Capitolo 6. Tagliare i rifornimenti.

Author: Jager_Master / Etichette: ,

Era la prima volta che Dimitri non partecipava ad una missione con il gruppo, e di questo Sergej sentiva la differenza. Aveva la sensazione di correre a piedi nudi sull’asfalto, o di imbracciare un fucile scarico; insomma: mancava qualcosa. C’era poco da dire.
Il successo delle missioni fin d’ora intraprese dalla sua squadra si basava su poche ed efficaci regole, ed una di queste era l’unità di gruppo, l’unità di intenti, la convinzione che la vittoria del singolo è frutto del lavoro di tutti. Da soli non si è nulla. Insieme si è tutto.
Ed ora un braccio della squadra sarebbe mancato; si chiedeva se questa fosse stata una decisione saggia, ma nella sua posizione aveva ben poco da obiettare: era stato addestrato per ubbidire e così avrebbe fatto, nei confronti di ogni decisione del Generale Andriej.

La camionetta lasciò la zona delle quattro mura poche ore dopo la loro cena con il Generale. Avevano avuto giusto il tempo di prendere sulle spalle il loro equipaggiamento, di vestirsi e di farsi trovare pronti nello spiazzo dietro le camerate, dove ben pochi potevano vedere le operazioni che si sarebbero svolte.
Appena arrivati alla camionetta saltarono sul cassone coperto, come da ordini, e si nascosero seduti dietro a delle casse di metallo che contenevano rottami di armi e di struttura.
Aspettarono pochi minuti, dopodiché chiunque fosse alla guida accese il motore e fece una veloce manovra a U dirigendo la camionetta verso un’uscita secondaria.
Erano 4 nel cassone, e dalle facce dei suoi ragazzi Sergej capì che l’umore non era dei migliori.
Scrutò gli occhi di Nikolaj, e non si sorprese di leggerci una vena di preoccupazione. In effetti la loro missione non era semplice: in codice era di livello giallo, giusto un gradino sotto il rosso che era il massimo.
Avevano ricevuto ordine di unirsi ad un gruppo di truppe VDV a 10 km dall’obiettivo, per poi spostarsi a piedi fino alla zona x.
Da lì avrebbero agito separati. Punto.
Questo per loro era sufficiente, e dunque nessuno di loro aprì bocca per tutto il tragitto, rimanendo nascosti dietro le casse, e perdendosi nei pensieri.
Dopo una buon’ora di viaggio senza sorprese, l’autista colpì con un pugno secco la zona metallica della porta che conduceva al cassone dietro. Il gruppo alzò di colpo la testa, all’unisono.
Avevano 1 minuto.
Controllarono per la decima volta l’equipaggiamento, le armi e la temperatura corporea, com’era da prassi e da buon senso. Dopodiché attesero.
Un minuto dopo i colpi dall’abitacolo furono due; Sergej si lanciò fuori dal cassone, atterrando sulla terra gelida, mantenendo un discreto equilibrio. Aiutati dalla velocità ora ridotta della camionetta Yuri, Nikolaj e Ivan seguirono il loro caporale saltando fuori a catena, e atterrando con gli scarponi ben saldi sul terreno.
La camionetta accelerò di colpo e in pochi istanti sparì all’orizzonte. Ma nessuno della squadra degnò l’automezzo neanche di un’occhiata: un secondo dopo che toccarono terra erano già ai lati della strada, nascosti dietro un muro e a grossi blocchi di ghiaccio.

Sergej fece l’analisi della situazione in modo rapido. La sua vista si stava velocemente abituando alla zona, aiutato dal fatto che nel cassone erano al buio e quindi in pochi secondi distinse le 3 sagome attorno a se. Fece un cenno con la testa che tutta la squadra capì al volo e in perfetta coordinazione si mossero piegati su loro stessi correndo lungo la strada, a pochi metri di distanza dalla stessa. Dopo mezzo chilometro circa che correvano accucciati ripresero fiato accanto ad una casa diroccata, distrutta anni addietro dai bombardamenti.
Si appiattirono al muro e osservarono la zona dinanzi a loro, osservando come il buio, il silenzio e la devastazione coprivano l’intero orizzonte.
Poco dopo l’orologio di Sergej emise luce verde. Portò rapidamente il polso all’altezza della bocca, e premette un tasto accanto al display.
“Zona uno. Gruppo B. Attendo” furono le parole del caporale.
Gli altri 3 uomini non mossero un muscolo attendendo precisi ordini, e continuarono a guardare dinanzi a loro.
“Gruppo B. Muovi avanti. Ora.” Appena l’orologio gracchiò Sergej cominciò a correre in avanti, sempre accucciato. “Muoversi” disse al resto della squadra, che prontamente lo seguì in fila indiana. Ivan chiudeva la comitiva.
Corsero per un’ottantina di metri e rimasero colpiti ed affascinati da ciò che videro. A pochi metri da loro erano appostati una ventina di uomini, divisi in due gruppi, alla loro destra e alla loro sinistra. Erano lì da chissà quanto, e nessuno di loro li aveva notati.
Non un rumore, non un movimento, non la sensazione di essere osservati. Se qualcuno, ignaro, fosse passato fra Sergej e la Squadra A, sarebbe stato abbattuto senza possibilità di salvezza alcuna.
Erano di un’efficienza mostruosa.
Uno di loro, il caporale della Squadra A, mosse verso Sergej.
Si sedettero per terra, e la maschera protettiva del primo si aprì. Tese la mano verso Sergej e disse: “Caporale Idarov”.
“Caporale Sergej”, rispose, stringendo la mano del suo pari grado.
“Vi abbiamo visti mentre muovevate verso A” - disse Idarov – “poi vi abbiamo controllato per qualche minuto prima della comunicazione. Normale sicurezza, lei mi capisce.”
Sergej non nascose il disappunto. Pensava di essere stato perfetto nella manovra, ma evidentemente avevano sbagliato qualcosa.
“Non la prenda come una critica, caporale, sapevamo del vostro arrivo, del punto A e della zona di avvicinamento. Ma siete stati alti nel movimento” e sorrise amaramente.
La critica era invece fin troppo chiara, pensò Sergej. Sbagliare il movimento rimanendo alti sul terreno era uno degli errori più frequenti, ma non sapeva chi di loro avesse sbagliato la manovra e d’altra parte poteva farci ben poco.
“Vedremo di non ripeterlo” rispose secco Sergej, cercando di rimanere impassibile.
Idarov lo osservò per qualche istante, dopodiché riallacciò la maschera, indicò un punto alle spalle di Sergej e disse “Punto C. Colonna centrale, vi copriremo ai fianchi”.
Si alzò di poco dal terreno e oltrepassò Sergej alla sua destra. Un piccolo plotone di una decina di uomini lo seguì tenendosi praticamente a pelo del terreno. E sparirono.
Sergej fece segno ai suoi 3 uomini che lo osservavano attentamente da qualche minuto, in attesa di ordini. Subito lo raggiunsero, per poi dirigersi al punto C. Il loro obiettivo.

Corserò per un chilometro circa, poi si alzarono in piedi quando dalla comunicazione radio di Idarov arrivò l’ordine “Alti ora. Zona sicura”.
La cosa facilitò non poco la corsa, soprattutto a Nikolaj che portava un’arma non proprio d’ordinanza.
E proseguirono per circa 15 minuti, sempre coscienti che alla loro destra e alla loro sinistra, da qualche parte, c’erano venti uomini che correvano fianco a loro. Un pò sicurezza, un pò agitazione.
L’adrenalina cominciava a crescere e i 4 soldati ne sentivano la potenza scorrere nella saliva, nel sangue, nel cervello.
Sapevano di essere parte di un meccanismo che doveva funzionare come un orologio. O molti uomini sarebbero morti. Lo sapevano bene. Ma la sensazione di non essere all’altezza di quelle macchine di morte che stavano correndo con loro...ogni tanto arrivava, e minava la sicurezza mentale, faceva sudare le mani, e toglieva concentrazione.
Un soldato questo non poteva permetterselo. La tua insicurezza è la tua morte. O la morte del tuo compagno.
Niente di più vero.

Proprio per questo motivo, per ritrovare tranquillità, concentrazione, forza interiore, il gruppo di fermò di colpo. E le due ali fecero lo stesso.
Ognuno era fermo e sapeva che lo stesso stavano facendo gli altri. Era una manovra tipica, per ritrovare fiato, compattezza, sicurezza di se.
Davanti a loro un zona completamente devastata. Palazzi a pezzi, strutture cadenti, ghiaccio e metallo ovunque.
Eppure laggiù, da qualche parte, in mezzo a quel nulla, sarebbe uscito di lì a poco un convoglio diretto alla strada che tagliava la radura a poche centinaia di metri da loro.
Quel convoglio alla strada non ci doveva arrivare.
Sergej respirò a fondo.

La missione a questo punto avrebbe preso una svolta fondamentale. Il gruppo di copertura avrebbe aggirato la zona dai due lati, stringendo come una morsa intorno al punto x, da dove sarebbe uscito il convoglio.
Il gruppo di Dimitri, invece, doveva fare la voce grossa, cercando di colpire frontalmente il primo degli autocarri facendolo saltare con un lanciarazzi di grosso calibro. In questo modo l’esplosione avrebbe tagliato la strada alla colonna al seguito, favorendo il fuoco da entrambi i lati della squadra A.
Insomma, a Dimitri spettava metter fuori le chiappe per primo, rischiando di avere subito il fuoco contro come primo bersaglio visibile. Tutto doveva andare liscio, o sarebbero morti in quattro e quattr’otto.
Il fatto è che, secondo il principio di prima, dovevano basare parte della loro sopravvivenza su altre persone, ovvero il gruppo A, che doveva fornire anche fuoco di copertura. Della loro efficienza, comunque, si poteva contare. E questo tranquillizzò in parte Sergej.

Scesero la collina a passo veloce, perdendo di vista la Squadra A in poco tempo. Idarov scese alla sinistra di Sergej, guardandosi l’ultima volta alle spalle. I due sguardi si incontrarono per pochi istanti, poi il caporale della Squadra A si lanciò giù per la collina con il resto del plotone alle spalle.
Sergej lo vide sparire dietro il crinale che portava ad est della cittadina bombardata.
Fu l’ultima volta lo vide.
A destra, in perfetta coordinazione, la seconda parte del plotone scese verso ovest. A sergej, infine, come detto, rimaneva il centro, la zona scoperta.
Erano 4, e per questo meno visibili delle squadre numerose, ma il pericolo era comunque notevole.

Entrarono in una finestra della prima casa che incontrarono, immergendosi nel buio della struttura, e si accucciarono appena entrati. Col fucile a puntamento laser Yuri mirò nel vuoto della stanza coprendo i compagni e si addentrò.
Percorse il perimetro e scoprì presto che la stanza era di forma quadrata, completamente spoglia. Spense la visione notturna e la riaccese, giusto per controllare che il meccanismo funzionasse velocemente in caso di necessità. Non era pignoleria: era la differenza tra una pallottola nel cranio e una pallottola che sfila a fianco. E non era poco. Chi fa il macho muore, e nessuno di loro quattro lo era.
Fece segno ai 3 che erano rimasti sotto la finestra, e il gruppo di riunì dove stava Yuri.
“Troviamo una uscita secondaria”, disse Sergej. “Nikolaj passi per terzo, Ivan lo copri chiudendo la fila. Yuri: apri tu”. Tutto era chiaro, ognuno sapeva che fare.
Uscirono da una porticina dopo che Sergej e Yuri aprirono la strada tenendo sempre i cannoni putanti verso l’esterno. Camminavano a passo sicuro, senza correre, tenendo le natiche attaccate ai muri e la schiena curva.
Nella mappa della città devastata si trovavano praticamente nella zona centrale, spazialmente più vicini in linea d’aria, anche se di poco, alla Squadra A Zona Sinistra.
Per non correre in linea retta ogni tanto entravano da una finestra, o da uno squarcio nella parete, passando da un lato all’altro delle abitazioni. Un paio di volte salirono di un piano, passando dai balconi. L’importante comunque, oltre a non dare riferimenti ad eventuali nemici, era non scoprirsi, e dunque non misero mai il naso lontano dalle murature, non attraversarono mai la strada e non passarono sui tetti.

La manovra di avvicinamento durò circa mezz’ora, nella quale percorsero 2 km nella zona abbandonata, arrivando a 400 metri dall’obiettivo.
A questo punto attesero che arrivasse l’ora giusta.
Secondo le indicazioni del Generale Andriej Korazov i rifornimenti dei ribelli sarebbero usciti dalla zona sotterranea alle 6 del mattino. Come faceva il Generale a sapere questa informazione nessuno lo sapeva. E a nessuno fondamentalmente importava.
Erano le 4:56 all’orologio di Sergej. Secondo il breafing dovevano aspettare nel punto in cui erano le 5:48, per poi puntare le armi verso l’apertura.
Era importante arrivare prima, come avevano fatto: questo perché dovevano avere un margine operativo per permettere alla squadra A di raggiungere la posizione di copertura. In altre parole: dovevano sperare che alle 5:48 la squadra A avesse le canne puntate sulle loro chiappe, o sarebbero stati cazzi amari.
Ma avevano avuto fortuna fino a quel punto: neanche un cecchino, neanche un soldato o un’avvisaglia di imboscata, segno che i ribelli si sentivano al sicuro. E non avevano sentito spari: dunque anche la squadra A non aveva trovato ostacoli.
Ma per Sergej queste erano stronzate. Mai abbassare la guardia, mai fidarsi. Era sempre la solita storia dell’uomo morto.
E spesso quando la situazione è troppo tranquilla...è il momento in cui piovono cazzi.

Poi Sergej aprì bocca; era quasi un’ora che nessuno fiatava: “Ivan: stai a quella parete e copri la zona. Yuri: vieni con me”.
I 3 soldati si scambiarono sguardi interrogativi. “Signore, le indicazioni sono...”
“Lo so quali sono le indicazioni. Saremo qui in 20 minuti al massimo. Ora fate quello che dico. Nikolaj: copri la parete opposta”. Detto questo si mosse verso la porta da cui erano entrati, la aprì e sparì all’esterno. Sapeva che Yuri era dietro di lui anche se aveva dato da intendere che non capiva la manovra: era addestrato per svolgere operazioni chiare e precise: fai questo, copri quello, spara a quell’altro. E lo faceva. Sempre.
Infatti poco dopo Sergej si accucciò al fondo di una scala interna, scrutando la rampa che saliva, e sentì la mano di Yuri sulla sua spalla.
Non si girò, sapeva che era lui, sapeva che era la prassi, sapeva che quello voleva dire “copertura ok. Non sei solo”. Rimase con lo sguardo fisso verso l’alto, osservando il buio che portava al secondo piano.
In linea d’aria erano tornati indietro di 40 metri circa, nella casa a fianco rispetto a Nikolaj e Ivan.
Rimase fermo con lo sguardo fisso, contemplando il vuoto. Yuri manteneva la mano sinistra sulla spalla del caporale, e con la destra teneva il fucile a canna corta puntato davanti a se: fissava la porta di fronte, pronto a far fuoco nel caso fosse entrato qualcuno. In questo modo Sergej era libero di pensare ad altro e non alla propria schiena.
Questa posizione durò più di 8 minuti, segno che Sergej non era convinto, non voleva salire le scale. Yuri cominciò a sudare, ma non voleva girare la testa per osservare il suo capo: sapeva che non doveva pensare ad altro che osservare quella dannata porta.
Poi Sergej impercettibilmente si mosse. Spinse la testa più avanti, e ruotò il collo osservando verso l’alto.
I suoi occhi si mossero veloci verso la rampa delle scale che finiva al secondo piano, sopra la sua testa e il suo cuore si fermò per qualche istante. C’era qualcosa al secondo piano. O qualcuno. E quel qualcuno oltrepassò veloce il pianerottolo, disegnando un’ombra sul muro.
Sergej ritrasse la testa. Poi con la mano sinistra toccò la mano di Yuri, che subito arretrò tornando nella stanza di provenienza. Ruotò su se stesso ed entrò, con il caporale che lo seguiva.
Camminò svelto tornando sui propri passi, col cuore in gola. Sergej aveva visto qualcosa, ne era sicuro!
Incontrò la porta da cui erano passati ormai 3 volte, i propri compagni a 20 metri circa. Ruotò una seconda volta poggiando le spalle al muro, la porta in cui entrare alla propria destra, Sergej davanti alla sua faccia.
Senza fermarsi Sergej fece cenno con la testa ed entrò a fucile spianato, Yuri dietro di lui.
In 1 minuto e mezzo arrivarono alla stanza dove stavano Nikollaj e Ivan.
Per non essere bucati dal fuoco amico toccò la porta due volte, bussando piano. Poi una terza a distanza di qualche secondo.
E si fiondò all’interno. Alla sua destra vide Nikolaj con la coda dell’occhio mentre entrava lanciato. Ivan era davanti a lui e lo mirava in fronte, nel caso fosse un trucco. Abbassò il fucile appena vide che era il proprio comandante.
La porta si chiuse dietro Yuri, poi al cenno di Sergej il gruppo si riunì.
Il Caporale guardò rapidamente gli occhi dei suoi uomini e disse la frase che Yuri si aspettava. Ma fu lo stesso un colpo, anche perché il tono era allarmato e il sangue freddo di Sergej era improvvisamente sparito : “E’ un’imboscata, cazzo! fuori di qui!”.


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