Le avventure di Alice: inizio.

Author: Matteo Piovanelli / Etichette: ,

    Quell'estate Alice aveva deciso di stare a casa con suo papà, nella grande e fatiscente casa sulla collina, immersa nel verde di un cortile dove alberi lacrimosi riposavano mogi al sole, aspettando che i fumi della Città finissero di insozzare l'aria che respiravano.
    Lui le aveva chiesto come mai, se ci fosse qualche problema.
    «È tutto a posto papà, sul serio.»
    L'aveva guardata con un sorriso dubbioso.
    «Soltanto che non mi va di andare in vacanza con gli altri, come lo scorso anno, di nuovo in quella casa, o in una simile. Sai che non sono mai andata matta per il mare.» Adesso toccava a lei sorridere, sperando di essere stata convincente.
    «Oh, lo so, lo so. Mi ricordo quanto piangevi quando cercavo di insegnarti a nuotare.»
    Le aveva passato la mano tra i capelli, scompigliandoglieli, e lei aveva riso. Sapeva che non si sarebbe opposto alla sua scelta, una volta che gli avesse detto che era quello che voleva. Non l'aveva in pratica mai fatto, e non avrebbe cominciato proprio ora che lei stava per diventare una quasi-post-adolescente-quasi-adulta.
    E poi, voleva esserne convinta, lui preferiva che lei fosse a casa, e non lo lasciasse da solo in quella grande villa così fuori dalla Città.
    Adesso Alice era seduta che si abbracciava le ginocchia sul davanzale della finestra della sua camera. Si era messa lì a leggere “Le cronache di Narnia”, pensando che forse sarebbe riuscita a farselo piacere, nonostante il fatto che qualcuno ci avesse fatto un film.
    Era un pomeriggio sereno, ma nella casa non faceva un caldo eccessivo. Non sapeva perchè, ma in casa non faceva mai molto caldo. Di questo lei era grata, perchè il caldo, sommato alla cocente umidità di tutte le estati, l'avrebbe fatta sudare e lei non sopportava di sudare. Ogni volta che sudava anche solo un poco sentiva subito il bisogno di farsi una doccia o un bagno. Non a caso aveva sempre odiato le ore di educazione fisica.
    Nonostante il suo odio per l'attività fisica (quando da bambina avevano provato a farla giocare a tennis si era sentita come se avesse qualche grave deficit psicomotorio, vedendo gli altri bambini tutti molto più bravi, veloci ed agili) , e la sua dieta approssimata e casuale, per lo più imputabile ad una totale assenza di educazione alimentare, Alice manteneva una linea invidiabile, ed il tutto senza soffrire dei disturbi che andavano tanto di moda. Probabilmente consumava tutto ciò che ingurgitava leggendo o badando alle sue bestiole.
    Le vennero in mente le sue bestiole, e questo la distrasse da quello che l'aveva distratta dalla sua lettura: papà era in cortile che spaccava legna, sudando sì, lui, per la fatica e per il caldo. Una volta lei gli aveva chiesto perchè si mettesse a spaccare la legna per il caminetto d'estate, quando non serviva.
    «La metto da parte. Questo autunno, e questo inverno, non ci saranno delle belle giornate così. E ne approfitto per stare all'aperto, fare un po' di attività. E così quando farà freddo non dovrò stare fuori a spaccare legna, perchè ne avrò un bel mucchio pronto per essere bruciato.»
    Però papà non era molto bravo a spaccare la legna. Spesso colpiva i ceppi un po' di storto, e ne faceva saltare via dei pezzi minuscoli. Oppure li lanciava in giro facendoseli sfuggire dalla lama dell'ascia. E poi si lamentava sempre che il ceppo più grande su cui tagliava gli altri era troppo basso per lui, ma erano anni che continuava ad usare lo stesso.
    Lui non se ne era accorto, ma Alice era rimasta a fissarlo per una buona mezz'ora, cogliendo nei propri occhi tutti i dettagli che potevano contenere, e desiderando poterli osservare meglio, poterli toccare ed esplorare. Non ricordava di essersi mai sentita attratta da suo padre quando era una bambina, ma appena lei si era sentita diventare donna, perchè lei si riteneva una donna ormai, non una ragazza (anche se una parte di lei, da un posto profondo dentro di lei, le diceva che il fatto di pensare a questa cosa fosse prova della sua non verità), aveva anche iniziato a guardare a lui come ad un uomo. E visto che era il SUO papà, le pareva ovvio che fosse il SUO uomo. Desiderava che questo si avverasse, e questa era una ragione che l'aveva tenuta a casa, quell'estate, invece che farla partire coi suoi coetanei ed amici.
    In effetti non sapeva cosa potesse fare per portare quell'uomo in particolare a vedere in lei una donna e non una figlia. Già con ragazzi della sua età si trovava impacciata e si sentiva un po' stupida anche solo ad immaginarsi nel ruolo della seduttrice; figurarsi a come si sarebbe inciampata nelle parole e nei pensieri e nelle azioni a provarsi femme fatale con lui.


    Comunque in questo istante Alice non stava pensando ai suoi improbabili tentativi di portare suo padre ad amarla, perchè come detto le erano venute in mente le sue bestiole. Aveva già preparato l'impasto di Bhatkar, e glielo aveva dato in mattinata, quindi si aspettava di trovarle tutte intente a raccogliere il cibo e portarlo nel castello.
    Scese da davanzale e aprì l'anta del balconcino condiviso con la stanza accanto a camera sua. Il cigolio dei cardini, che lei non aveva mai voglia di oliare, ebbe lo sperato effetto di attirare l'attenzione di suo padre verso i suoi short e la sua maglietta quasi consumata dall'uso. All'aperto faceva parecchio più caldo che non in camera, quindi aveva premura di rientrare. Salutò suo padre con un gesto ed un sorriso, attraverso cui le sfuggì un sospiro che comunque lui non avrebbe mai potuto udire, ma che la fece un poco venire voglia di arrossire. Poi entrò nella stanza del castello.


    Castello era il modo in cui lei chiamava il formicaio nel gigantesco terrario che aveva costruito l'anno precedente. Le pareva un appellativo doveroso, visto che ci viveva la regina. Prese il barattolo di vaselina per ripassare i bordi della campagna, ovvero dell'area di foraggiatura. Nel farlo seguiva i passi delle operaie che portavano il cibo fino alla base.
    «Brave ragazze. La vostra regina ha bisogno di mangiare per fare nascere nuove regine belle e forti. So che è passato un po' dall'ultimo insetto che vi ho fatto mangiare, ma non ne sono riuscita a trovare nessuno per voi, di recente. Dovrete accontentarvi del ricordo dell'ultima blatta, o se vi sono rimasti degli avanzi, di quelli.»
    Finito di spalmare quella roba scivolosa corse subito al bagno per lavarsi le mani, abbondando con acqua e sapone. Come al solito non passò dalla porta della stanza del castello. Erano anni che non apriva quella porta, preferendo passare dal balcone e dalla sua camera. Non sapeva nemmeno più se ci fosse una ragione per cui faceva così.
    Poi tornò dalle sue piccoline, inginocchiandosi accanto al terrario scoperto per osservare il fremere delle attività nel castello. Ogni volta sperava e temeva di vedere la regina deporre le uova, o qualche larva strisciare i suoi primi passi. Erano spettacoli meravigliosamente unici ogni volta, ed ogni volta tremendamente alieni.


    Dopo qualche minuto di silenziosa contemplazione, sentì bussare alla porta. Poteva essere solo suo padre, naturalmente, quindi Alice fu rapida nell'alzarsi da terra e volare fino alla sua camera ad aprire la porta per sentire cosa aveva da dirle.
    «Ciao pa'.»
    «Ascolta, che ore sono adesso?»
    «Uhm... boh... le cinque?»
    «Ecco, sì, più o meno sì... Verso più tardi, a cena, viene Matilde.»
    Il gelo scese dentro Alice, come un pugno allo stomaco. Ma fece di tutto per non darlo a vedere.
    «Allora credo che vi lascerò soli, e mi mangerò qualcosa in camera.»
    Preoccupazione e dispiacere nello sguardo di papà. Possibile che non capisse?
    «Sei sicura di non volere mangiare con noi? Ci farebbe piacere. A me farebbe piacere.»
    «Scusa, ma davvero, mi sentirei un po' fuori posto. E poi non la conosco nemmeno. Vorrei evitarti inutili imbarazzi.»
    «...Come vuoi. Ma se cambi idea fammi sapere.»
    «Certamente.»
    La porta si richiuse davanti al suo sorriso finto, nascondendole il volto di suo padre e l'espressione che c'era dipinta sopra. Il vecchio legno le permise inoltre di mutare il proprio volto da triste, a dispiaciuto, a arrabbiato, a deciso, il tutto in una manciata di secondi di completo caos interiore.
    Si trovava sull'orlo delle lacrime forse. In tal caso non riusciva a capire se fosse più per la rabbia o per la tristezza.
    "Le cronache di Narnia" era ancora sul suo tavolino da trucco. L'impulso fu di lanciarlo più forte che poteva fuori dalla fiestra. Poi decise di no.
    «Questo lo vado a rimettere in biblioteca.»
    Camminare l'avrebbe aiutata a riprendersi e tranquillizzarsi, quindi avrebbe girato per un po' in biblioteca leggendo i titoli dei libri, salendo sulle scale delle librerie, spostandole. Poi doccia, attacco al frigo.
    Poi si sarebbe presa un po' della marijuana che condivideva con papà, e si sarebbe andata a stendere tranquila in camera sua. Magari in frigo avrebbe anche trovato qualcosa da bere.


    La biblioteca era in realtà tutta una serie di stanze che lei e suo padre non avrebbero utilizzato in condizioni normali, perchè la casa era davvero immensa per solo loro due. Così nel tempo si erano riempite di librerie, e le librerie di libri, anche grazie al fatto che papà di professione leggesse libri, scrivesse libri e scrivese libri che parlano di libri.
    Quando Alice aveva iniziato le superiori, lui aveva cominciato ad insegnare all'università della Città. Letteratura inglese. Lei trovava che fosse particolarmente bello quando inforcava i suoi occhiali e si incamminava in cortile verso il garage, la camicia mai ben stirata nascosta in uno dei suoi spolverini, angoli di carta che facevano capolino dalla cartella di pelle d'ordinanza. Se avesse dovuto usare un solo aggettivo per descriverlo, sarebbe stato vittoriano, proprio come per la casa.
    Suo padre e la casa erano davvero ben assortiti.


    Dopo avere fumato in camera, Alice non riuscì a resistere alla tentazione di andare ad ascoltare la coppia a tavola. Come al solito tutte le porte al piano terra erano aperte, quindi sedendosi con le gambe penzolanti dal pianerottolo, e restando molto in silenzio, poteva sentire tutto ciò che quella smorfiosa propinava al suo papà.
    Ora parlavano di lavoro.
    «Di cosa ti stai occupando di 'sto periodo, John?»
    (Fatti gli affari tuoi e lascia stare mio padre.)
    «Beh, sto riguardandomi alcuni testi critici sull'Ulisse di Joyce. Nel prossimo anno didattico inizierò a tenere un corso di letteratura Irlandese moderna, e quindi ho parecchio da "ripassare", diciamo.»
    (Eh, il mio papà...)
    «Sembra interessante.»
    (Certo che lo è, sciacquetta ignorante!)
    «Tu invece?»
    (Non essere così gentile. Non se lo merita. Non si merita niente da noi.)
    «In questi giorni sto finendo di organizzare un viaggio all'American Museum of Natural History. Partirò nei primi di settembre con alcuni colleghi della facoltà e qualche studente.»
    (E vedi di non tornare.)
    «È fantastico. Deve essere un'esperienza davvero notevole.»
    (Dimmi che non sei entusiasta come sembri. È tutta una finzione, vero papà?)


    Infastidita, Alice si perse nei suoi pensieri. Dopo qualche tempo tornò a concentrarsi sulla coppia, attirata dai rumori di suo padre che sparecchiava.


    «Lascia che ti aiuti, John.»
    (Vedi di tenere le distanze.)
    «No, non ti preoccupare, stai comoda.»
    (Ecco, e non saresti molto più comoda a casa tua?)
    «Guarda che non è un problema, lo faccio volentieri.»
    (Non c'è bisogno di te in questa casa. Come te lo devo far capire?)
    «Non devi: sei mia ospite.»
    (E come il pesce cominci a puzzare.)
    «Ma, cosa ti sei fatto a quel dito?»
    (Che cazzo...?)
    «Niente di che. Una scheggia, oggi, mentre spaccavo la legna.»
    (Lavorava per la famiglia, il mio papà. E tu non ne fai parte.)
    «L'hai levata subito, spero?»
    (Ma credi di avere a che fare con un bambino idiota?)
    «Certo, certo.»
    (Mica è scemo.)
    «Ma comunque, perchè stavi spaccando la legna di sto periodo?»
    (Vedi che non sai niente di niente?)


    A questo punto Alice smise di ascoltare, sconfortata, e decise di prepararsi un'altra canna, cosa realizzata restando seduta dov'era, poichè si era previdentemente portata tutto il necessario in tasca.


    «Mi dispiace che tua figlia non partecipi alla nostra cena. Mi sarebbe piaciuto conoscerla.»
    (Ceeerto, come no? E magari fingerti la mia migliore amica per fare una buona impressione, vero?)
    «Non mi pareva il caso di forzarla. Ritengo sia un suo diritto cenare da sola, se è quello che vuole.»
    (Puoi scommetterci che lo voglio.)
    «Immagino di sì. Ma con tutto quello che mi hai raccontato di lei, credo che potremmo diventare delle buone amiche.»
    (Non ci contare, cocca.)
    «Sì, credo di sì. Avete parecchi interessi in comune.»
    (Ma mi vuole portare via il principale.)


    Canna pronta tra le labbra, accendino nella mano destra, Alice si alzò dalla sua postazione. Mentre si dirigeva verso la camera, creò il fuoco tra le sue dita, ed aspirò la prima boccata di fumo. Solo erba bruciata, ma erba con la 'e' maiuscola.
    In camera si guardò un istante allo specchio: le venne un'idea, che subito scomparve dimenticata. Odiava quando accadeva. Andò sul balcone. Fuori faceva un caldo umido e appiccicoso, reso appena sopportabile da una fine pioggerella che scendeva da un posto chissà dove tra le stelle dell'orizzonte. Appena più in basso, stava accucciata la Città, come una belva del colore dei carboni ardenti sotto la cenere, una belva pronta a gettarsi su una preda inerte, piccola e pelosa.
    La Città aveva un nome, un nome grigio che Alice conosceva, ma per lei quella da sempre era solo la Città, e non serviva chiamarla altrimenti.
Appoggiata al parapetto, per poco non sobbalzò quando si sentì toccare il gomito destro da qualcosa di viscido.
    Una chiocciola stava trascinandosi sul tubo di metallo, e doveva averla sfiorata con le antenne.
    «E tu dove te la porti la casa, piccolina?»
    Quasi quasi la ragazza volle avere l'impressione che l'animale si fosse mosso, voltandosi un po', per ascoltarla meglio. Nelle condizioni in cui era, questo fu sufficiente a farla ridere, e a farle venire voglia di confidarsi.

8 commenti:

Matteo Piovanelli ha detto...

tanto per mostrare a barf che il blog non è morto.

questa è la prima parte di un racconto, di cui ho già la continuazione scritta.

la posterò man mano, per far leggre prima questo.

questo racconto è noto coi titoli di lavoro "Fiaba" e "IlMigliorRaccontoDellaStoriaDellaLetteratura".

ringraziamenti al Bianconiglio e alla BimbaPixie

Matteo Piovanelli ha detto...

ah, dal prossimo capitolo parte il delirio.
qui sono stato troppo serio

Jager_Master ha detto...

Allora aspetto il seguito per commentare.

(solo una cosa: alice nome a caso. ovviamente)

Matteo Piovanelli ha detto...

ovviamente

Jager_Master ha detto...

dovevi chiamare il babbo Stregatto.

Matteo Piovanelli ha detto...

i nomi sono casuali e non definitivi, ma stregatto per il babbo mi pareva eccessivo.

Jager_Master ha detto...

strebabbo.

Matteo Piovanelli ha detto...

...