Conrad il druido - 5

Author: Jager_Master / Etichette: , ,

Il consiglio si svolgeva ogni primavera, dalla notte della prima luna per 3 giorni e 3 notti ininterrottamente.
Fondamentalmente succedeva un pò di tutto durante queste giornate, seguendo un tradizionale canovaccio mai rispettato fino in fondo: puntualmente, infatti, veniva stravolto da capo a piedi.

Conrad arrivò fra i primi, nonostante il contrattempo del cinghiale.
Come ogni anno la prima cosa che vide nella radura fu il classico circolo azzurro, che rasoterra tagliava prati, alberi, sassi e foglie, disegnando un perimetro circolare a difesa del consiglio, grossomodo per un paio di miglia di diametro.
Bastò il classico cenno delle due dita congiunte e il circolo aprì un varco, attraverso il quale Conrad poté accedere alla zona riservata per i druidi.
A dirla tutta non era quel gran fuoco di sbarramento: niente più che un’aura protettiva, creata per evitare a bestie e curiosi di mettere becco nella zona druidica nei giorni sacri. Poi si sarebbe dissolta nell’ultima notte.

Può sembrare strano, ma anche Ceck era “catalogato” come curioso.
E dunque rimase fuori, in attesa, sarebbe rimasto lì, fino all’arrivo del padrone, se questi non si fosse girato poco dopo.
E infatti Conrad attraversò il varco, poi si girò.
Tornò sui suoi passi e con un sorriso sincero salutò il suo più caro amico, accarezzandolo dolcemente fra le folte orecchie. A Ceck bastò: era il saluto del “via libera” e d’istinto volse le spalle al padrone lanciandosi nella foresta dalla quale erano da poco usciti.
Si sarebbero rincontrati 3 giorni dopo. Puntuali. Come ogni anno.
Conrad aspettò che il suo lupo valicasse l’orizzonte, poi si voltò anche lui, diretto alla rupe del consiglio, a poche centinaia di metri, sotto la collina.

Atholas, come sua abitudine, osservò interamente la scena a pochi metri di distanza, accovacciato sottovento, nell’erba alta. Era talmente basso sul livello del terreno che sarebbe stato impossibile anche per Ceck vederlo; figuriamoci annusarlo, coperto di fango e foglie come era in quel momento.
Prima sembrò interessarsi dell’animale. Ma quando vide che i due si erano divisi, aveva apprezzato la cosa: quel lupo poteva diventare un problema, ma forse la fortuna stava girando, dopotutto.
Poi la sua attenzione virò decisamente sul mezzorco e il suo circolo azzurro: passarci attraverso per seguirlo era cosa decisamente impegnativa. Non alla sua portata.
Quindi attese, anche se Conrad, ormai, era ben all’interno della zona riservata e stava sparendo all’orizzonte.
Sapeva bene chi doveva arrivare. E in quanti.
Infatti attese pochi minuti, fino all’arrivo di un altro druido: un lucertoloide. Lo osservò da lontano e quasi riuscì a sentirne l’odore salmastro, di acqua stagnante e di selvatico. La pelle del druido era cosparsa di squame e la sottile veste copriva ben poco di quel corpo slanciato da rettile. Soprattutto lo colpì la coda: era lunga almeno 2 metri, e nonostante fosse sottile traspariva notevole velocità e forza.

Non attese oltre.
Con gesto lento e preciso incoccò la freccia nell’arco corto, tenendolo parallelo e orizzontale rispetto al terreno. Quanto la lucertola fece segno con entrambe le dita, il cerchio azzurro si aprì, e per Atholas fu il segnale dell’attacco.
La freccia sottile partì rapida senza alcun suono, diretta al torace della lucertola; appena la saetta lasciò l’arco, Atholas si alzò di scatto, estraendo nello stesso tempo una seconda freccia.
Guadagnò qualche istante, con questo movimento, e quando la freccia arrivò a bersaglio, la seconda era già incoccata. Ma nel frattempo l’arco era in posizione verticale, con la sua mano più forte, e il busto eretto, a gambe stabili e aperte sul terreno.
In piedi era fin troppo facile: era come colpire un cervo legato.

Stilf era un druido giovane, ma nella sua poca esperienza aveva già conosciuto il rumore e l’odore del legno. Nelle paludi aveva unito l’istinto lucertoloide con la saggezza druidica, e la natura aveva ben pochi segreti per lui.
Sentì arrivare la freccia quasi subito. Era come la sensazione di un fulmine attraverso le tempie: deciso, rapido, immediato: era impossibile non accorgersene. Il legno “parlava chiaro”, la sua voce era inconfondibile.
Ma il legno viaggiava anche veloce. Troppo veloce. Soprattutto il legno argento, degli alberi elfici.

La freccia colpì, all’altezza del costato. Stilf si voltò verso la sorgente di quel ramo, che conficcato dentro di lui bruciava come non mai.
Lo vide.
In piedi, a circa 20 metri da lui. Nella sinistra un arco corto, nell’altra una freccia che stava per essere rilasciata. La figura intera era difficilmente riconoscibile: la sagoma sembrava di un uomo, o di un elfo, o anche di un troll di statura minore.
Poteva essere chiunque, e con quel rivestimento di terra e foglie era totalmente irriconoscibile all’occhio.
Ma le orecchie a punta no, quelle erano un segno inconfondibile.

La seconda freccia partì, ma questa volta Stilf era pronto: riuscì a osservare il momento dalla partenza e si preparò. Con una mano tenne la freccia nel costato ferma, per non avere impedimenti e dolori, con l’altra creò uno scudo verde davanti a se, attraverso il quale la freccia argentata in arrivo si dissolse all’istante, ancora prima di raggiungere la sua testa, alla quale era diretta.

Ma la punta seghettata della prima freccia stava facendo il suo sporco lavoro, e cominciò a trascinare sangue a fiotti fuori dalla ferita. Sarebbe morto dissanguato a breve: doveva dunque estrarla.
Rilasciò lo scudo, per quanto era un gesto pericoloso, ma non aveva scelta.
Con gesto rapido afferrò la freccia conficcata, provando delicatamente a tirarla fuori.
Atholas ne approfittò. L’arco era già a terra, abbandonato dopo il secondo lancio; la mano destra dietro la schiena, attorno all’impugnatura. La sinistra ben larga, a bilanciare la preparazione del gesto.
Con un gesto secco rilascò la mano destra, lanciando a mezza altezza il pugnale che teneva nella cinta, se possibile ancora più rapido della prima freccia. Sicuramente più preciso.

Stiff vide il gesto.
Mollò la presa con la seconda mano e riaprì lo scudo.
Ma il pugnale non conosceva legno. Neanche di sfuggita.
La lama, totalmente d’acciaio, penetrò nella gola del druido fino all’impugnatura, anch’essa di metallo.

Per qualche istante nulla si mosse, nessuno parlò.
Stiff cadde sulle ginocchia, ancora con la mano aperta allo scudo verde, ancora con l’altra che afferrava la freccia nel costato. Poi si accasciò sul lato. Immobile.
Anche atholas rimase fermo: ora i suoi sensi erano concentrati sull’ambiente circostante. Annusava e ascoltava, dimenticandosi di quel corpo morto che aveva davanti; lui non poteva più nuocere ora.
Quando finalmente decise che attorno a lui non c’era nessuno, si fiondò verso il lucertoloide, afferrandogli la tunica e tirandolo rapido verso la boscaglia.
Gli bastò trascinare il corpo in una fossa poco distante, scavata forse dai cinghiali. Abbandonò lì il cadavere, lo coprì rapido con un cespuglio sradicato e tornò veloce all’apertura.
Vide che attorno al varco c’erano visibili tracce di sangue sull’erba secca, ma decise che non ci poteva poi fare molto. Dunque se ne disinteressò quasi subito.

Un ultimo sguardo dietro di sè, poi si lanciò nel varco, e sparì, sulla strada lasciata dall’ignaro Conrad.

4 commenti:

Jager_Master ha detto...

ora 2 dei racconti che erano stati "abbandonati" hanno un continuo.

Se a qualcuno va di andare avanti...

Matteo Piovanelli ha detto...

elfi di merda...

Jager_Master ha detto...

uuuuuuuuuuuuh

Jager_Master ha detto...

qualcuno vuole favorire?