ATTO SECONDO: L'elfa, l'Antico, L'addio

Author: The_Dreamer / Etichette: , ,


Senti l'odore del sangue, tutt'intorno a te.
Lentamente, mentre i soldati si schierano, la tua mente si annebbia.
E comincia il ronzio.
Non sai cosa sia né da dove venga.
Ma quando la battaglia comincia, ti senti chiamare.
E lasci che emerga in te senza alcun ostacolo.
Adesso vedi te stessa sollevare la pesante ascia.
Come se non fossi tu.
Come se il corpo non fosse il tuo.
E quel dannato ragazzino che cerca sempre di farsi ammazzare vicino a te.
Non che sia stupido sia chiaro.
E nemmeno che sia incapace di cavarsela da solo.
Ma...
Ma ai tuoi occhi è così fragile. Così bisognoso di aiuto.
Così...così...
No.
Scuoti la testa e scacci i pensieri.
Adesso è ora di combattere.


Ci voleva almeno un'ora, un'ora e mezza a raggiungere la Majesty da dove si trovavano, a passo di marcia insieme ai rimanenti soldati, cercando di evitare lo scontro il più possibile.
Se non fossero caduti in un'imboscata.
A circa mezzo miglio di distanza dal luogo di attracco della nave, iniziavano le trincee e i terrapieni, fotrificazioni di nessuno, per entrambi gli schieramenti; quando le linee del fronte si rompono, diventa difficile stabilire a chi appartiene il territorio.
Qui un gruppo di segugi infernali li aveva braccati.
Simili a cani, ma grossi almeno due, tre volte tanto, il pelo arruffato e rovinato, la pelle divelta in molti punti e le ossa scoperte. L'odore di carne bruciata e zolfo appestava le bestie come una malattia, e sebbene alcuni di essi andassero letteralmente a fuoco non parevano soffrire dolore alcuno.
Degli uomini che erano rimasti a Caleb, più della metà erano periti attraversando le fortificazioni, per trappole o repentini attacchi dei segugi ed ora appena una decina resistevano.
Lo zoccolo duro della formazione, per fotuna.
Fermo su un leggero declivio formato da calcinacci bianchi e rocce vulcaniche, il mago osservava lo svolgersi della battaglia.
Alla sua destra, Eris faceva danzare l'ascia bipenne in archi complessi e posture marziali, mentre con colpi precisi ricacciava indietro assalto dopo assalto dei canidi. In breve tempo, attorno a lei si venne a formare il classico cerchio di sfidanti, ognuno dei segugi ringhiava alla sua direzione, ma nessuno osava attaccarla.
Più avanti, almeno ad una ventina di passi dalla tiefling, quattro dei suoi uomini se la stavano vedendo con una bestia più grossa, dal pelo nero e gonfio, più rabbiosa e insolitamente forte.
Altri quattro, separati tra loro, combattevano con la furia dei morenti, già consapevoli che presto sarebbero stati soverchiati dalla forza dei segugi.
Mentre dalle trincee abbandonate altri segugi si univano ai loro compagni, ognuno di loro, Eris compresa, era certa della sconfitta.

Insicuro sul da farsi, Caleb piantò il bastone in terra, dritto davanti a sé, concentrandosi sulla luminescenza arancione, calda e rassicurante, che emanava il cristallo sulla sua sommità.
“Ci sono almeno tre regole che un Mago deve apprendere per la battaglia, Caleb”
Improvvisamente, quasi inconsciamente, alla sua memoria riaffioravano le parole del suo vecchio maestro, Karvan.
“La prima è conosciuta come Legge dell'Utilità. Ogni incantesimo ha un costo in termini di tempo e energie. Molti maghi non si curano di quello che fanno, e si limitano a scatenare la furia del loro potere su chiunque gli si pari davanti, solo per venire pugnalati alle spalle mentre pronunciano un nuovo incantesimo o esauriscono ogni stilla della loro energia”.
Meccanicamente, le parole affiorarono alle sue labbra, come un mantra.
“Pondera con attenzione. Ogni incantesimo ha forze e debolezze. Ogni magia è nata per un fine”
Con un paio di gesti e parole misurate cariche di potere, Caleb richiamò una leggera brezza, che lentamente iniziò a soffiare più forte.
“La seconda legge è la Regola del Tempo. La magia è conosciuta come l'Arte. A differenza della spada di un combattente o degli ordini furibondi e spesso repentini di un ufficiale, la magia richiede i suoi tempi, solo così otterrà la sua pienza perfezione”.
Le vesti del mago ondeggiarono lentamente, mentre il vento si faceva progressivamente più forte e uno strano odore iniziava a diffondersi nell'aria. Si concesse ancora un attimo per scrutare il campo di battaglia, prima di serrare gli occhi, occhi normalmente azzurri e spenti, ora carichi di un blu mare e pervasi da una forza antica.
“Ogni gesto fluido e conseguenza dei precedenti. Ogni parola misurata.”

Tormento, la cui mente era ancora pervasa dal ronzio della battaglia, dalla frenesia estatica del massacro, a malapena si rese conto di cosa stava accadendo. In un attimo di lucidità, vide il ragazzo, fermo su una collinetta, gli occhi chiusi.
I tielfing sono esseri per metà di magia. Inconsciamente essi sono in grado di percepirla.
E, come se ciò non bastasse, le nubi che si stavano avvicinando e l'odore di elettricità statica nell'aria erano sufficienti.
Spalancò gli occhi felini in un moto di pura paura, per poi prorompere in un urlo feroce.
“VUOI AMMAZZARTI E UCCIDERE ANCHE NOI, MAGO!? DANNAZIONE AGLI DEI FERMATI!”

“La terza regola, ragazzo mio, è il Giuramento del Mago. Come ricordi di certo, i nostri progenitori hanno usato per anni il loro potere per dominare, opprimere e guadagnare potere. Noi non tolleriamo che si ripeta. Il nostro potere, nel bene o nel male, non deve essere mai usato per ferire gli innocenti”
Una leggera scossa attraversò le palpebre di Caleb mentre terminava l'incantesimo.
“Osserva quanto possiedi. Potere e controllo. Essi marciano di pari passo.”

Poi spalancò gli occhi. Vide solo Tormento che correva nella sua direzione, una mano in avanti come a fargli segno di fermarsi.
Come l'inchiostro nell'acqua si espande e copre la purezza cristallina del liquido, così una massa nera e amorfa velocemente si espandeva dalla sua pupilla, inquinando l'iride e coprendo il bianco.

Non percepiva più il tempo.

Viaggiava su ali nere, su nubi temporalesche di arcana origine. Viaggiava portato dal vento, in forma di energia.
E il suo nome era Morte.
Quando le nubi giunsero sul campo di battaglia, cadde come fulmini, le braccia tese in un abbraccio elettrico, una promessa di morte. La sua volontà, già quasi allo stremo, spremette ogni stilla del suo essere, nel tentativo di canalizzare con precisione il colpo, di non ferire i suoi compagni.
Quando il vento cessò e il fulmine tacque, le energie lo abbandonarono.
Cadde.

Dove prima non c'era nessuno, ora una donna stava in piedi, e sorreggeva Caleb tenendolo con entrambe le braccia.
Eris, insieme ai soldati sopravvissuti, immediatamente circondarono la sconosciuta, puntando le armi nella sua direzione.
“Chi sei?” ruggì la tiefling “Lascialo andare, se non vuoi finire peggio di quei cani”
Una mano guantata scostò leggermente la cappa del manto violaceo che indossava. Una chioma di capelli dorati sembrò cadere da essa. Poi, sollevandosi con grazia ultraterrena, la sconosciuta si voltò a fronteggiare i soldati.
Il suo volto, leggero e aggrazziato, con la pelle liscia e pallida, lasciò di stucco gli uomini, mentre Tormento, riconoscendola, accentuò il cipiglio di fastidio.
“Ci rivediamo, Gilraen. Hai sempre le orecchie a punta e l'aspetto di una che sta per asfissiare, vedo”.
L'elfa Gilraen per tutta risposta, sorrise a Eris, per poi parlare con i soldati: “Sono stata mandata dal Capitano Artemis, a cercare l'ultimo pilota della Majesty” gli otto uomini la osservavano imbabmolati, difficilmente capendo cosa l'elfa dai modi gentili stesse dicendo “presumo che voi siate la sua scorta...”
Sfilò con lentezza e calma misurata il guanto e accarezzò la guancia del mago svenuto.
Pur senza vederla in viso, Tormento sapeva che l'elfa gli stava sorridendo con malizia.



Lo scafo della Majesty beccheggiava insistentemente e come Eris potè subito notare, anche alcuni dei marinai addetti al carico faticavano a trovare l'equilibrio, cercando di puntellarsi con i piedi reggendo i pesanti barili di polvere nera.
Gilraen procedeva a passo sicuro, leggera e aggrazziata nei movimenti, precedendo di qualche passo il gruppetto di uomini, Tormento in testa, i quali avevano caricato Caleb su una lettiga di fortuna. Da una mezz'ora non faceva altro che balbettare frasi incoerenti e muoversi a scatti.
Come se stesse sognando.
Giunti alla cabina di comando, a poppa della nave, i soldati sollevarono lo sguardo al di sopra di essa, dove sorgeva un'immensa cupola in vetro trasparente. L'elfa si fermò e battè gentilmente le nocche sulla porta in legno levigato di fronte a loro. Dall'interno qualcuno rispose in un linguaggio che Eris non comprese, ma che suppose essere elfico.
Il gruppetto fu fatto accomodare dentro la stanza, e con grande sorpesa di quasi tutti, appena aperta la porta si trovarono a muovere i passi dentro una sala veramente enorme. Avrebbe potuto benissimo essere la sala comune di una locanda: tre tavoli e diverse sedie erano sparsi in giro e un camino di grandi dimensioni stava sul fondo della stanza, un fuoco blu danzava al suo interno. Un uomo stava di fronte ad esso, e dava le spalle ai nuovi arrivati.
Stranamente, il fuoco sembrava raffreddare la stanza piuttosto che riscaldarla, ma del resto nell'Abisso questo sarebbe potuto essere utile.
L'uomo, senza muovere un muscolo, pronunciò ancora qualche parola in elfico e Gilraen rispose prontamente, intonando una litania e schioccando le dita.
Immediatamente, la fiamma blu si alzò di intensità, arrivando a riempire l'intera nicchia del camino.
L'uomo sospirò, come sollevato, poi, con tono cordiale si presentò.
“Comandante Artemis...di quella che una volta era la gloriosa flotta Seleniana, oggi solo un ricordo sbiadito.” alzò una mano, indicando i tavoli alle sue spalle, senza voltarsi “Accomodatevi, sarete stanchi immagin. Stendete il mago su uno dei tavoli, mi sono preso la libertà di preavvisare un apotecario del vostro arrivo...dovrebbe essere qui a momenti.”
Artemis afferrò qualcosa con l'altra mano e lo portò quindi alle labbra, inclinando di colpo la testa indietro con uno scatto e sorbendo un liquido dal calice.
“Brandy elfico, niente di meglio per rinsaldare i nervi di un uomo. Spero mi farete la compagnia di bere con me”
Iniziò a voltarsi lentamente, ruotando sui tacchi degli ornati stivali di cuoio. Indossava una giacchetta a doppiopetto bianca con grossi bottoni in madreperla, immacolata, al fianco una sciabola da marina in un fodero rosso e dalle rifiniture dorate e pantaloni blu. Ma quello che colpì gli uomini, più del vestito, fu il viso.
La metà destra del volto era letteralmente carbonizzata, lembi, anzi, placche di pelle nera erano divise le une dalle altre da sottili strice rosso fuoco, probabilmente il muscolo esposto, guizzante sotto quel velo incartapecorito di cenere. L'occhio destro era un pallido riflesso del sinistro, come un gemello malvagio di un giovinetto bello e in salute, un vecchio malato e ingiallito. E la bocca sembrava gonfia e putrida.
Preso alla sprovvista, la metà sinistra sembrò sorpresa, poi nel suo occhio buono si accese una scintilla di comprensione: “Ma certo, vogliate scusarmi. Sono imperdonabile”.
Armeggiò per un attimo sulla scrivania a lato del camino, rovesciando alcune mappe nella foga di cercare qualcosa. Poi, trionfante, alzò il braccio stringendo un pezzo di metallo dalla forma strana. Portò l'oggetto al volto e vi fu un sibilo, poi un leggero sbuffo di fumo. Quando si voltò ancora a fronteggiarli, fece un mezzo sorriso...letteralmente mezzo, dato che ora la metà destra del volto era coperta da una maschera del medesimo colore della giacca.
“Un piccolo incidente in battaglia anni fa” disse in tono cordiale “Niente di grave”.
Alcuni colpi di tosse, ma nessuno si azzardò a chiedere.
Nel frattempo, un ometto basso e calvo, con due occhiali dalle lenti spesse e leggermente curvo, entrò nella stanza, a passo strascicato. Strizzando gli occhi per guardarsi intorno, aprì poi la bocca in un'espressione soddisfatta mentre si avvicinava al tavolo dove era stato posto Caleb. Portava una cintura ricolma di borselli e sacchetti e iniziando ad armeggiare con queste, parlottava tra sé e sé, assorto nel suo lavoro.

Gilraen, che nel frattemposi era seduta in disparte e sfogliava un libro, si alzò in piedi, fissando lo sguardo sul comandante: “Torno alla mia posizione artemis, avverto gli altri sei del suo arrivo” disse indicando il mago incosciente sul tavolo.
Artemis fece appena un cenno e sembrò fare per parlare, ma l'elfa era già uscita, e la porta ondeggiava muta sui suoi cardini ben oliati.
A passo svelto, la maga salì i gradini esterni che separavano la cabina del capitano dalla Cupola. Dove ci sarebbe dovuta essere la porta, o un qualche mezzo di ingresso, stava invece una runa verde smeraldo.
“Shirak!” pronunciò l'elfa, e immediatamente una sezione di vetro di forma circolare sembrò diventare liquida, permettendo alla maga di passare, e risolidificandosi immediatamente dopo.
Poco prima di entrare, aveva sentito un rumore provenire dalla stanza del capitano...alcuni forti colpi di tosse.
“Forse Caleb si sta riprendendo” pensò.
Sei individui stavano in cerchio, formando un crocchio attorno a un grosso cristallo trasparente posto al centro della cupola.
Erano agghindati uno in maniera più buffa dell'altro, ma sopra tutti, Tardas, un umano altro e dalle spalle larghe era il più ridicolo: indossava solo una sorta di gonnello a strisce gialle e verdi, che gli arrivava alle caviglie, vestito che peraltro non copriva affatto le sue rotondità addominali.
Gilraen si affrettò a prendere posto insieme ai maghi.
La cupola di vetro, in tutto il suo splendore, lasciava trasparire la luce rossa delle pozze di lava infernale, e il cristallo stesso le deviava e rifletteva, creando i più bei giochi di colore dentro la bolla d vetro.
Qui erano raccolti i più strani tra gli oggetti che un mago potesse mai vedere.
Un grande astrolabio in ottone e gemme preziose ticchettava ritmicamente nel fondo della sala, abbastanza grande da coprire almeno un terzo della cupola intera. I suoi ingranaggi lucidi giocavano e danzavano, spostando le sfere costruite in diamante, zaffiro, rubino e decine di altre gemme l'una dall'altra, calcolando con precisione millimetrica chissà quali rotazioni planari e planetarie.Dalla parte opposta della sala, proprio di fronte al bordo interno della cupola, stavano sette colonne, della medesima altezza, costruite in quelle che a un primo sguardo pareva marmo. In quel punto della cupola, il vetro della medesima sembrava proiettare su di sé immaigni in movimento, strani simboli e flussi continui di diagrammi geometrici.
Quelli erano gli strumenti di navigazione usati dai maghi per controllare la nave, costruiti ormai secoli fa dai progenitori di Selenia, e il cui utilizzo, ad oggi, si diceva essere parecchio limitato, poiché molte delle formule erano andate perse.
Al centro della sala, all'interno del cristallo, vi era la più fantastica di tutte le meraviglie di quel luogo.
Incastonata nella gemma da chissà quanto tempo, vi era la metà superiore di un'armatura, completa di elmo, di dimensioni sicuramente non umane. Dentro la celata di metallo, pulsava una luce rossa, a intervalli intermittenti. L'armatura non aveva braccia né gambe. Due lettere campeggiavano sulla corazza metallica, scritte nell'alfabeto degli Dei.

Una A e una I.

AI, questo era il suo nome.
Molte erano state le speculazioni sul significato di quel nome, ma anche i più saggi tra gli uomini si erano dovuti arrendere. Anche venti anni fa, all'apice della potenza di Selenia, le conoscenze dell'uomo sugli dei erano limitate a poche leggende e scritti considerati non veritieri, e le divinità erano da tempo sparite dal mondo. AI era stato rinvenuto sepolto durante i lavori di cotruzione di Selenia, più di quattrocento anni fa, quando la magia ancora non era così diffusa nel mondo. All'epoca non si conosceva ancora la sua funzione, e si supponeva che fosse un'arma di qualche tipo, creata dagli dei come dono all'Uomo.
Le prime ricerche dimostrarono che AI deteneva un qualche tipo di intelligenza e di coscienza...ed era in grado di usare la magia.
Si può dire che, in gran misura, AI fosse responsabile della diffusione della magia a Selenia.
Quando Bramantis, il primo Reggente di Selenia, ordinò la costruzione della Majesty, volle anche che AI fosse rimosso dal laboratorio in cui veniva studiato, e che la sua Bara di Vetro, come era stato chiamato il cristallo che lo conteneva, fosse posta nella cupola.
Del resto, chi meglio di Bramantis, che aveva scoperto AI, era in grado di deciderne la funzione?

Gilraen si sistemò tra due dei suoi compagni, osservando il cristallo di AI. Tardas, che nonostante l'aspetto poco serio era considerato primo tra i pari tra quel gruppo di maghi, stava ponendo alcune domande a AI.
“Non riesci a trovare un punto adatto all'ancoraggio, 'ram?” chiese con voce esausta
'ram, nel dialetto di Selenia, aveva significato simile a qualcosa come “venerabile vecchio” o “l'Anziano”, un titolo di solito adibito agli insegnanti con molti anni di esperienza alle spalle, e Tardas usava chiamare AI con questo deferente vezzeggiativo.
La luce rossa dentro l'elmo di AI tremolò per alcuni secondi, poi, facendo vibrare le pareti in cristallo, AI parlò con la sua voce meccanica e cadenzata, precisa e pulita:
“NON POSSO EFFETTUARE I CALCOLI. LA ZONA SI TROVA AL CENTRO DI UN INTENSO MAELSTORM INFERNALE.”
Tardas sospirò rumorosamente, mentre anche Gilraen, nonostante fosse appena arrivata, aveva compreso la gravità della situazione.
“Non possiamo atterrare sull'Altopiano Cinereo, vero Tardas?” chiese con tono grave l'elfa.
“No, purtroppo” replicò l'uomo, gesticolando “E non c'è un altro punto abbastanza vicino alla Fortezza in cui sbarcare. La missione è destinata a fallire ancora prima di cominciare”.
Gilraen si perse un attimo a ragionare, cercando una soluzione al problema.
Il Consiglio aveva loro ordinato di spostare le riserve di polvere nera, portandole lontano dal Palazzo, e usandole per infliggere un duro colpo alla Fortezza infernale da cui partivano gli assalti dei diavoli.
Era il terzo contrattacco che i maghi organizzavano in quindici anni, e, se fosse fallito, le forze dell'Abisso si sarebbero consolidate e rafforzate, diventando sicuramente in grado di spazzarli via senza sforzo.

Intanto, dentro la cabina del comandante, Eris camminava con passo pesante avanti e indietro la stanza, mentre alcuni dei soldati di tanto in tanto le gettavano occhiate preoccupate.
Sapevano benissimo che quando la tielfing si innervosiva bastava poco a farla esplodere...e non era mai un bene.
I suoi occhi rossi indugiavano sul tavolo, dove il vecchio apotecario armeggiava con i suoi intrugli, mentre Caleb pareva pian piano riprendersi.
Poi, dopo un tempo che parve un'eternità, il mago emise un sospiro pesante e si mise a sedere sul tavolo con difficoltà. In un paio di lunghe falcate, Tormento raggiunse il tavolo, spingendo di lato il vecchietto, e parandosi di fronte a Caleb.
Lui sorrise a fatica vedendola: “Tormento...come...” ma non fece in tempo a finire che lei gli rifilò un tremendo manrovescio, mandandolo di nuovo a sdraiarsi di lato e facendogli sputare del sangue.
Un silenzio pesante.
Eris si voltò, e con parole gelide e taglienti, si rivolse a Caleb.
“Considero ripagato il mio debito Caleb. Terminata questa missione, non ti accompagnerò più...”
Il mago si levò di scatto, urlando un: “COSA? PERCHE'? PRETENDO SPIEGAZIONI!”.
Ma in risposta ricevette solo il silenzio.
Ferito più nei sentimenti che nel corpo chiese ancora: “E' stato per il mio incantesimo? Perchè pensavi vi avrei uccisi tutti per salvarmi? Lascia che...”
La tielfing battè pesantemente un pugno sul tavolo di fronte a lei, schegge di legno volarono in ogni dove quando il tavolo si ruppe: “Taci ora. Non abbiamo più nulla da dirci”.
Caleb si prese alcuni istanti per accusare il colpo, poi, ridotto quasi a uno spettro dal colpo ricevuto, anzi, dai colpi ricevuti, si lasciò scivolare a terra.
Fece alcuni passi nella sua direzione, e le pose una mano sulla spalla, senza dire nulla.
Poi si diresse alla porta, seguito immediatamente dai suoi uomini.

Ancora ferma, immobile, le spalle a un Caleb che non c'era più, Tormento non sentì nemmeno la domanda del capitano Artemis, un "Perchè?" che andava pronunciato.
Ma le sue lacrime, le lacrime di un demone, furono una risposta abbastanza eloquente.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Non commenta nessuno =(
A me è piaciuto =)

by zu