averlo dimenticato (o riposto nel cassetto, che fosse) era stato un errore madornale. Ingenuo. Per non dire pericoloso, ma quello era chiaro, non c’era bisogno di ripeterselo.

Passarono lenti e veloci i minuti. Mille pensieri, mille cassetti riaperti.
Carlo provò a rinfrescare la memoria, lucidare i risvolti e gli aspetti addormentati dalla polvere del tempo.
Era solo, ora.
Ma non poteva rimanere tale a lungo, doveva reagire, alzarsi e affrontare il destino, che prima o poi ti viene sempre a pescare, ovunque tu sia, porca miseria. E se lo era dimenticato.
Che idiota.
Anche in una baita di montagna sperduta fra le pinete del trentino. Non gli scapperai mai.
Che fesso, che imbecille.
Come poteva credere che una baita potesse nasconderlo dagli incubi? Come poteva aver pensato di trasferirsi lì, a costruirsi una nuova vita, lontano dalla città, lontano dal suo passato?
Solo ora, in quel parcheggio, seduto sull’asfalto, le cose riprendevano colore (o lo perdevano, a seconda del punto di vista).
Solo ora si ricordava, e riusciva nuovamente ad afferrare l’inafferrabile.

Poi il lampo.
Guardò l’orologio d’istinto.
Era fermo, certo, lo aveva notato anche prima.
04:42.
Quanto tempo era passato dal blocco? 3-4 ore? Forse 6? Sperò 6, ma si sarebbe giocato 50 euro sulle due ore: aveva albeggiato da poco, la valle era ancora stropicciata dalla rugiada e dal fresco mattutino. La luce del sole campeggiava sulle cime delle montagne vicino, aspettando il debutto nel cielo, di lì a poco.
Si, più o meno erano le 6 e mezza, forse qualche minuto di più.
Non aveva più molto tempo, doveva scappare.
Aveva tempo fino alle 8 più o meno per andarsene da lì, allontanarsi il più possibile. Poi Lui sarebbe arrivato.
Alle conseguenze era meglio non pensare.

Entrò nel bar di Dino sbattendo la porta, mise una mano dietro al bancone, lanciandosi sopra con la pancia. Afferrò un paio di brioches, e la chiavetta dentro alla scatoletta di metallo.
Poi corse nel rentro, e mettendo in tasca la colazione armeggiò con la chiave, aprendo un bauletto chiuso a lucchetto.
Aprì con un gesto secco il coperchio, afferrò la doppietta di Dino, una scatola di cartucce e se lo mise a tracolla.
Poi lasciò tutto così com’era e si lanciò nel cortile: non aveva molto tempo.
Via via via!

Saltò sul Suzuki, buttò sul sedile di fianco la doppietta, ingranò la prima grattando decisamente la marcia e si lanciò sulla statale, a perdifiato.
Destinazione Bressanone: nella città avrebbe avuto più possibilità, e forse Lui non lo avrebbe trovato.

bisogna pur fare qualcosa

Author: la zuppa /

1.
Zoe se ne sta lì, seduta su una roccia piatta. La spiaggia è vicina, a un passo. Piena di persone. Piena di parole lanciate in aria che ricadono pesantemente a un metro dalle sue orecchie. Tante minuscole goccioline le pungono la pelle ogni volta che il mare sbatte contro i suoi piedi. E si asciugano subito. Oggi che il vento è leggero e non stanca, il sole delle cinque è ancora giallo e gli ombrelloni sono ancora tutti aperti.

Zoe ha venticinque anni e il fiato corto. Da qualche minuto sta fissando una ragazza tatuata sul dorso del piede e decide di chiamarla Andrea come sua madre.Andrea indossa il suo stesso modello di costume a due pezzi, rosa e giallo. Ha la pancia piatta e l’ombelico in fuori. Con una mano sta sfiorando il fianco abbronzato di un ragazzo mulatto e sorride, mentre lo guarda sbirciando sotto la lunga frangia curata. Sono entrambi in piedi, uno di fronte all’altra. Proprio sul confine tra la spiaggia e il mare.Lui ha il fisico da surfista.Lei disegna dei cerchi sulla sabbia con il piede. “Che carini”, mastica Zoe con la bocca chiusa.
Click.(…)
Zoe agita la polaroid e la mette nel quaderno in mezzo alle sue foto di paesaggi (Cascata. Cascate. Sabbia al tramonto. Erba con pecore. Sabbia all’alba. Città di Mosca. Comitiva di cinesi con strapiombo. Comitiva di Italiani sotto il mare. Andrea e il ragazzo surfista).Pensa che si sente sola, più di sempre.Mentre rovista nervosa nella borsetta per cercare la scatola col tabacco, le cartine lunghe e qualche sigaretta già fatta, alcune urla mozzate stridule provenienti dalla spiaggia la stordiscono.Un Mammuth si è accovacciato al centro del campo da beach soccer.Zoe è convinta che i Mammuth si siano estinti.Zoe pensa ai peli dritti sulla pelle delle persone. All’eccitazione disegnata sui loro volti.Pensa alla paura e alla curiosità. Ai grossi animali estinti.Pensa alle parole gridate che si incrociano davanti a lei.A Jurassic Park
e pensa ad altri film con super-rettili gommosi.Pensa ai supereroi. Alla sua vita recente.Poi si volta per accendere una sigaretta lunghissima. E la accende subito. La accende proteggendola con una mano dal vento leggero e quasi impercettibile.Per un istante prova eccitazione anche lei. Ma la respinge. Poi fuma.

Si ricorda di quando fumava tabacco col suo ragazzo. Sul balcone facendo cadere la cenere sui vicini di sotto. Si ricorda anche di quando il suo ragazzo aveva fatto smettere anche lei, dopo che era morto suo zio. Aveva metastasi dappertutto. Ricorda che si erano lasciati e che lei aveva ripreso. Lui no. E che ogni volta che le loro strade sterrate si erano incrociate nei mesi successivi si era fatta trovare in una nuvola di fumo.Forse Dio avrà pensato male di lei.
Ma Zoe doveva pur fare qualcosa.

Spegne la sigaretta sulla roccia e la infila in una bustina di plastica contenente i resti del suo pranzo.Nel farlo si lascia scappare una pallina di carta dal sacchetto. Rimane fissa a guardarla. La guarda sciogliersi nel mare. Con gli occhi socchiusi.Pensa non sia l’unica cosa che le sta sfuggendo di mano.Pensa ed espira. Poi si volta e vede la ragazza col tatuaggio sul dorso del piede. Andrea. Le sta venendo incontro dalla spiaggia, mano nella mano col suo fidanzato dai lineamenti duri.Sono carini, ancora.Andrea si fa avanti e il suo viso si apre in un sorriso bianchissimo e sottile. -Posso chiederti una sigaretta? per favore-Quando si è felici si è sempre molto carini.Zoe gliela porge sorridendo a sua volta, meccanicamente. Sta pensando a tutt’altro (ormai è troppo tempo che il sole splende sul suo universo di sabbia bagnata).-Grazie- risponde Andrea tremando, ancora eccitata per l’apparizione del mammuth sul campo da beach soccer.È solo un suono ovattato senza più significato, e si scioglie nelle orecchie.I due ragazzi si voltano e affondano le dita uno nella mano dell’altra. Si allontanano lentamente dalle rocce, camminando sulla scia delle loro ombre lunghissime sulla sabbia.-Scusa!- urla Zoe per richiamare l’attenzione della ragazza (solo per ricordarsi che le cose attorno continuano a succedere nonostante tutto). Dopo averla distratta alza un braccio e aspetta di essere rimessa a fuoco.La coppia torna rapida sui suoi passi.-Cosa vuol dire quello?- le domanda indicando il tatuaggio sul dorso del piede.Andrea sorride cercando sarcasticamente aiuto negli occhi di lui.–niente-Zoe non sembra interessata. Non sembra importargli della risposta. Si chiede cosa stia facendo. Cosa sta facendo?Continua a guardare il suo viso pieno di pomeriggio felice e notti insonni.-e come ti chiami?--io sono Chloe. E lui è Josè- risponde Andrea imbarazzata.-messicano?--no, americano. Stati Uniti- risponde lui brusco e a voce bassa in italiano stentato.A Zoe non importa di lui, sta solo cercando di vedere come si guida l’inerzia delle cose.-anche tu sei americana?--no, i miei sono di qui. Ma io sto a Boston a studiare-segue un silenzio bello e imbarazzante per tutti.-Zoe- pausa. -Mi chiamo Zoe- sorride facendo un cenno con la mano. Poi prende fiato e guarda Andrea sorridere a sua volta. Ancora.-ci vediamo, allora- si schiarisce la voce –in giro per qua- pausa. -Buona serata, eh. E restate belli sempre-Il silenzio si spezza, la tensione si spezza, l’equilibrio si spezza.Zoe si dimentica ogni parola.-ciao Zoe, grazie ancora-Solo quando i due se ne vanno per sempre dietro alle loro ombre sempre più lunghe, Zoe presta nuovamente attenzione ad Andrea.Un’attenzione maniacale.Un particolare. “Quel costume a due pezzi rosa e giallo”. Respira. “È proprio identico al mio” pensa mentre accende un’altra sigaretta.

2.
Sono rimasta sulla spiaggia tutta la notte. A scrivere. È arrivata la protezione civile. Per via del mammuth. L’hanno sedato, ma non sanno ancora come trasportarlo.Lo porteranno in una palestra, magari. E poi lo studieranno gli esperti per tutto il resto dei suoi giorni.Scopriranno un sacco di cose interessanti, anche dopo che muore. Scopriranno cose da scrivere sui libri di storia e di biologia, mentre la gente continuerà a sopravvivere nelle capanne.Qualcuno riderà.Lui però adesso non vuole andarsene, glielo leggo negli occhi dilatati dalle iniezioni.Adesso sa che non se ne andrà mai dal campo da beach soccer.
La spiaggia non è mai stata così vicina.