Capitolo 7 - Non siamo soli

Author: Jager_Master / Etichette: ,

Sergej si voltò e si diresse verso l’uscita secondaria che stava dietro di lui. L’unica, a questo punto, era uscire verso l’obiettivo, dato che di tornare indietro non se ne parlava nemmeno. Per quello che ne potevano sapere erano seguiti da un esercito intero, anche se Sergej ne dubitava.
Il caporale ragionava velocemente, mentre con Yuri apriva la strada agli altri, uscendo in direzione Sud, proprio verso il punto x che ora stava a meno di 300 metri, leggermente a Est, più vicino alla Squadra A Zona destra, dove stava Idarov.
Già. La squadra A. Secondo gli ordini era da escludere una comunicazione radio: dopo che si erano divisi ognuno doveva arrangiarsi, ed era tassativamente vietato cercare aiuto anche in caso di emergenza. Troppo pericoloso: c’erano possibilità di essere intercettati e non si doveva fare casini fino alle ore 6:00, cioè fino all’uscita del convoglio.
Il fatto è che anche la Squadra A e Idarov potevano essere sotto mira e in pericolo, ma la Squadra B di Sergej aveva le mani legate, e volente o nolente doveva sbattersene.
Decise così di arrangiarsi. Una soluzione (e fu quella che scelse) era di dirigersi sempre verso Sud, verso l’obiettivo. Certo: il rischio di trovarsi di fronte un gruppo di ribelli c’era, ma Sergej optò per quella direzione, anche perché le altre 3 erano da escludere.
Di tornare indietro, come detto, non se ne parlava. Sarebbe stato come cadere in bocca a uno squalo.
A Est, verso la squadra di Idarov era troppo pericoloso, avrebbero dovuto attraversare un largo tratto di strada fra due isolati, lasciando campo libero ai possibili cecchini, o a chi li stava seguendo.
A Ovest c’era la Zona Sinistra della Squadra A, più vicina in linea d’aria. E proprio verso di loro Sergej voleva dirigersi: l’idea era di muovere verso Sud, e quando la strada l’avrebbe permesso, avrebbero svoltato, lasciando il culo libero in mezzo alla strada, come nel caso Est, ma con meno strada da percorrere e meno probabilità di essere colpiti. Inoltre avrebbero portato gli eventuali inseguitori in bocca ai VDV.
E poi, cazzo, non avevano scelta.
Andarono a passo veloce, convinti di avere un seppur minimo vantaggio, dato che Sergej concludeva di essere stato visto sotto la scala. Dunque i ribelli non sapevano che lui sapeva. O almeno se lo augurava.
Utilizzò questo vantaggio dirigendo i suoi 3 uomini di casa in casa, arrivando a 50 metri dal punto x. Si erano mossi con prudenza e relativa velocità: non avevano perso terreno.
A quel punto però dovevano svoltare, non c’erano cazzi.
Si trovavano spalle al muro, dietro di loro la finestra che portava sulla strada. Dall’altra parte della strada c’era una fila di case. Dietro le case i VDV. Facile no?
Manco per il cazzo.
Se avessero sbagliato manovra o coordinazione, mettere il naso in strada sarebbe stato come far da sagoma in un poligono di tiro.
I 4 erano completamente sudati malgrado i –13° della temperatura esterna. Un pò la tuta termica, un pò (molto) la tensione...ed ecco che le schiene erano totalmente bagnate, nessuno escluso.
Ora dovevano uscire da quella finestra, scavalcare e correre per circa 15-20 metri tagliando la carreggiata della strada. Sergej mise il naso fuori dal davanzale, e scosse la testa.
Dall’altro lato della strada c’era un lungo muro, che non presentava aperture o brecce per circa 30 metri a sud e 30 a nord. In sostanza anche se fossero arrivati vivi dall’altra parte (cosa ancora tutta da conquistare) non avrebbero trovato riparo né passaggio alcuno.
Si sedette.
“Merda: qui rischiamo di farci bucherellare”
“Uscite voi” disse Nikolaj “io vi copro: appena uscite sparo a raffica finchè non siete di là”.
“No, è da escludere” rispose il caporale scuotendo la testa. “Non abbiamo abbastanza tempo per trovare un passaggio da qui, e poi riveleresti la tua posizione diventando carne da macello. No, è un suicidio”.
“Sappiamo quanti sono, Caporale?” chiese Ivan
“No. Per quanto ne so possono essere mille” rispose Sergej. “O magari solo 3, ma non possiamo basarci sui forse o sui magari”.
E aveva ragione.
Prese il binocolo e si alzò, puntando l’obiettivo verso l’altra parte della strada. Non è dato sapere come caspita ci riuscì, ma nella sua lente comparve dall’altra parte della strada (leggermente a Sud) un punto bianco, riconoscibilissmo.
Era la tuta di un VDV, non c’erano dubbi. Aveva avuto fortuna: ad occhio nudo non era visibile, ma da quella angolazione e col binocolo ci era riuscito; aveva visto la truppa A.
Dunque i rinforzi non erano lontani: erano solo ignari.
Aprì il quadrante dell’orologio.
Yuri bloccò il braccio del comandante mettendoci sopra la mano. “Non possiamo chiamarli, Caporale, è contro gli ordini.”
“Lo so”rispose duro Sergej “ ma devo avvisarli che siamo a 80 metri da loro, ci devono coprire o siamo morti”.
Yuri tolse il braccio e lo fissò. Poi abbassò la testa dopo qualche istante “Si. Forse avete ragione”.
Sergej premette il tasto della comunicazione e disse nel microfono “Squadra A, qui B. Rispondete, passo”.
Attese.
Dal microfono solo un fruscio e un gracchiare senza risposta.
“Rispondete A. Passo.”
Niente.
“MERDA” disse a denti stretti. E con un gesto secco lanciò l’orologio contro il muro di fronte. “Hanno coperto il campo con gli elettromagnetici. La radio è inutilizzabile, non possiamo contattarli”.
Poi Nikolaj alzò la testa e con aria allarmata disse: “Ma così se i ribelli erano in ascolto col radar di localizzazione hanno captato la nostra esatta posizione. O sbaglio?”
Tutti guardarono Sergej che sgranò gli occhi.
“Si, cazzo” disse. “Via, via, via!”
E indicò una porta a Sud. Ormai erano scoperti.
La speranza era di arrivare a unirsi con i VDV, ma il rischio ora era raddoppiato. Se passavano davanti alla Squadra A e senza farsi riconoscere...beh...forse avrebbero rimpianto i fucili dei ribelli.
Erano come in una morsa: fuoco amico a destra, fuoco nemico alle spalle, e a sinistra non potevano andare.
Sergej era un bagno di sudore, e sentiva già il fiato sul collo di quei maledetti ribelli. La tensione lo invase, la paura gli rallentava la corsa. Ma doveva rimanere lucido.
O sarebbero morti.
Tutti.

Uscirono dalla casa ed entrarono in un capannone che confinava a mezzo metro dalla porta di uscita. Aprirono il portone dimenticando la prudenza: a questo punto era solo un freno. A fanculo tutto.
Le persiane, osservando dall’interno, erano sprangate, ed alcune finestre avevano chiusura con lastre metalliche. Da lì non si poteva uscire.
Sergej osservò la disposizione della muratura della casa, dopodiché disse: “Se andiamo avanti usciamo proprio nella piazza dove fra..”
Ed osservò l’orologio che segnava le 5:27.
“....circa mezz’ora uscirà il cingolato di punta dei ribelli. Ci saranno già le canne dei VDV puntate sull’apertura del terreno. Se usciamo da lì...” Indicò l’ultima porta da sud della stanza. Poi finiva la casa e con essa l’isolato intero.
“...finiamo sotto il tiro amico e sputtaniamo la missione”
Il gruppo fece silenzio. Non sapevano che fare.
“Cominciamo a levarci da qui, saliamo sopra” continuò il caporale. Ma non era convinto della situazione nemmeno lui.
Il capannone aveva una struttura rettangolare, con un soppalco di circa 5 metri più alto sul terreno, dove erano stipati casse, contenitori e scaffali. Un magazzino dimenticato, insomma.
Salirono in fretta sulla scala metallica che portava al soppalco, sempre tenendo i fucili puntati in cima al pianerottolo, e poi sopra in mezzo a quel disordine incredibile.
La roba era ammucchiata in blocchi senza senso o in casse di metallo, senza ordine o logica.
Si sedettero puntando le ginocchia per terra, e si girarono: la canna del fucile di Yuri indirizzata alla scala da dove erano saliti. Lo stesso fece Ivan.
Poi Sergej disse a Nikolaj: “Metti via quell’affare: se ti parte un colpo qua viene giù tutto”.
Nikolaj capì, mise la sicura al lanciarazzi e lo posò dentro ad una scatola di sintoplastica vuota.
Dopodiché mise mano alla fondina e impugnò la Magnum d’ordinanza.
Attesero.

Passarono minuti interminabili, finché un click della porta sotto di loro segnalò ai loro orecchi che qualcuno stava entrando nel capannone.
Una cosa era certa.
Non tutti ne sarebbero usciti.
I loro occhi saettarono da una parte all’altra del soppalco, aspettandosi di vedere qualcuno saltare su da un secondo all’altro; le mani ben impugnate sui manici, col dito fremente al grilletto.
Poi rumore di passi. Più passi.
Sergej fece segno agli altri con la mano. Secondo lui erano almeno 4-5.
Era certo che non sarebbero usciti dalla porta: sapevano che lì c’era il piazzale. E nemmeno avrebbero sparato verso l’alto bucando il soppalco da sotto: poca probabilità di colpire e certezza di essere visti e sentiti. Dovevano salire.

Poi un casco. Senza visiera, solo legato sotto il mento. Un secondo e sparì, nascosto a fianco del primo scaffale del soppalco. Uno era salito, e per pochi istanti Sergej l’aveva avuto sotto mira.
Imprecò nella sua testa e serrò i denti. La punta del fucile saltava dallo scaffale alla scala. Dalla scala allo scaffale.
Poi un altro: aveva visto la schiena sbucare e andare dalla parte opposta rispetto al compagno. Correva accucciato e sparì subito dalla loro vista.
CascoSenzaVisiera si mosse aggirando lo scaffale, ma rimpianse di non avere un giubbotto antiproiettile e una visiera in plastica infrangibile praticamente subito.
Yuri lo crivellò all’altezza del torace, senza risparmiare colpi. Cadendo, qualche colpo gli entrò anche nel naso.
A quel punto fu inferno.
Sergej scattò a destra, intercettando la traiettoria del secondo che era salito, e sparì alla vista di Ivan, che invece teneva puntata la canna sulla scala. In quell’istante entrarono accucciati 3 uomini, che evidentemente stavano aspettando sul pianerottolo.
Il terzo si prese un paio di pallottole nella schiena, grazie a Ivan che si alzò di colpo e annullò la loro copertura da accucciati.
Nikolaj si mosse sulla sinistra, andando verso la scala e CascoSenzaVisiera che giaceva immobile. Fu un errore, perché in quel modo tolse copertura a Ivan che stava in piedi.
Quattro colpi secchi, dalla canna di un mitra a colpo variabile proveniente dalla sua destra prese Ivan sul braccio destro e lo fece cadere su un mucchio di rottami.
Il primo della comitiva di 3 che erano entrati accucciati aveva appena vendicato il compagno preso alla schiena. Anche lui si rese però visibile, e di questi quattro colpi a segno non poté mai vantarsene. Yuri gli bucò la testa con 3 saette che volarono di seguito dal suo fucile.
Nikolaj non si rese conto dell’errore, e continuò a tenere sotto mira la scala, dalla quale, però, non salì più nessuno.
Sergej era da qualche secondo appostato dentro a uno scatolone rovesciato: capì subito la posizione strategica di quel nascondiglio e si lanciò dentro. Pochi istanti e il secondo, che era salito subito dopo CascoSenzaVisiera gli passò a pochi centimetri, accucciato e con un vecchio fucile dell’esercito ribelle in mano.
Non vide Sergej alla sua sinistra, e fu un errore. Si fermò davanti a lui dandogli la schiena, ignaro di tutto, pensando di prendere alle spalle l’intero gruppo; e questo fu stupido. Lasciò il tempo a Sergej di estrarre la lama dalla fondina che aveva sulla spalla.
Lo Stupido lanciò un grido, quando 30 cm di coltello gli entrarono nella gamba lacerandogli i muscoli.
Cadde all’indietro per il dolore e per lo spavento. Sergej afferrò il suo polso, ruotò la mano e gli tolse il fucile, poi con la destra gli puntò il coltello alla gola, tenendolo immobilizzato.
Lo Stupido capì e pur con un dolore lancinante al polpaccio tenne i denti serrati e non urlò. La sua vita era appesa a quella lama, che già odorava del suo sangue. Ne sentì il calore salire dal filo del coltello, e decise saggiamente di non fiatare.
Yuri mise a segno la sua terna prendendo anche l’ultimo dei 5 che erano saliti, piantantogli una manciata di proiettili nel cranio; niente da dire: era in perfetta forma. Poi ruotò la testa: appurato che Nikolaj copriva la scala scattò in direzione di Sergej, ma non c’era bisogno del suo aiuto nemmeno lì. Senza dire una parola fece cenno col capo al suo caporale e si diresse da Ivan, che ancora stava coricato supino sul mucchio di rottami.

Passò quasi un minuto, poi la situazione si calmò, non si sentivano spari, nè grida: i 5 che erano saliti erano veramente 5.
Sergej ruotò il corpo del ribelle, lo mise schiena a terra e gli urlò faccia a faccia: “quanti siete? Parla”.
Lo Stupido era veramente tale e non diede problemi. “5, siamo 5”.
“Non ci sono altri? Solo voi ci avete seguito? Dove sono gli altri come te?”
“Non so” disse Lo Stupido “Io dovevo solo seguire voi con la squadra.”
“Seguirci e ammazzarci tutti, vero?” Insistette Sergej.
Lo Stupido fece segno di si con la testa, evidentemente in soggezione.
“Quanti come te ci sono la fuori?”
“Non so, ma non farmi del male, mi sono arreso”
“PARLA MALEDETTO STRONZO” e lo sbatté con la nuca a terra “PARLA O TI TAGLIO A PEZZI! QUANTI SONO LA FUORI?!?” Ora Sergej era fuori di se.
“Cr...credo una cinquantina, ma non so dove siano. Io av...avevo la mia zona”
Cinquanta.
Merda.
Doveva avvertire i VDV, ma mancavano meno di 15 minuti alle 6.
Lasciò andare il corpo del ribelle. Non lo avrebbe ucciso, non era nemmeno un soldato: era un ragazzo con un fucile in mano che sapeva fare il suo mestiere come lui era un ristoratore.
Appena tolse la lama dalla gola del ribelle ruotò il polso e lo colpì due volte all’altezza del mento.
Cadde svenuto. E da lì non si rialzò.
Corse dai suoi uomini, e capì subito come Ivan era sul filo tra la vita e la morte. All’altezza del braccio non era coperto dalla tuta, per lasciare i movimenti fluidi. E dunque i proiettili erano entrati; due in maniera molto seria.
Lo caricarono a spalle in 2, con Nikolaj che apriva la strada fino alla scala. Aveva appreso da Yuri del suo errore di copertura, e si insultò nella mente per la sua avventatezza e stupidità. Ma ora non poteva farci nulla, doveva solo concentrarsi sulla strada da aprire.
Scesero la scala con Sergej che teneva Ivan sorreggendogli il braccio destro.
In fondo al capannone andarono alla porta di uscita Sud.
Il piazzale davanti a loro. Meno di 8 minuti all’uscita del convoglio. La sola speranza è che gli spari avessero messo in allarme i VDV, ma non potevano avere certezze.
Sergej depositò il corpo a terra, controllò la cartuccia della Magnum e disse a Nikolaj: “Prendi il lanciarazzi. Noi continuiamo per la nostra strada. Quel cazzo di convoglio deve saltare.”
Nikolaj ubbidì, ma con qualche riserva che tenne per se.
“Con o senza VDV noi fra 6 minuti usciamo”. Con un click secco posizionò il caricatore.

1 commenti:

Matteo Piovanelli ha detto...

letto.

bravo barf.

ora mi appresto al prossimo capitolo