Le avventure di Alice: una giornata normale.

Author: Matteo Piovanelli / Etichette: ,


    Luce.
    La luce le bruciava gli occhi attraverso le palpebre quella mattina. Attraverso una pesante nuvola di imbambolamento e mal di testa, qualche immagine della notte arrivava fino all'Alice cosciente, ma non le riusciva di trattenerne nessuna, perchè non appena ci provava quella luce lancinante appiccava un incendio sulle sue iridi. Da farla gridare.
    E non aveva ancora aperto gli occhi: il buio dentro di lei era troppo rosso, rosso come l'oscurità non dovrebbe essere.
    Decise di alzarsi ed andare in bagno a prendere qualcosa per l'emicrania che stava cercando di ucciderla.
    Lungo il percorso un'immagine confusa e sfocata che pensò di identificare come un orologio le diede un'informazione che non si soffermò a decifrare.
    La porta della camera si presentò marrone come un enorme ostacolo ligneo, che le creò qualche difficoltà.
    Probabilmente durante la notte qualcuno aveva allungato il corridoio, perchè il bagno non era mai stato così lontano.
    E che cosa ci facevano quegli scaffali pieni di libri?
    Fermandosi a riflettere con calma, respirando profondamente, Alice incalzò la porta corretta.
    Infine, rimase per un'intera epoca a far scorrere l'acqua nel lavandino, coi capelli che le cadevano in maniera casuale tutto intorno, rifiutandosi di andarsene da soli dal suo campo visivo.
    Poi l'acqua fredda sul viso pulì un poco la sua mente, e lei potè finalmente riempirsi un bicchiere, scioglierci la medicina, bere.
    Non le rimaneva che attendere e sperare che avesse effetto. Di dormire, con i bombardamenti in corso in quegli istanti nella sua testa, non se ne parlava.
    Tornò in camera, recuperò un vestito leggero, un semplice pezzo di stoffa nera con appiccicati dei girasoli di colori rumorosi, e della biancheria.
    Di nuovo in bagno a farsi una rapida doccia fredda.
    Poi ancora la camera. Nebbie dei sogni sempre più lontani ormai, irraggiungibili. Comunque sentiva che quella notte qualcosa fosse migliorato, come se avesse avuto mille mesi per riflettere su un problema, avvicinandosi alla soluzione.
    Si avvicinò alla finestra e la vide. Capelli ondulati-quasi-ricci, di un castano dorato che non poteva essere così luminoso già di prima mattina. Non ne vedeva il volto, ma aveva appena baciato suo padre, e ora si stava incamminando verso l'anonima utilitaria pronta sul viale. Calzava sandali senza tacco, ed era vestita in modo semplice.
    «Quella...»
    «Quella...»
    «Quella... Troia. Brutta. Baldracca. Stronza.» Stava quasi gridando. Stringendo i pugni si allontanò dalla finestra per non farsi vedere da suo padre che stava chiudendo il cancello.
    «Maledetta puttana. Si è pure fermata qua, stanotte. A letto con papà. Maledetta, maledetta stronza.»
    Incazzata come una vipera, Alice aveva bisogna di qualcosa con cui sfogarsi. Un ciuffo di capelli le ciondolò davanti agli occhi. Durante e dopo la doccia il mal di testa si era un po' calmato, ma ora tornava insistente come una marea, ma veloce come un'alluvione.
    Si sedette al tavolino da trucco e aprì un cassetto. Dallo specchio, una ragazza la fissava, la bocca ridotta ad una dura linea orizzontale da qualcosa che trascendeva la rabbia. Imprecando senza parlare, Alice la guardò mentre si tagliava i capelli, e ritrovò il controllo di sè.


    Quel giorno a pranzo Alice e suo padre mangiarono un loro tipico piatto estivo. Consisteva in un'insalata fredda di tutto quello che capitava a tiro. In questo caso c'erano dei pomodori, due mozzarelle, del mais, uova sode, fontina a cubetti, olive verdi, olive nere, carciofini sott'olio, zucchine in carpione, cipolline, sedano, insalata valeriana, un po' di rucola, fagioli di almeno un paio di qualità differenti, cetriolini sott'aceto, carotine tagliate. Le mozzarelle le aveva prese papà la mattina al mercato alimentare della Città, fresche fresche. Le zucchine invece le avevano preparate assieme la settimana prima, o forse erano cinque giorni, ed avevano ormai raggiunto il giusto sapore. Tutti questi ingredienti, in pratica tutti freddi del frigo, erano stati tagliati quanto necessario, mischiati con olio aceto e sale in una grossa terrina, e poi divisi in due terrine diverse, una a testa per Alice e il padre, che le vuotavano aiutandosi con abbondante pane scongelato in microonde per l'occasione, visto che si erano dimenticati di comprarne di fresco. Da bere acqua dal frigo, perchè con quel caldo a nessuno dei due andava di bere altro a pranzo.
    A tavola il padre di Alice commentò sui suoi capelli.
    «Bello il nuovo taglio.»
    «Grazie pa'.»
    «Come ti è venuto?»
    «Ho preso le forbici, ho fatto sciak sciak un po' qui un po' lì e...»
    Suo padre rideva. «No, ok, ok. So come funziona. Intendo, come mai li hai tagliati.»
    «Ehm... Boh... Così...» Sorriso ad occhi chiusi e mille denti per non pensare alla risposta.
    «Ah beh... Comunque hai fatto bene, mi piacciono così. E poi con il caldo che fa sopportarli lunghi come prima doveva essere diventato pesante.»
    «Già.» Poi Alice ebbe uno sprazzo di masochismo. «Come è andata ieri sera?»
    «Benone, direi. Matilde è una gran persona. Penso che piacerebbe anche a te, se mai decidessi di conoscerla.»
    Dolore freddo da qualche parte attraverso una scapola. «Ma boh... Immagino mi sentirei di troppo, con voi due. Mi sembra una cosa...»
    «Non devi preoccuparti di questo. Se qualcuno deve entrare nella mia vita, deve sapere che ci sei già tu, e che questa non è una cosa che si possa cambiare. Quindi è giusto che per fare una cosa seria, lei ti conosca e valuti se vuole continuare a conoscerci entrambi o meno.»
    «...»
    «Cioè, se devo scegliere tra te e una compagna, vinci senza pensarci, e voglio che questo sia chiaro.»
    «... Grazie, immagino...» Il freddo stava cambiando colore, passando dal suo azzurro naturale ad una tinta più verde.
    «Però mi piacerebbe che tu, in un certo senso, mi aiutassi...»
    «Cosa vuoi dire?»
    (se vuoi che ti dica di lasciarla perdere e dedicarti solo a me come se non fossi tua figlia, dillo ora...)
    «Voglio dire: se tu e lei non vi conoscete, io non posso capire che intenzioni abbia, e quindi... Uhm... Non sono sicuro di saperlo dire, comunque ho abbastanza chiaro in testa quello che intendo.»
    «Credo di capire...»
    «Ottimo.»
    «Però papà...»
    «Cosa?»
    «Mangia la tua verdura, che se no si fredda.»
    «Scema.»
    «Grazie.»


    Poi fu caffè con panna spray, che nonostante fosse molto probabilmente di origine sintetica era buona, oltre a far raffreddare un po' il caffè, permettendo ad Alice di non scottarsi lingua e palato per la fretta.


    Quel pomeriggio ad Alice venne voglia di gelato, così prese il suo gatto di peluche ed andò il cantina per recuperarne uno dal freezer grosso.
    Le scale, in realtà molto solide, erano opportunamente traballanti, o forse era l'immaginazione della ragazza che gliele faceva sembrare tali per tenerle a tema con la loro destinazione. Dopo averle scese con attenzione, ma lieta per la frescura che andava intensificandosi ad ogni gradino, la ragazza fu nella stanza dai bassi soffitti a volta, coi mattoni a vista.
    Suo padre periodicamente si dava un gran da fare per pulire la cantina, ma non in maniera che sembrasse linda: lo scopo era di darle un'aria di vecchio, senza che sembrasse abbandonato.
    Appena dentro, Alice soffiò sul ripiano più vicino, liberandolo dalla polvere, e ci mise il gatto, che doveva stare lì di guardia. Aveva fatto così fin da bambina, quando aveva paura di scendere là sotto da sola, per il buio e per la possibile presenza di topi e altri mostri. Suo papà le aveva detto che i topi avevano paura dei gatti, e che non erano molto intelligenti. Poi le aveva dato quel gatto di peluche, dall'aspetto un po' inquietante, a pensarci bene, con enormi occhi gialli e la testa sproporzionata al resto del corpo, dicendole che i vari mostriciattoli della cantina, vedendolo farle compagnia, sarebbero scappati a nascondersi. Ora, mentre trovava l'interruttore ed accendeva la luce di cui aveva bisogno per proseguire nella stanza senza andare a sbattere contro qualunque cosa, quelle paure erano solo ricordi, ma l'abitudine era rimasta.
    «Tu stai qui e tieni d'occhio la situazione.» Accarezzando il pupazzo tra le orecchie, si immaginò che facesse le fusa, e ridacchiò allontanandosi.
    Passandoci accanto, Alice si fermò davanti allo scaffale che reggeva le bottiglie di vino. Cominciò a girarle una ad una, soffiando sulle etichette per poterle leggere. Alcuni di quei vini erano più vecchi di lei. Altri anche più vecchi di suo padre. L'idea che probabilmente non sarebbero mai stati assaggiati non le dava il fastidio che razionalmente sentiva dovesse darle, ma non era in grado di spiegare il perchè. Un ragnetto dalle zampe lunghe e sottili ed il corpo tondo scappò via lungo la trave dalla bottiglia che aveva appena rigirato, un Roussette de Savoie vecchio di sei anni.
    «Chiedo scusa signor Ragno.»
    Dopo un attimo l'animale non fu più in vista.
    Tornando alla ragione per cui era scesa in cantina, la ragazza proseguì fino al freezer, spalancandolo. Ora doveva affrontare la solita ardua decisione: cono, coppetta o ricoperto? Ognuno aveva vantaggi e svantaggi, ed erano tutti troppo buoni per escluderne a priori. Questa volta la scelta cadde su una coppetta alla fragola: il caldo le avrebbe sicuramente fatto cadere il ricoperto, e colare il cono.
    Aveva appena richiuso lo sportello, quandò un'illuminazione le fece cambiare idea: avrebbe mangiato un cono alla crema, stando seduta in cantina per evitare il caldo esagerato del pomeriggio. Detto fatto, fece lo scambio di gelati col freezer, e ci si sedette sopra per gustare il proprio.
    Finita la sua merenda, Alice se ne rimase ancora un po' lì dov'era a gustarne il ricordo. Poi tornò verso le scale per recuperare il gatto e congratularsi con lui per l'ottimo lavoro. Andando, gettò un occhio verso i vini: il ragno si stava piano piano calando sulla stessa bottiglia.
    Mentre saliva la scale, la ragazza ancora ne rideva.


    Prima di cena Alice si era già fatta una doccia, ma quella sera la stanchezza e il sonno non le bastavano per sfuggire dall'afa, una enorme bestia malvagia ed ingombrante che andava ad opprimerla in ogni angolo di casa. Per cercare salvezza decise di farsi un bagno, bello fresco, nella sua vasca del suo bagno.
    Il suo bagno non era il più vicino alla camera da letto, nè quello rinnovato più di recente, nè il più grande, nè quello con la vasca più comoda, nè quello con l'idromassaggio. Tutte queste erano caratteristiche del bagno che usava suo padre. La vasca era semplice e nello stesso antiquato stile della casa, messa da una parte, sotto una finestra, ma non proprio attaccata al muro: era una di quelle vasche senza muratura. Non era molto grande, ma neppure la ragazza lo era, quindi ci stava comoda comunque. La tubatura della doccia saliva come lo stelo di un fiore d'ottone da uno dei lati stretti, quello da cui i piedi di Alice potevano controllarne il funzionamento o sradicare il tappo dal fondo. Quando necessario, una tenda di una plastica fastidiosa a righe poteva venire fatta scorrere su un tubo che correva ad ovale sopra al vasca, in maniera che se lei si voleva fare la doccia non doveva poi asciugare tutta la stanza.
    Ora la tenda era appesa, ma tutta raccolta e legata dietro allo stelo della doccia, in modo da non dare fastidio. Un asciugamano era steso a mo' di tappeto di lato, e quando avesse finito il bagno Alice ci avrebbe messo i suoi piedi bagnati, per evitare di produrre una scomoda pozzanghera.
    La ragazza era immersa fino alle spalle in acqua fresca e profumata, ma non troppo profumata se no l'avrebbe potuta nauseare, ed aspettava di sentire che l'afa non sapesse più dove raggiungerla. Non aveva bisogno di lavarsi, grazie alla doccia di poco prima, quindi se ne stava semplicemente distesa a godersi la frescura, dimentica del caldo provato due attimi prima e di quello che avrebbe probabilmente provato più tardi. Stava solo lì, senza pensare a nulla, lasciando che i pensieri facessero da soli i loro soliti giri nella sua testa, formandosi in immagini, combinandosi, fondendosi, scappando gli uni davanti agli altri. L'unica cosa che le interessava era la sensazione pacifica che l'essere immersa le dava, contro la turbolenza del caldo eccessivo e del sudore. Così Alice prese un respiro più grande e si immerse del tutto.

3 commenti:

Matteo Piovanelli ha detto...

terza parte

credo il resto sarà diviso ancora in un paio di parti. non di più.

Jager_Master ha detto...

secondo me affoga.

Matteo Piovanelli ha detto...

bastardo, mi hai bruciato il finale.

ora devo riscrivere tutto.